Dinamo Press
16 09 2015
15 Settembre, report terzo giorno di carovana internazionale per l’apertura di un corridoio umanitario verso Kobane. Continuano ad arrivare partecipanti alla Carovana mentre prosegue l’offensiva turca nei confronti del Kurdistan. La sera del 14 settembre il pullmino della Carovana diretto ad Urfa è stato fermato e perquisito dalla polizia.
Segui #CarovanaKobane e @DinamoPress per la diretta della giornata di oggi a Cizre e Dyarbakir.
Leggi i report delle giornate precedenti: la prima giornata con l'arrivo al campo profughi di Suruc [English Version] e la seconda giornata in cui la carovana incontra l'HDP e i movimenti del cantone di Kobane a Suruc.
All’interno del pullman erano presenti anche i due parlamentari italiani che hanno tentato, senza esito, di opporsi alla perquisizione. Abbiamo notato che negli ultimi giorni il livello di attenzione attorno alla nostra presenza è aumentato notevolmente. Siamo costantemente seguiti e monitorati dai mezzi blindati della polizia e siamo costretti a pianificare gli spostamenti con cura.
NEVER ALONE
Un intenso incontro con le donne ci riporta nel campo dedicato ad Arin Mirxan che avevamo visitato il primo giorno di Carovana (link), ad accoglierci ritroviamo anche la deputata HPD Leila… che si stringe con tutte noi intorno allo striscione che abbiamo portato “we can be free together, but we can’t be free alone – international feminist solidarity”. La rappresentante di KJA (Free Women Congress) ribadisce che il messaggio femminista per la libertà e l’emancipazione di genere deve viaggiare oltre i confini, gli stessi che il confederalismo democratico vuole abbattere.
L’AGENDA POLITICA
Nella sede della BDP, declinazione regionale del HDP – dove si ritrovano abitualmente gli attivisti politici di Suruc – rivediamo tanti volti che ci hanno accompagnato in questi giorni. Le pareti sono piene di immagini di martiri curdi ed internazionali, attorno a noi le riunioni si susseguono mentre lo spazio è attraversato da un flusso continuo di attivisti, che si informano sull’evolversi della situazione a Cizre e Diyarbakir. Partecipiamo all’incontro con rappresentanti del BDP e del KJA.
L’Europa, vista da qui non è solo un approdo per i profughi in fuga ma è parte colpevole per l’assenza di politiche di accoglienza che facciano fronte al flusso migratorio. “Qui abbiamo accolto 250.000 profughi” dice il rappresentante BDP, “l’Europa non può pensare di aprire le sue porte solo a 10.000 persone”. Il Tema dei profughi e della loro accoglienza ritorna negli interventi che seguono, “ma è necessario fissare un’agenda politica condivisa più ampia – incalza Ajse Gokkan di KJA Diplomacy – che oltre a denunciare il business dell’accoglienza, includa la partecipazione delle donne, il riconoscimento politico dell’esperienza del Rojava in una Siria Democratica”.
Infine, oltre alll’apertura di corridoi umanitari a Kobane e la sua ricostruzione, ci ricordano gli altri accessi alla regione, come Nisebin, Qamislo, Alcakale, Gre Spi e la questione del popolo Ezida che sta subendo il 73° genocidio della sua storia.
ACCESSO NEGATO AL GATE DI MURSITPINAR – KOBANE
Nel pomeriggio, assieme ad una delegazione locale, ci dirigiamo verso la frontiera, sui furgoni medicinali e apparecchiature sanitarie destinate agli ospedali di Kobane, quaderni e pastelli colorati per le scuole della città. Per varie settimane la municipalità di Suruc ha richiesto al governo centrale di aprire la frontiera per lasciar passare la carovana. I quattro pullman si dirigono verso il confine, sotto lo stretto controllo delle forze di polizia locale. A circa cinquecento metri dal gate incontriamo un posto di blocco: blindati e barricate mobili ci impediscono di proseguire.
