di Rosaria Amato, repubblica.it
23 maggio 2011Ma ai giovani non va meglio: la quota dei
Neet (che non studiano né lavorano) è al 22,1%, oltre 2,1 milioni. Ed è una condizione "che permane nel tempo". In aumento i disoccupati anche tra gli stranieri
Una donna che poco dopo i 50 anni è diventata nonna e divide il suo tempo tra i nipotini, i genitori anziani, il lavoro fuori casa, il lavoro in casa e un figlio trentenne che ha perso un lavoro precario e mal retribuito nel biennio della crisi. Una giovane madre che ha firmato le dimissioni in bianco al momento dell'assunzione e festeggia da disoccupata il primo anno di vita del figlio. Una laureata sottoinquadrata che guadagna pochissimo ma ha dovuto accettare il part-time perché era l'unico modo di lavorare. Un'anziana ultrasessantaquattrenne assorbita dal lavoro domestico al quale dedica 3 ore e 36 minuti in più del suo compagno che invece ha finalmente tempo da dedicare a se stesso negli anni della pensione.
E' questo il poco confortante ritratto delle donne italiane che emerge dal Rapporto Annuale dell'Istat, presentato stamane a Montecitorio dal presidente Enrico Giovannini. Siamo il Paese con il più basso tasso di occupazione femminile dopo Malta e l'Ungheria. Ma anche quello nel quale le donne sono più "spremute". Sulle loro spalle si appoggia il welfare che non c'è, sostituiscono la mancanza di asili nido e le tante insufficienze dell'assistenza agli anziani. Una situazione che non può durare ancora a lungo: "La catena di solidarietà femminile tra madri e figlie su cui si è fondata la rete di aiuto informale rischia di spezzarsi", avverte l'Istat.
Non se la passa bene neanche l'altro anello debole della catena, i giovani. Sui quali si è
scaricato il peso della crisi, di un mercato del lavoro riformato solo a metà, delle imprese che stentano a crescere e che sostituiscono crescita e investimenti con un abbattimento selvaggio del costo del lavoro, a carico esclusivamente dei meno garantiti. E se dalla Spagna arrivano le proteste degli "indignados" 1, da noi continua a crescere il numero dei NEET ("not in education, employment or training": in una parola, giovani nullafacenti), che nel 2010 avevano superato i 2,1 milioni, 134.000 in più rispetto a un anno prima, il 22,1% della fascia di età compresa tra i 15 e i 29 anni (l'anno prima erano il 20,5%). Il 65,5% dei NEET è inattivo, il 34,5% è costituito da disoccupati. L'87,5% degli uomini vive con i genitori, contro il 55,9% delle donne, che invece per il 38,3% sono partner in una coppia con o senza figli. La condizione di NEET, sottolinea l'Istat, "permane nel tempo: oltre la metà resta tale per almeno due anni".
Donne: sottoccupate fuori, sfruttate nel circuito familiare. La situazione delle donne italiane è singolare e, rileva l'Istat, rappresenta un unicum nel panorama europeo. Perché da un lato il mercato del lavoro le sottovaluta e le espelle appena può, dall'altro però si fanno carico di un welfare sempre più assente che poggia quasi esclusivamente sulle loro spalle. Nel 2010 è peggiorata la qualità del lavoro femminile e scesa di 170.000 unità l'occupazione qualificata, mentre è aumentata di 108.000 unità quella non qualificata - in pratica sono uscite dal mercato del lavoro donne istruite con un buon lavoro, sono entrate badanti e impiegate nei servizi di pulizia straniere ma anche italiane. Il part-time femminile è cresciuto di 104.000 unità, ma si tratta interamente di part-time involontario. In generale, il tasso di occupazione femminile nel 2010 si è attestato al 46,1%, 12 punti percentuali in meno rispetto a quello europeo. Se si guarda al Sud però è ancora peggio: infatti nel Mezzogiorno solo 3 donne su 10 sono occupate, contro le 6 su 10 del Nord.
Disparità salariale e sottoinquadramento. Il 40% delle occupate ha un lavoro che richiede una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta (tra gli uomini la percentuale è del 31%). Nel 2010 si è anche aggravata la "disparità salariale di genere": la retribuzione netta mensile delle lavoratrici dipendenti è in media di 1077 euro contro i 1377 dei colleghi uomini, il 20% in meno.
Le dimissioni in bianco: 800.000 senza lavoro dopo la nascita di un figlio. La triste pratica delle "dimissioni in bianco" per le donne che diventano madri non è mai tramontata, anzi. Sono circa 800.000 (pari all'8,7% delle donne che lavorano o che hanno lavorato) "le madri che hanno dichiarato di essere state licenziate o messe in condizione di doversi dimettere, nel corso della vita lavorativa, a causa di una gravidanza. Solo quattro madri su dieci tra quelle costrette a lasciare il lavoro ha poi ripreso l'attività, ma con valori diversi nel Paese: una su due al Nord e soltanto poco più di una su cinque nel Mezzogiorno.
Il sovraccarico di lavoro familiare. Se fuori casa lavora poco, in casa la donna lavora moltissimo: sulle donne pesa il 76,2% del lavoro familiare delle coppie, da quello domestico a quello di cura. La disparità dei tempi di lavoro cresce con l'età: per le occupate tra i 45 e i 64 anni c'è un surplus di 1 ora e 33 minuti in più di lavoro rispetto al proprio partner.
Le difficoltà degli stranieri. Gli stranieri. Il tasso di occupazione degli stranieri è sceso dal 64,5% del 2009 al 63,1% del 2010 - in termini assoluti gli occupati sono aumentati, ma solo perché è cresciuta la popolazione straniera. Si tratta di una categoria che presenta un tasso molto alto di sottoinquadramento: sono 880.000 quelli che hanno un livello di istruzione e un profilo più elevato rispetto a quello richiesto dal lavoro svolto. Inoltre guadagnano il 24% in meno rispetto agli italiani - la loro retribuzione netta media è di 973 euro contro i 1.286 della retribuzione media dei nostri connazionali. Il differenziale aumenta fino al 30% per le donne.