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Apriamo le porte delle nostre case ai profughi siriani

Huffington Post
27 02 2014

A tre anni dall'inizio degli scontri in Siria, tutte le speranze che il paese ritorni ad una vita normale sembrano andate perdute.

L'incontro a Ginevra, avvenuto qualche settimana fa, lungi dal trovare un accordo fra le parti, non ha fatto altro che peggiorare, se possibile, la situazione. Quando finiranno i bombardamenti, i morti, le torture, la distruzione, di un intero popolo? Non so quanti se lo chiedano, in Italia o nel mondo. La cosa, in fondo, sembra non interessare più di tanto. I media, nonostante tutto, ci aiutano a dimenticare. È chiaro che se ogni giorno siamo sottoposti a bombardamenti visivi, con foto di distruzione e sangue, anche il nostro cervello incamera queste immagini come "già viste", cioè "normali". Foto di bambini uccisi, ritratti di medici che hanno perso la vita, adulti torturati e violentati, prima e dopo la morte, edifici ed interi quartieri che saltano in aria, non sembrano farci più alcun effetto.

Altra cosa, invece, è avere a che fare con le persone direttamente, cioè con uomini e donne coraggiosi che solo nella fuga, abbandonando casa, lavoro, parenti, amici, lasciandosi alle spalle un vita intera, ritrovano una nuova speranza di vita per sé stessi e per i loro figli. Sono circa 2.500.000 i siriani che hanno trovato rifugio nei campi profughi dei paesi limitrofi, Egitto, Giordania, Libano; in Siria sono rimasti circa nove milioni di sfollati. Ma anche i paesi limitrofi negli ultimi giorni hanno chiuso le frontiere. I numeri comunque sono destinati a salire. Se non si fermano le atrocità, non si fermano i profughi.

Molti di essi partono per l'Europa, diretti verso i paesi del nord, che, almeno fino ad oggi, li hanno accolti: Germania, Svezia, Danimarca. Ma fino a quando?

Uno dei percorsi più utilizzato è quello che passa dall'Italia. I profughi partono dall'Egitto, arrivano in Libia, prendono un battello per l'Italia, arrivano sulle coste della Sicilia. Da lì, la tappa successiva è la stazione Centrale di Milano. Dal 18 ottobre 2013, cioè durante quattro mesi, ne sono passati 1800. Non credo che nessuno di loro si sia fermato a Milano. Dopo i primi giorni, un po' confusi, Milano si è organizzata per l'accoglienza; è l'unica città che ha allestito dei centri per i profughi siriani "di passaggio".

Ufficialmente i profughi siriani non esistono, l'Italia dovrebbe essere solo un "corridoio umanitario", e lo è, di fatto. Quando essi arrivano in stazione centrale c'è sempre qualcuno ad accoglierli, ad aiutarli per trovare un luogo dove restare qualche giorno, in attesa di organizzare la tappa successiva.

E' successo però che lì due centri di accoglienza abbiano spesso esaurito la loro capacità di accoglienza. Come medico in uno di tali centri, ho avuto l'opportunità di conoscere molte delle famiglie che sono transitate da Milano ed ora vivono finalmente in Svezia, dove si sono perfettamente inserite, fin dai primi giorni. Sono stati loro a chiedermi di ospitare per qualche ora una famiglia, in transito per la Svezia, in una giornata di pioggia terribile, in cui sono arrivati a Milano circa cento profughi ed il Comune si stava attivando per trovare loro un luogo dove stare.

Ho pensato al progetto già attuato in Svizzera, dove cento famiglie hanno dato la loro disponibilità ad ospitare in casa loro i profughi siriani. In Svizzera certo non sarà quindi considerato un reato ospitarli nella propria casa, visto che su questo si è costruito un progetto. Perché no? Mi sono detta. Ed è stato tutto facile. La famiglia è arrivata: padre, madre, incinta, con tre bambini. Ho dato loro un stanza dove stare tranquilli e riposare, bagni e docce a disposizione, la signora mi ha aiutato a cucinare per tutti, i bimbi si sono messi al computer con i loro giochi (già espertissimi). Alla sera abbiamo dovuto discutere un po' perché si rifiutavano di andare nel Centro di accoglienza, non si fidavano ed avevano paura di essere identificati, cosa che avrebbe impedito loro di andare in qualsiasi altro paese. Ma tutto è andato per il meglio. So che sono già arrivati a destinazione.

Come esperienza la ripeterei, anche per periodi più lunghi, e la consiglierei. In fondo a Milano sarebbe sufficiente che 30/40 famiglie aprissero le porte della propria casa e sarebbe già una piccola rivoluzione: la famiglia al posto del centro di accoglienza, che fra l'altro, oggi c'è, ma domani non si sa.

Rosamaria Vitale

 

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