Decidiamo di tentare una deviazione, ma tutti gli accessi al confine sono sorvegliati. “La Turchia ci ha negato il permesso di passare” ci dicono i compagni curdi. “Il governo minaccia di chiudere la frontiera e di impedire il passaggio ad ogni tipo di merce verso il Rojava.” Il posto di frontiera di Suruc è aperto solo tre giorni a settimana, una nostra forzatura potrebbe comportare un blocco a tempo indeterminato dei rifornimenti verso Kobane. Il ricatto del governo è palese e gioca sulla vita di decine di migliaia di persone lungo il confine. Ripieghiamo nel vicino villaggio di Mesher, un gruppo di case sotto il sole battente, luogo strategico della resistenza, dal punto di vista sia logistico che politico. Le staffette partite dall’Italia hanno fatto spesso base qui.
Veniamo accolti da una delegazione del villaggio e dai membri dell’associazione “Rojava”, per una conferenza stampa di denuncia di ciò che sta avvenendo. “Gli aiuti umanitari verranno consegnati all’associazione Rojava, che si occuperà di farli arrivare oltre il confine”. Il copresidente del BPD di Suruc ha ribadito l’importanza della nostra presenza.
“E’ oltre un mese che chiediamo l’autorizzazione per il vostro ingresso, anche solo in forma di delegazione, ma solo oggi le autorità turche hanno definitivamente intimato di non avvicinarci al confine”. Una presa di posizione chiara, che ha lo scopo di isolare Kobane tenendo lontana la solidarietà internazionale. E’ la prima volta che un’iniziativa di questo genere, lanciata pubblicamente dai movimenti, con attivisti da tutta Europa, mette al centro del dibattito la questione del corridoio umanitario, che sembra poter mettere in difficoltà il governo di Ankara rispetto ai suoi obblighi internazionali.
La Carovana Internazionale per l’apertura di un canale umanitario verso Kobane.
Le persone e la dignità
15 09 2015
Nei primi otto mesi dell’anno, oltre 381.000 persone hanno raggiunto l’Unione europea via mare. Di queste, 120.000 sono arrivate in Italia e 258.000 sono approdate sulle isole della Grecia, in nove casi su 10 fuggendo da paesi tormentati dai conflitti come Siria, Afghanistan, Iraq e Somalia o governati da regimi dispotici come l’Eritrea.
Dopo essere scampate agli orrori della guerra ed essere sopravvissute a viaggi pericolosi, per queste persone le difficoltà – come abbiamo ampiamente visto in questi giorni – non cessano una volta giunte in territorio europeo.
Sul portale del Corriere della Sera troverete il resoconto della riunione del Consiglio dei ministri degli Affari interni dell’Unione europea tenutasi ieri: l’ennesimo vertice di “emergenza” per trovare soluzioni coordinate e condivise in grado di affrontare la crisi dei rifugiati. L’ennesimo fallimento, secondo Amnesty International.
Ma si tratta davvero di una situazione di “emergenza”? I numeri giustificano la diffusione del panico, l’adozione di misure contraddittorie (e in alcuni casi del tutto illegali), le violazioni dei diritti umani e le scene degradanti, umilianti se non addirittura odiose viste e riviste in queste settimane all’interno dell’Unione europea?
Facciamo un po’ d’ordine, almeno per quanto riguarda la Siria (dell’Eritrea avevamo già scritto qui).
Il conflitto in Siria ha causato la morte di 220.000 persone e ha reso 12.800.000 persone fortemente dipendenti dall’assistenza umanitaria. Oltre il 50 per cento della popolazione siriana è ormai sfollata.
I rifugiati che hanno lasciato la Siria sono oltre quattro milioni. Il 95 per cento di essi si trova in soli cinque paesi: Libano (1.200.000, un quinto della popolazione totale del paese), Giordania (650.000, un decimo della popolazione totale del paese), Turchia (1.900.000), Egitto (132.375) e Iraq (249.463 – aggiungiamo che in questo paese negli ultimi 18 mesi si sono registrati oltre tre milioni di sfollati).
