Di loro sappiamo poco, non sappiamo neppure come chiamarli e li etichettiamo tutti come "zingari". A lungo vittima di persecuzioni (basta ricordare i 500 mila uccisi dai nazisti), il popolo Rom è una delle più radicate minoranze del Vecchio continente. In Europa sono più di undici milioni. In Italia, le comunità romanès erano conosciute in Abruzzo già a partire dalla seconda metà del quattordicesimo secolo, anche se il primo documento certo che attesta la loro presenza nel nostro Paese è un'anonima cronaca bolognese del 18 luglio 1422, che racconta di "genti che dicevano di provenire dall'India".
Quanti sono? Il loro numero è spesso sovrastimato. Oggi in Italia sono 170 mila, in maggioranza minorenni. Il 60 per cento è italiano, diviso in parti uguali tra Rom e Sinti di antico insediamento. Questi vivono per lo più in case, nei campi nomadi si trovano invece gli stranieri: Rom dell'ex- Jugoslavia (30 mila) o romeni di recente immigrazione (40 mila). Ma chi sono davvero?
In Rom, genti libere (Dalai editore) per la prima volta un Rom italiano, Santino Spinelli (che è anche musicista e saggista) offre una storia complessiva del suo popolo, provando a cambiare i punti di visti tradizionali e a sfatare alcuni luoghi comuni. Si viene così a sapere che la popolazione romanì è costituita essenzialmente da cinque grandi gruppi, diversi per provenienza e cultura: Rom, Sinti, Kale, Manouches e Romanichals. La complessità non si ferma qui, questi gruppi sono infatti suddivisi a loro volta in centinaia di sottogruppi e comunità, in base al dialetto, alla fede, al mestiere e alla regione in cui si insediano.
Qualche esempio: gli Xoraxané sono i Rom di religione musulmana; i Sinti Mucini derivano il loro nome da "mocciosi" e sono fra le comunità più emarginate; i Rom Lautari sono musicisti di professione, presenti in Romania, Ungheria, Repubblica Ceca e anche in Italia. E ancora: durante la Seconda guerra mondiale, ci fu una comunità romanì considerata dai nazisti "di sangue puro". Erano i Lalleri, gli unici secondo Himmler che avrebbero meritato di sopravvivere al genocidio. Quanto alla parola "zingari", questa non solo non basta a fotografarli tutti, ma viene considerata dispregiativa. Andrebbe sostituita con "popolazione romanì" o "comunità romenès", espressioni che "coprono adeguatamente l'esigenza di raggruppare tutti i differenti gruppi".
Tante sono poi le celebrità di origine romanì, seppure molte hanno preferito non rivelare queste loro radici per paura di vedersi schiacciare dai pregiudizi. Molti i protagonisti del mondo dello spettacolo, a partire da Charlie Chaplin (la cui nonna sarebbe stata una "mezza zingara" e "un'onta per la famiglia") per arrivare fino al ballerino Joaquìn Cortés. E poi personaggi illustri e potenti. Stefan Razvan fu un Rom che divenne voivoda (governatore) della Moldavia il 24 aprile 1595, ma il suo regno durò solo pochi mesi fino all'agosto dello stesso anno. Finì giustiziato brutalmente in Transilvania dai suoni nemici. Schack August Steenberg Krogh era invece un Rom danese.
Ottenne il premio Nobel per la medicina nel 1920, grazie alla scoperta del meccanismo che regola i capillari nei muscoli che sostengono lo scheletro. Ancora oggi molte sue invenzioni vengono usate negli ospedali, a partire dalle pipette di precisione che hanno migliorato l'analisi dei gas. Tra i Rom c'è anche un presidente della Repubblica. Si tratta di Juscelino Kubitschek de Olivera, allevato da una mamma Rom di origine cecoslovacca. Politico brasiliano, raggiunse la presidenza nel 1956. "Stimolò l'integrazione del territorio nazionale - scrive non senza enfasi Spinelli - e consolidò il regime democratico. La sua presidenza fu caratterizzata da una grande prosperità economica e stabilità politica.
Promosse la costruzione della nuova capitale: Brasilia". Non manca infine un beato Rom: Ceferino Gimenéz Malla, detto El Pelé, ucciso a Barbastro (Spagna) nel luglio del 1936 durante la guerra civile spagnola. Nell'omelia di beatificazione, Giovanni Paolo II ha ricordato la necessità di superare "quegli antichi pregiudizi che portano a subire forme di discriminazione e di rifiuto che alle volte conducono a una non desiderata emarginazione del popolo Rom".