Huffington Post
19 03 2015
Marinella dice che la prima volta non è riuscita a trattenere le lacrime. Ha pianto quando è tornata a casa.
“È stata l’esperienza che più mi ha impressionato nella vita” racconta, e per avere la giusta misura del commento bisogna aggiungere che Marinella, 42 anni, dipendente dell’Università di Torino, ha avuto anche altre esperienze ad alto impatto, ha lavorato col Gruppo Abele e in comunità che si prendono cura dei bambini con disagi famigliari. Ha spalle forti e voglia di capire.
“Il volontariato fa parte della mia vita. Mio figlio, 16 anni, mi ha chiesto perché lo facevo. A lui e a tutti rispondo che lo faccio perché non voglio giudicare. In carcere incontro donne come me, che hanno avuto una vita diversa solo perché hanno scelto altre strade, altre amicizie o forse non hanno avuto nessuno che le ha aiutate veramente. Sono donne che hanno paura, paura di tutto: anche solo di prendere un pullman nel giorno di permesso”.
Marinella entra in carcere due volte al mese con Fumne - così in piemontese si chiamano le donne -, un progetto unico nel suo genere perché sposta l’asse dell’integrazione: qui sono le detenute a insegnare un lavoro. È un laboratorio, ma soprattutto un processo di riconciliazione con chi vive fuori dalle mura.
Sara Battaglino ci racconta come è iniziato tutto. Lei e Monica Gallo sono architetti con la passione della moda e del mondo fashion. Invece di aprire un negozio o di dedicarsi allo shopping hanno messo su una associazione culturale – La casa di Pinocchio - e sono entrate in carcere, nella Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino : hanno dato la possibilità alle detenute di imparare un lavoro e di insegnarlo ad altri.
“Il laboratorio all’interno del carcere è come un ambiente di vita, e non un luogo di insegnamento e di ricezione passiva. È organizzato come un atelier. Dal carcere escono borse, accessori e bijoux realizzati con pezzi e stoffe riciclate. Le detenute escono da uno stato di ozio e inattività all’interno della cella e in gruppo iniziano a fare, a creare, a inventare, ad assemblare. Hanno una piccola fonte di guadagno e per loro non è una cosa da poco. Apprezzano il fatto di avere rispetto, reputazione e una nuova opportunità di vita. Forse all’inizio sono un po’ intimorite, ma dura poco. Poi acquistano una grande sicurezza e anche coraggio nel affrontare il mondo che c’è fuori”.
“Nascono delle amicizie, ci si confronta e ci si aiuta. Mi ha colpito molto una donna”, è di nuovo Marinella a parlare: “Quando l’ho vista era tutta contenta per il giorno di permesso che aveva avuto. Era riuscita a vedere l’edicola: non si ricordava più come erano fatte. Ed era riuscita a bere un cappuccino vero, un cappuccino fatto al bar. Come fai a non rivalutare la tua vita dopo racconti così”.
Da fuori spesso ci si domanda come sono le donne che vivono in carcere. “Ecco io rispondo che sono donne che vanno aiutate. Anche se a volte è difficile perché ti trovi davanti persone che hanno commesso delitti. Mi è successo, ero combattuta, avevo letto di questa donna sul giornale. Aveva ucciso. Ma mi sono detta che dovevo distaccarmi da quello che aveva fatto e vedere solo la persona che avevo di fronte. Le sue parole non le dimentico, mi ha detto: io me lo merito di stare qua dentro, ma vorrei starci con dignità”.
Oltre al Lab, Fumne è anche un brand etico e sociale venduto in tutta Italia e anche in Francia, Giappone, Grecia e Australia.
Nicoletta Moncalero