Se mettiamo a confronto le popolazioni, per sopportare lo stesso onere di accoglienza del Libano l’Italia dovrebbe ospitare 12 milioni di rifugiati. L’Unione europea, coi suoi 500 milioni di abitanti, dovrebbe accoglierne 100 milioni.
Dall’inizio della crisi siriana, il mondo ha messo a disposizione dei rifugiati siriani più vulnerabili (vedove, vittime di stupro e tortura, minori orfani, malati terminali) 104.410 posti per il reinsediamento, ossia solo il 2,6 per cento del totale dei rifugiati siriani presenti in Libano, Giordania, Turchia, Egitto e Iraq.
Detto che i paesi del Golfo (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar ecc.) e altri paesi ricchi che ne avrebbero le possibilità (Corea del Sud, Giappone, Russia, Singapore ecc. hanno vergognosamente messo a disposizione zero posti per il reinsediamento, vediamo cosa è accaduto nei paesi dell’Unione europea.
La Germania si è impegnata a mettere a disposizione 35.000 posti per il reinsediamento, il 75 per cento di quelli promessi dall’intera Unione europea. Gli altri 27 paesi dell’Unione europea hanno messo a disposizione 8700 posti, l’equivalente dello 0,02 per cento dei rifugiati siriani presenti in Libano, Giordania, Turchia, Egitto e Iraq
Insomma, se a Budapest si grida all’emergenza, come dovrebbero chiamarla a Beirut?
Dinamo Press
15 09 2015
Domenica 13 Settembre - Primo giorno di Carovana internazionale per l'apertura di un corridoio umanitario verso Kobane al confine turco-siriano. Centinaia di attivisti europei nel centro culturale Amara e nei campi profughi intorno a Suruç da oggi fino al 16 settembre [English version].
Guarda il VIDEO della prima giornata, leggi anche: Turchia una strategia sanguinaria e Turchia è terrorismo di Stato.
Come centri sociali e associazioni, uniti nella campagna Rojava Calling, insieme ad attivisti italiani ed internazionali, organizzazioni di base, rappresentanze di enti locali e parlamentari abbiamo partecipato al primo giorno di Carovana, per costuire una rete ampia e concreta di solidarietà con la Resistenza di Kobane. La città curda è ancora assediata da Daesh ed è costretta alla fame dalla chiusura del confine delle autorità turche, una morsa che tenta di piegare la Resistenza dei combattenti YPG e YPJ e l'esperienza del confederalismo democratico.
Tale esperienza non solo è stata attacata dall'Isis ma anche dal governo turco. Se da un lato del confine Daesh (Isis) prosegue l'aggressione contro i cantoni del Rojava, in Turchia il governo di Erdogan ha lanciato una nuova offensiva. Sono moltissimi gli attacchi contro la Resistenza curda da parte del governo turco; ad esempio, nella giornata di oggi è stata attaccata dalla polizia la manifestazione in solidarietà agli abitanti di Cizre, mentre continuano gli scontri a Dyarbakir. ネ di questa sera la notizia che dopo le grandi mobilitazioni di ieri e di oggi, nella città di Cizre è stato imposto un nuovo coprifuoco di quarantotto ore. La città era stata riaperta solo ieri dopo nove giorni di assedio da parte dell'esercito turco, che non ha permesso l'accesso neanche alla delegazione di deputati del HDP (Partito Democratico dei Popoli).
Secondo fonti curde le vittime dell'assedio sono 31, tra cui un neonato di 35 giorni, mentre un bambino ha perso la mano a causa di una mina. A Dyarbakir un ragazzino di 14 anni è stato prelevato in strada da una camionetta dell'esercito turco e oggi il suo corpo è stato ritrovato torturato e gettato nella spazzatura. Nonostante le atrocità perpetrate dal governo turco, Erdogan sarà accolto a Milano il 14 per l'inaugurazione della settimana turca ad Expo. Le realtà milanesi NO EXPO hanno lanciato una manifestazione alle 19:30 in Piazza San Babila.
