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Le persone e la dignità 
19 06 2015

Si può discutere sulle cause della guerra che sta devastando la Siria da ormai quattro anni, se sia frutto di una rivolta di popolo contro la dittatura o di un complotto eterodiretto per spodestare il presidente Bashar al-Assad.

Ma c’è qualcosa di più urgente da affrontare: gli effetti di quella guerra. Su quelli c’è poco da discutere: devastazione, crimini di guerra e contro l’umanità. E quattro milioni di rifugiati. Il 95 per cento di loro è ospitato in soli cinque paesi, quattro dei quali confinano con la Siria: Giordania, Turchia, Libano e Iraq. Il quinto è sempre in zona, l’Egitto.

È normale. Chi conosce bene la storia dei rifugiati sa che, con poche eccezioni, quando scoppia un conflitto si cerca riparo nel paese più prossimo, perché non si hanno altri mezzi per andare più lontano e perché si spera che il ritorno sia immediato e agevole. Del resto, l’86 per cento dei rifugiati nel mondo si trova nei paesi in via di sviluppo.

Chi ha maggiori disponibilità economiche o chi riesce a vendere tutto per trovare i soldi per il viaggio, prova ad arrivare in Europa. Potrebbe farlo semplicemente e in modo sicuro, prendendo un aereo dalla Turchia o dal Libano verso uno scalo europeo.

Nell’impossibilità di chiedere asilo in modo legale in Europa, quell’aereo viene sì preso ma con destinazione qualche capitale africana, dove inizia il viaggio nelle mani dei trafficanti verso la Libia. Da qui, nel 2015, è arrivato il 33 per cento dei cittadini stranieri giunti alla frontiera marittima europea.

Ma torniamo al 95 per cento di rifugiati siriani che ha trovato un precario riparo nella regione.

Più di tre milioni di rifugiati siriani si trovano in Turchia e Libano. In questo paese, una persona su cinque è un rifugiato siriano.

Di fronte a questa situazione, le autorità di Beirut hanno alzato bandiera bianca, introducendo dall’inizio dell’anno misure sempre più restrittive sull’ingresso dei rifugiati siriani. Il loro numero è calato e diversi di loro sono stati respinti in mezzo alla guerra.
Che ha fatto la comunità internazionale per fronteggiare una delle peggiori crisi dei rifugiati dalla Seconda guerra mondiale, che vede oltre il 50 per cento della popolazione di un paese sfollata?

Poco o nulla.

L’appello umanitario delle Nazioni Unite per fronteggiare la crisi dei rifugiati siriani in Libano è stato finanziato per appena il 23 per cento del necessario. Così, ogni rifugiato siriano in Libano riceve al mese assistenza alimentare equivalente a 16,9 euro, poco più di 50 centesimi al giorno. In Giordania, oltre l’80 per cento dei rifugiati siriani vive al di sotto della soglia di povertà della popolazione locale.

I posti per il reinsediamento messi a disposizione dai paesi più ricchi sono meno di 90.000, ossia il 2,2 per cento del totale del rifugiati siriani.

Di fronte a questi dati, parole come “solidarietà” e “condivisione” suonano vuote. Buone per un comunicato stampa al termine di uno dei tanti vuoti vertici in cui più che a salvare vite umane si pensa a salvare la faccia.

Riccardo Noury

 

Alla riconquista di Tel Abyad

  • Martedì, 16 Giugno 2015 10:03 ,
  • Pubblicato in Flash news
Il Manifesto
16 06 2015

“E’ iniziata l’offensiva. Ypg e Ypj si sono visti dai due lati del fronte”. Sono le parole del comandante Raugin delle Ypj (Unità di protezione delle donne), le combattenti curde che con il sostegno delle brigate unite Burkan al-Furat (Vulcano dell’Eufrate) stanno avanzando su Tel Abyad

Kobane-Turchia sola andata

  • Giovedì, 11 Giugno 2015 08:27 ,
  • Pubblicato in Flash news
Il Manifesto
11 06 2015

Il conflitto in Siria ha cambiato il volto anche delle città turche. Spesso nei centri urbani capita di sentire la gente parlare arabo più che turco o kurdo.

