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Ma è davvero giusto punire i clienti delle prostitute?

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25 10 2014

GIORGIA SERUGHETTI

L'Irlanda del Nord ha approvato la penalizzazione dell'acquisto di servizi sessuali. Dopo la Svezia, la Norvegia e l'Islanda, il modello proibizionista si diffonde in Europa.

Con l’approvazione in prima lettura della nuova legge sulla tratta e lo sfruttamento sessuale, l’Irlanda del Nord potrebbe diventare il nuovo avamposto del modello “svedese” o “nordico” di lotta alla prostituzione, l’approccio neo-proibizionista che mira a punire i clienti come via maestra per scoraggiare, ridurre e infine eliminare il commercio sessuale. Grazie a uno schieramento bipartisan di sostenitori della norma, al Parlamento di Belfast i voti favorevoli sono stati una maggioranza schiacciante – 81 contro i 10 contrari – e a Londra già si parla della necessità di estendere questa misura a tutto il Regno Unito.

Una coalizione che unisce varie sigle della società civile, e che ha forti appoggi anche a Westminster, ha lanciato la campagna End Demand, facendo pressione perché l’acquisto di servizi sessuali sia trasformato in reato, e la vendita decriminalizzata. Perché è così che la pensano i fautori del modello nordico in Svezia, in Norvegia, in Islanda dove è stato adottato, ma anche in Francia dove la legge è in discussione, al Parlamento Europeo che ha approvato una risoluzione in questo senso a febbraio, e ora in Uk: chi si prostituisce deve essere tutelato, non punito, perché non è che una vittima di questo business. Responsabile è chi paga.

In apparenza siamo di fronte alla panacea di tutti i mali, allo strumento definitivo per eliminare una pratica che anche buona parte del femminismo, non solo i pubblici moralizzatori dei costumi, ha storicamente criticato e combattuto. Dovrebbe però sollevare almeno qualche interrogativo il fatto che le persone stesse che si prostituiscono rimandino al mittente questa offerta di aiuto. Secondo un sondaggio commissionato dal Dipartimento di Giustizia, il 98% delle/i sex worker in Irlanda del Nord è contrario alla nuova legge: il 61% pensa che renderà il loro lavoro meno sicuro, l’85% pensa che non servirà a ridurre la tratta e lo sfruttamento. C’è anche chi, come Hannah, un’escort indipendente, rivela al Guardian che ha “pianto a dirotto” quando è passata la norma: “Non voglio questo, ho tutte le capacità per lavorare, perché mi portano via il lavoro?”.

Insomma, è chiaro che la preoccupazione prevalente dei decisori riguarda qui il trafficking, la tratta a scopo di sfruttamento sessuale. Ma i problemi sono almeno due. Uno è che non si tiene conto della realtà composita del mercato del sesso, dove coesistono costrizione e scelta, inganno e consapevolezza, strategie di sopravvivenza e progetti di vita familiare, miseria e ricchezza. La prostituzione è un universo plurale, sia per caratteristiche e motivazioni di sex worker e clienti, sia per modelli di business, luoghi di esercizio, tipologia dell’offerta. Trattarlo come luogo di soggezione universale non rende conto di questa pluralità di situazioni, e delle diverse volontà di chi vi è coinvolto.

Il secondo problema è che, come sostiene da tempo una fitta rete di organizzazioni europee e internazionali che opera in favore di sex worker e vittime di tratta, e che si è fatta sentire anche in occasione della discussione della risoluzione al Parlamento Europeo, la criminalizzazione porta con sé il rischio di maggiore precarietà, povertà, marginalità, violenza per le persone che si prostituiscono, anche quando vittime di sfruttamento, in particolare se straniere. Perché spinge questo commercio nel sommerso, accrescendone l’illegalità. Lo conferma anche un rapporto del Gruppo Hiv/Aids di UNDP, che raccomanda politiche di depenalizzazione, sostenendo tra l’altro il fallimento del modello neo-proibizionista in Svezia, che ha semplicemente spostato la prostituzione in luoghi più nascosti.

Come riporta ancora il Guardian, l’attivista per i diritti delle sex worker Laura Lee ha dichiarato, anche davanti al parlamento nordirlandese, che “se il modello svedese verrà introdotto in qualsiasi modo e forma nel Nord o nel Sud dell’Irlanda, lo Stato avrà le mani sporche di sangue”. Perché è falso che si possa punire il cliente senza colpire chi lavora nell’industria del sesso.

Insomma se l’intento è “salvare le prostitute” da se stesse, anche contro la loro volontà, siamo sicuri di averne il diritto? E se invece vogliamo aiutare chi si prostituisce a difendersi da sfruttamento, violenza, marginalità siamo sicuri che punire il cliente sia la strada giusta?

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