di
Adele B.14 febbraio 2012

E’ una bella giornata di
sole e scrivo della persona che più
amo al mondo - mio
padre - a cui dedico questo San Valentino, probabilmente anche perché non posso più parlare con lui.
Sono di una
generazione in cui la cultura dell’epoca e l’organizzazione delle relazioni familiari istituiva in qualche modo l’
assenza del padre nel contesto familiare, costringendolo per lo più ad uno schema
educativo rigido, lasciando la crescita affettiva, emotiva e morale in
carico alla madre.
Ancora oggi non viene riconosciuta nel senso comune la fondamentale importanza della figura del padre nella costituzione della identità dei figli/e, ma oggi come allora, credo che più di ogni altra cosa a dover funzionare è l’asse genitoriale, laddove la differenza di genere e i detriti delle storie personali devono potersi sciogliere nell’intreccio di una relazione umana e sessuale che funzioni e che possa chiamarsi ‘amore’.
Parlando esclusivamente della relazione obliqua che intercorre tra un padre ed una figlia (sapendo che con altri esiti il discorso vale ugualmente nella relazione con i figli maschi), ho imparato a comprendere quanto l’assenza di un padre sin dalle fasi iniziali della vita, possa condizionare l’esistenza di una bambina e di un’adolescente, pregiudicandone sine die la compenetrazione degli aspetti maschili con quelli femminili.
L’assenza di un corpo di uomo, di una sana affettività e di una identità maschile con cui prendere confidenza e con cui poter interagire sin dalle fasi iniziali della vita.
Quanto questa assenza possa segnare nel profondo, volgendo rovinosamente nel corso della propria vita in una ricerca incessante di un aspetto mancante del sé, da sublimare con atteggiamenti mascolinizzati o con la negazione della propria identità femminile, o con una femminilità seduttiva esasperata, nella illusoria impresa di una riconquista fuori tempo massimo di quell’oggetto maschile tanto desiderato.
Ritrovo costantemente la stessa indicibile assenza, più o meno consapevole, con forme e vissuti diversi, in molte delle mie amiche o delle donne che conosco. E’ doloroso doverlo riconoscere e ancora più parlarne, se non in maniera fredda, distratta. “Nessun dolore” diceva una canzone di Battisti.
Spesso, o forse sempre, la incontrovertibilità del vissuto si trasforma in odio e rivendicazione nei confronti del maschile, degli uomini.
Se poi hai la ricorrente sfortuna per una donna di incappare in una violenza sessuale (nomino solo la più crudele delle evenienze, che sia un padre a compiere un abuso nei confronti di una figlia), la possibilità di avere una relazione affettiva e sessuale contrattuale e paritaria con l’altro, si richiude sulla tua testa, come una gabbia di ferro che ti cresce da dentro. Mentre il sogno continua a scavare, cercando evasioni prive di probabilità traducibili nella realtà.
Al contrario un padre è come lo scambio di un treno, un dispositivo esistenziale che può immettere la vita di una figlia in una direzione di mobilità e trasformazione costante. Un cavo d'acciaio a cui potersi tenere per tutta la vita.
Ho compreso quanto per mio padre fosse difficile diventare un padre, avendo avuto una relazione conflittuale con il suo e una relazione senza confine con la madre. Quanto fosse per lui inevitabile la spinta alla sottrazione e alla replica. Accade ogni qualvolta i genitori invertono la linearità dell’esistenza sostituendosi ai figli come oggetto di cura, occupando la tavola con i loro problemi irrisolti, invece che accogliere i figli con amore ed aiutarli a crescere e a separarsi da loro.
Del rapporto con mio padre negli anni precedenti alla sua morte, ho recuperato tutto quello che era nelle mie umane possibilità e limiti del momento. Ne sono stata ricambiata ed è la cosa più preziosa che ho. Credo che lo abbia aiutato a comprendere molte cose di se stesso, anche se ho paura che fosse troppo tardi per lui e che troppo amaramente lo abbia realizzato.
Ho avuto la enorme fortuna di avere un padre di straordinaria umanità, onestà e gentilezza di animo, ma ho imparato a comprendere mio malgrado quanto sarebbe stato più remunerativo per me poter scambiare la mediocrità con la qualità della presenza.
Non si parla mai del fatto che l’immagine interiorizzata di un padre in fuga si traduce quasi sempre per una figlia nell’incontro con uomini che a poli invertiti sono in costante fuga o disprezzo del femminile. In un disallineamento costante che incide sul piano della relazione con le figure maschili della vita di una figlia, siano amici o persone con cui si deve trattare nelle esperienze di studio e nel mondo del lavoro. L’esito più negativo è quello che riguarda le relazioni affettive.
L’immagine mitopoietica di un padre in fuga vincola malignamente una figlia ad una narrazione fallimentare della relazione, quindi all’affanno dell’inseguimento o alla scelta mirata all’infelicità dell’assenza di scambio profondo e di felicità sessuale.
Guardo per la strada molti dei padri di oggi, mi fanno sorridere per l’amore e la tenerezza che sanno dare ai loro figli. Solitamente le bambine che possono passare molto tempo con il padre sono le più felici di tutte, e godranno di molta autostima per questo.
Credo che sia di prioritaria importanza incrementare oggi un discorso pubblico sull’importanza dei padri nella costruzione delle identità dei loro figli, oltre a quella delle madri ovviamente.
Non perdo la speranza di incontrare un uomo con cui poter sciogliere la gabbia, sostituire l’immagine, come un arto invisibile a cui far prendere vita, come una parola ricacciata nello stomaco che nel profondo mi fa sentire ancora oggi il corpo di un uomo così nemico, perché desiderato e inarrivabile.