CAMPI PROFUGHI
Dopo il saluto e l'accoglienza della municipalità di Suruç e dell'associazione delle donne KJA (Free Women Congress), si è svolta nel Centro Culturale Amara la commemorazione delle vittime del 20 luglio scorso, quando un attentato uccise 33 giovani socialisti turchi, impegnati nella ricostruzione di Kobane. Moltissimi profughi siriani, circa 400.000 si sono stabiliti nei campi profughi intorno a Sanliurfa e Suruç. Ne abbiamo visitati 3 che accolgono curdi siriani costretti alla fuga, autogestiti dai profughi, col supporto della municipalità di Suruç impegnata a fornire beni di prima necessità, cibo e infrastrutture. Nel campo dedicato alla martire delle YPJ – ARIN MIRXAN – restano solo 90 delle 470 tende presenti fino a pochi mesi fa. Tra i profughi molti hanno deciso di tornare a Kobane per partecipare alla ricostruzione della città, molti altri sono stati costretti a partire per l'Europa.
Nel secondo campo che abbiamo visitato, dedicato alle famiglie dei martiri, abbiamo incontrato decine di persone che aspettano la restituzione dei corpi dei propri parenti. Circa 600 nuclei familiari hanno usufruito di questa struttura; adesso ne restano circa 90, accolti in container.
Il terzo campo che abbiamo visitato, KULUNCE, fino a poche settimane fa ospitava circa ottomila persone. Ora ne restano alcune centinaia, mentre il campo sta venendo progressivamente smantellato. Ciò non ha impedito, dieci giorni fa, a 200 militari dell'esercito turco di fare irruzione, distruggendo la scuola di lingua curda e l'ambulatorio medico. Nell'operazione un volontario internazionale è stato arrestato con l'accusa di terrorismo e reimpatriato.
I PARTIGIANI DI KOBANE
Il nostro viaggio è poi proseguito a Misanter, piccolo villaggio a poche centinaia di metri da Kobane, luogo strategico nonchè punto di incontro e di supporto alla resistenza per il Rojava.
Lì è stato costruito un piccolo museo, dedicato alle guerrigliere ARIN MIRXAN e KADER ORTAKAYA. Al suo interno, oltre allo spazio dedicato ai martiri, è stata allestita una biblioteca che accoglie libri donati da attivisti e combattenti. Nei pressi di Suruç abbiamo visitato un cimitero dove riposano circa sessanta caduti nella Resistenza di Kobane. Assieme a loro sono sepolti anche due delle trentatre vittime dell'attentato del 20 luglio scorso al centro Amara.
Infine siamo stati accolti nel villaggio di Mesher, che lo scorso anno ha ospitato le staffette di Rojava Calling. Quel luogo che per primo ci ha fatto avvicinare alla lotta delle combattenti e dei combattenti che danno tutt'ora la loro vita per il confederalismo democratico. A Mesher abbiamo mangiato insieme alla municipalità di Suruç e abbiamo incontrato le rappresentanti di KJA, che ci hanno invitato ad un confronto sull'esperienza delle donne e sul cambiamento del loro ruolo nei villaggi e nelle città del Rojava.
"We can be free together but we can't be free alone".
#carovanakobane - Carovana Internazionale per l'apertura di un corridoio umanitaio verso Kobane.
la Repubblica
11 09 2015
Ha spiazzato e disarmato la semplicità e la dolcezza raccontata dal video nel quale la piccola bimba tedesca condivide il suo dolcetto con una bambina rifugiata appena arrivata a Monaco.
Ma altrettanto toccante e significativa è questa immagine catturata e twittata da Carlo Angerer, multimedia reporter della NBC News.
Ad essere immortalato questa volta è un gesto simile a quello del video ma a parti invertite: in questo caso infatti è una piccola siriana che, durante un blocco della polizia ungherese lungo la linea ferroviaria nei pressi di Szeged, nei pressi del confine con Serbia e Romania, sorprende tutti offrendo un biscotto ad uno degli agenti, visibilmente sorpreso.
a cura di Nicola Perilli