I profughi siriani hanno ormai trovato la loro seconda vita tra Istanbul, Izmir e Ankara. Una immigrazione forzata di classe media che ha prodotto non poca vitalità culturale e creatività in Turchia.

Tra artisti, ingegneri e intellettuali i notabili di Aleppo, Damasco e Homs hanno ormai trovato il loro posto nella borghesia urbana turca. Eppure i siriani in Turchia si rivolgono l'uno all'altro con non poco scetticismo e sospetto. ...

Si riaccende lo scontro tra Isis e kurdi siriani

  • Mercoledì, 03 Giugno 2015 09:23 ,
  • Pubblicato in Flash news

Milano In Movimento
03 06 2015

Siria. Il califfato avanza a Homs, Aleppo e verso il confine con la Turchia. Sulla graticola finisce anche il presidente turco Erdogan che minaccia di altre censure la stampa nazionale.
L’ennesima bar­ba­ria va in rete: lo Stato Isla­mico ha pub­bli­cato in inter­net un nuovo video che mostra la ter­ri­bile tor­tura a cui i mili­ziani hanno sot­to­po­sto un 14enne siriano a Raqqa, la “capi­tale” dell’Isis. Appeso ad un muro per i piedi, il gio­vane Ahmed viene costretto con l’elettrochoc e le fru­state a con­fes­sare di voler attac­care il calif­fato. Un video folle, otte­nuto dalla Bbc che è riu­scita a inter­vi­stare Ahmed, fug­gito da Raqqa in Tur­chia dopo due giorni di tor­ture e il carcere.

Anche sul campo di bat­ta­glia, intanto, pro­se­gue la vin­cente pro­pa­ganda del califfo. Dopo Pal­mira, che ha per­messo al califfo di arri­vare al cuore del paese, ora lo Stato Isla­mico torna a minac­ciare la regione kurdo-siriana di Rojava. Kobane ha resi­stito e ha vinto. Adesso nel mirino c’è Hasa­keh: l’offensiva è par­tita sabato, da sud. I mili­ziani del calif­fato sono entrati per 4 km all’interno della città e posto un chec­k­point a sud.

Dome­nica le mili­zie kurde sono riu­scite a rias­su­mere il con­trollo di 8 vil­laggi a sud est di Kobane, vicino la città di Raqa, assi­stiti dai raid della coa­li­zione anti-Isis. Altre 4 comu­nità sono state riprese nell’area di Hasa­keh. Gli scon­tri, ripor­tano fonti locali, sono ancora in corso. L’offensiva con­tro Hasa­keh è ini­ziata dopo l’uccisione da parte di mili­ziani kurdi di 20 civili accu­sati di affi­lia­zione all’Isis e la demo­li­zione di case di sospetti mili­ziani a Ras al-Ain e Tal Tamr.

Un fine set­ti­mana denso di vit­to­rie per il califfo, che ha strap­pato ancora ter­ri­to­rio sia al governo di Dama­sco che a gruppi di oppo­si­zione rivali. Si è allar­gato nella pro­vin­cia di Homs, al cen­tro, e in quella di Aleppo, a nord ovest. Secondo i cal­coli dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, le recenti con­qui­ste hanno rega­lato al calif­fato il con­trollo di un’area di 300mila km qua­drati, grande quanto l’Italia.
E ora un altro punto rischia di essere segnato: l’Isis sta avan­zando verso la città di Marea, sulla strada che porta alla Tur­chia. Ma il con­fine, nei fatti, è già stato preso: dome­nica lo Stato Isla­mico ha assunto il con­trollo della città di Soran Azaz e dell’area intorno al valico di con­fine con il ter­ri­to­rio turco, Bab al-Salam, tra Aleppo e la pro­vin­cia turca di Kilis. Un peri­colo per i gruppi ribelli che da tempo rice­vono armi e aiuti dalla fron­tiera turca.

