che ha analizzato l'evoluzione negli ultimi sedici anni della condizione dei malati e delle loro famiglie.
I malati e chi se ne occupa - In Italia i malati di Alzheimer sono 600.000. Quasi il 18% di essi vive da solo con la badante e i costi diretti per l'assistenza superano ormai gli 11 miliardi di euro, il 73% dei quali è a carico delle famiglie. L'attività di cura e sorveglianza è sempre più informale e privata: nella metà dei casi se ne occupano i figli, il 38% ha il supporto di una badante.
"Sta progressivamente cambiando il mondo dei malati di Alzheimer e delle loro famiglie - ha detto Ketty Vaccaro, responsabile dell'Area Welfare e Salute del Censis - . E' un mondo che invecchia e cresce l'impatto della malattia in termini di isolamento sociale. La famiglia è ancora il fulcro dell'assistenza, ma può contare su una disponibilità di servizi che nel tempo si è ulteriormente ristretta".
La salute dei caregiver a rischio - I malati di Alzheimer in Italia sono destinati ad aumentare a causa dell'invecchiamento della popolazione che è il paese più longevo d'Europa con 13,4 milioni di ultrasessantenni (il 22% della popolazione).
L'Adi (Alzheimer's Disease International) ha stimato a livello mondiale per il 2015 oltre 9,9 milioni di nuovi casi di demenza all'anno, cioè un nuovo caso ogni 3,2 secondi. La ricerca Censis-Aima rileva ora un altro fenomeno: i malati e chi li assiste invecchiano insieme. L'età media di chi soffre di Alzheimer è di 78,8 anni (era di 77,8 anni nel 2006 e di 73,6 anni nel 1999), mentre i caregiver impegnati nella loro assistenza ne hanno in media 59,2 anni (avevano 54,8 anni nel 2006 e 53,3 anni nel 1999).
Dedicano al malato di Alzheimer 4,4 ore al giorno di assistenza diretta e 10,8 ore di sorveglianza; un impegno che ha effetti pesanti sul loro stato di salute, in particolare tra le donne: l'80,3% accusa stanchezza, il 63,2% non dorme a sufficienza, il 45,3% afferma di soffrire di depressione, il 26,1% si ammala spesso. Ad assistere i malati sono soprattutto figli e badanti ed è in aumento deciso la quota di malati che vivono in casa propria, in particolare soli con il coniuge (sono il 34,3% nel 2015, erano il 22,9% del 2006) o soli con la badante (aumentati dal 12,7% al 17,7%). Nell'attività di cura del malato, i caregiver possono contare meno di un tempo sul supporto di altri familiari: nel 2015 vi fa affidamento il 48,6%, mentre nel 2006 era il 53,4%
Diagnosi lenta, aiuti pubblici in calo - Il tempo medio per arrivare a una diagnosi resta elevato, pur essendo diminuito da 2,5 anni nel 1999 a 1,8 anni nel 2015. Se si guarda a come è cambiata l'assistenza, si vede che è sempre più informale e privata. Rispetto al 2006, infatti, è diminuito di 10 punti percentuali il numero dei pazienti seguiti da una Uva o da un centro pubblico (56,6%).
Quando la patologia è più grave, il dato è ancora più basso (46%). Si abbassa leggermente anche la percentuale di pazienti che accedono ai farmaci specifici per l'Alzheimer: dal 59,9% al 56,1%. Ed è diminuito il ricorso a tutti i servizi per l'assistenza e la cura dei malati di Alzheimer: centri diurni (dal 24,9% al 12,5% dei malati), ricoveri in ospedale o in strutture riabilitative e assistenziali (dal 20,9% al 16,6%), assistenza domiciliare integrata e socio-assistenziale (dal 18,5% all'attuale 11,2%).
In generale, la ricerca fotografa una situazione ben nota e consolidata; a preoccupare è però l'accentuazione di una serie di tendenze per le quali la fatica dell'assistenza è scaricata sempre più sulle spalle e sui bilanci delle famiglie che ne pagano le conseguenze, oltre che sul piano economico, in termini di rischio per la salute e di isolamento sociale.