Corriere della Sera
04 01 2015
Acrobazie, hip hop e gavettoni al cimitero. La generazione che cresce in città Pochi asili e troppo traffico. Save the Children: «Allarme povertà educativa»
di Paolo Di Stefano
Che cos’è la Generazione parkour? In Italia è stata chiamata anche la generazione di «quelli che zompano». Nacque negli anni 80 nella periferia meridionale parigina, dove un gruppetto di adolescenti che passava il suo tempo sulla strada cominciò a inventarsi movimenti impensabili: grandi salti, giravolte per aria, ruote, arrampicate… Era un modo nuovo per sfruttare quel niente che offrivano ai ragazzi gli spazi di cemento delle città in espansione. Questa «arte dello spostamento», sostenuta da associazioni ad hoc, si è diffusa negli ultimi anni anche in Italia, dal Sud al Nord.
Con un capitolo sulla Generazione parkour si apre «l’Atlante dell’infanzia (a rischio)» pubblicato dalla onlus Save the Children Italia, a cura di Giulio Cederna. Titolo: «Gli orizzonti del possibile». Le magnifiche fotografie di Riccardo Venturi sono un viaggio nel Paese che di solito non si vede, da Catania a Torino, da Bari a Verona, interni ed esterni, panoramiche dall’alto su stradoni e quartieri, spazi di incontro e luoghi desolati.
L’avanzata della povertà è nelle immagini e nei testi. I numeri delle mappe fanno il resto. Sono 10 milioni e 125 mila i minori che vivono in Italia, all’interno di 6 milioni e 360 mila famiglie, il 26% di tutte quelle residenti nella Penisola. Ogni famiglia con almeno un figlio vive mediamente in 3,6 stanze. Il taglio maggiore imposto dalla crisi ha riguardato le spese per l’abitazione (30%), ma altre sforbiciate hanno interessato gli asili nido (soltanto il 13 % dei bambini tra zero e due anni ne usufruiscono), i servizi per l’infanzia. L’Istat ha calcolato che, nel 2013, 842 mila famiglie con minori, cioè più di una su dieci, erano in condizioni di povertà assoluta.
L’Atlante parte da questi dati per guardare ai luoghi. «Oggi ciò che manca di più nella nostra realtà è lo spazio. Uno spazio fisico ma anche mentale, che significa possibilità, futuro e speranza», dice Giorgia, una diciassettenne di Palermo. Ragazzi e bambini devono adattarsi, gli psicologi la chiamano «resilienza» (e il parkour ne è un esempio). A Brindisi, nel quartiere-dormitorio del Perrino, privo di negozi e di scuole, i ragazzi hanno inventato un gioco che chiamano «Cimiterolandia» e che consiste nel fare gavettoni con l’acqua dell’unica fontanella antistante il cimitero. Altre attività destrutturate, sul modello «parkour», sono la street dance, l’hip hop, gli snowboard, la giocoleria. L’84% dei minori risiede in centri urbani e il 37% vive concentrato nelle cosiddette aree metropolitane: «Nell’arco di poche generazioni — scrive Cederna — l’Italia dei mille borghi si è ristretta: l’habitat di vita di gran lunga prevalente per i più piccoli e le loro famiglie sono città e metropoli».
l paradosso è che nella crisi demografica, che si profila duratura almeno fino al 2030, «mancano progetti politici innovativi sui minori, cioè sull’Italia di domani». Una città per i bambini è una città migliore per tutti, era lo slogan degli anni 90, nuova stagione di speranze sui diritti dell’infanzia. Fa impressione che in un Paese con 10 milioni di minori circolino 37 milioni di auto, e che le zone a traffico limitato siano meno dell’1% della superficie dei capoluoghi: gli italiani tendono a usare la macchina molto più dei concittadini europei (66% contro il 50). Solo 3 studenti su dieci raggiungono la scuola a piedi.
Restano minimi i luoghi all’aperto che si possono frequentare liberamente e senza pericolo: «bambini ad autonomia limitata». La barriera del movimento individuale è anche una barriera cognitiva. Gli schiamazzi dei bambini sono la prima causa di litigio (54%) tra vicini.
Le mappe indicano quanto siano ristretti i luoghi di gioco per i bambini tra i 3 e i 10 anni: meno di 40 su 100 si ritrovano nei giardini pubblici, 25 in cortile, 16 in parrocchia, 14 in campi o prati, poco più di 6 su strade poco trafficate. La strada ha perso la funzione di scambio, di esperienza, di gioco che aveva per le generazioni precedenti, ma ciò non toglie che ancora oggi possa diventare lo scenario giusto per giochi eterni come il nascondino, l’acchiapparella, la mosca cieca, la campana, le biglie, il pallone, la pallavolo, l’elastico.
Povertà materiale e povertà educativa, avverte Cederna, vanno di pari passo. Si vedano i numeri dei cosiddetti «disconnessi culturali»: tra i 6 e i 17 anni non ha letto un libro nell’ultimo anno il 47,4%, non è andato a teatro il 72%, il 26% non è andato al cinema, il 61 non è entrato in un museo, l’85 non è andato a un concerto.
In un mare di dati con il segno meno, non mancano però gli elementi incoraggianti, che provengono dalle molte iniziative di associazioni locali, spesso volontaristiche, di promozione di creatività giovanile. Sono le «soglie» a cui l’Atlante dedica l’ultimo capitolo: i Cortili aperti di Torino, i Punti Luce di Save the Children, numerose biblioteche di quartiere che funzionano come centri di aggregazione e di servizi, il Quartiere Libertà di Bari, il progetto Nati per Leggere, la rete toscana «A scuola senza zaino», le officine palermitane del Centro Tau, l’Associazione Quartieri Spagnoli a Napoli… Si potrebbe continuare, nel bene e nel male.