Sulla gra­ti­cola fini­sce così anche il presidente-sultano turco Erdo­gan: la scorsa set­ti­mana i media ave­vano ripor­tato le dichia­ra­zioni di un pro­cu­ra­tore e alcuni gen­darmi che accu­sa­vano Ankara di aver for­nito armi a gruppi estre­mi­sti in Siria, a bordo di camion scor­tati dai ser­vizi segreti. Oggi Erdo­gan vomita la sua rab­bia sulla stampa: il pre­si­dente ha minac­ciato il quo­ti­diano Cum­hu­riyet per aver pub­bli­cato imma­gini dei camion di pro­prietà dei ser­vizi. «L’indiviudo che ha ripor­tato la vicenda come una sto­ria esclu­siva pagherà un prezzo alto. Non la lasce­remo pas­sare». L’ascia della cen­sura di Stato potrebbe di nuovo zit­tire le voci indi­pen­denti turche.

 

 

la Repubblica
28 05 2015

La battaglia tra lo Stato islamico e l'esercito di Baghdad continua a lasciare dietro di sè una scia di sangue che sembra non finire mai. Questa mattina in Iraq i cadaveri di 470 persone sono stati rinvenuti in fosse comuni nei pressi della città natale di Saddam Hussein, Tikrit, secondo quanto riferito dall'emittente al-Arabiya.

Si tratterebbe dei resti dei soldati iracheni uccisi in quello che viene definito il 'massacro di Speicher', una base nei pressi di Tikrit, lo scorso giugno. L'Onu e le Ong stimano che possano essere fino a 1.700 i militari uccisi sommariamente dai jihadisti dell'Is. La città è stata liberata dagli jihadisti lo scorso aprile dopo una lunga e dura battaglia.

L'avanzata degli jihadisti dello Stato islamico sembra inarrestabile, nonostante i bombardamenti mirati della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. La presa di Ramadi, 100 km a ovest di Bagdad, e di Palmira, nel cuore della Siria, ha mostrato tutti i limiti della risposta internazionale alla minaccia dello Stato islamico. I miliziani stanno attuando un regime durissimo là dove arrivano al potere: in Siria almeno 464 persone sono state giustiziate nell'ultimo mese. Tra le vittime ci sono 149 civili, mentre il resto sono soldati siriani, combattenti ribelli moderati e miliziani jihadisti accusati di tradimento. Questi i dati forniti dall'Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha aggiornato a 2.618 il numero delle persone uccise dai miliziani jihadisti da quando, a giugno dell'anno scorso, fu proclamato il 'califfato islamico'.

Continuano le violenze nella città di Palmira ormai nel pieno controllo dello Stato islamico. Nella città si sono registrate la metà delle 464 persone uccise dall'Is in questo mese. Ieri venti soldati e miliziani filo-regime siriani sciiti e alawiti sono stati uccisi a colpi d'arma da fuoco dall'Is nell'anfiteatro del sito romano della città. Oggi circolano in rete, pubblicate dall'Is, nuove foto che sarebbero state scattate nelle ultime ore in cui si nota la bandiera nera del gruppo che campeggia sull'anfiteatro (teatro ieri di 20 esecuzioni pubbliche) e mostrano anche la "prigione della morte", il carcere di Palmira per decenni trasformato in 'girone infernale' degli oppositori del regime Assad.

Nel frattempo resta molto complicato anche il fronte libico. dove la situazione potrebbe precipitare da un momento all'altro. "Daesh (l'Is) vuole che la guerra civile continui. Se non c'è un accordo per un governo di unità nazionale e se la guerra continua è Daesh a vincere in Libia". E' pessimista

Bernardino Leon, inviato dell'Onu e negoziatore tra le parti in Libia, oggi in visita a Bruxelles. "La Libia è vicina al collasso. Per il Paese non c'è più tempo" ha detto Leon durante una conferenza organizzata dal gruppo S&D al Parlamento europeo.

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