ARCHITETTURA, LE DONNE AL POTERE

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10 11 09

Kazuyo Sejima è la nuova direttrice della Biennale. Zaha Hadid apre il Maxxi. E non sono le sole

MARIA GIULIA MINETTI
Affidata negli ultimi anni a critici - anche se con una laurea da architetti in tasca -, la Biennale Architettura del 2010 sarà invece diretta da un architetto vero e proprio, che esercita il mestiere, cioè. Non solo, si tratta di una vera star dell’arte sua, anche se si colloca all’opposto dello starismo architettonico «à la Gehry», stupefacente, provocante. Ultima sorpresa, il nuovo direttore è una donna. Si chiama Kazuyo Sejima, è nata in Giappone nel 1956, ha lavorato con Toyo Ito, ha aperto il suo studio nel 1987, e nel 1995, in società con Ryue Nishizawa, ha fondato Sanaa. E Sanaa ha da allora firmato «alcune fra le più innovative opere di architettura realizzate di recente in tutto il mondo», informa orgoglioso il comunicato stampa della Biennale. E se il Museum of Contemporary Art di Kanazawa o il Christian Dior Building di Omotesando (Tokyo) sono un po' fuori dai soliti giri turistici, molto più facili da contemplare sono il New Museum of Contemporary Art di New York o il Serpentine Pavillion di Londra. Contemplando i quali non si può che essere d'accordo con l'architetto Pierluigi Nicolin, che la definisce «la punta di un certo Giappone minimalista, gentile, spirituale… il contrario di Gehry e Hadid, per intenderci».

L’inclusione di Zaha Hadid nella frase di Nicolin non è fatta per lusingare l’architetta araba (Nicolin trova «dissennato» tutto ciò che Hadid propone, e attribuisce al provincialismo italico l'avere affidato a lei la costruzione del nuovo Maxxi, «anziché, per esempio, proprio a Sejima, che aveva presentato un bellissimo progetto»), ma l’accostamento al nome di Gehry, oggi l’architetto più celebre del mondo, denota quanto ampia sia anche la fama di Hadid. Di nuovo una donna! Ma, riflettendoci, altri nomi femminili di peso vengono alla mente, popolando d’un tratto il panorama fino a pochissimo tempo fa quasi soltanto maschile dell’architettura, «un mestiere duro», secondo Nicolin, che in tal modo giustifica la lunga prevalenza, nel campo, del suo sesso.

Le opinioni di altri due architetti e storici della disciplina, Matteo Vercelloni e Franco Raggi confermano che sia proprio Kazuyo Sejima la più stimata di queste nuove professioniste. «La migliore», sostiene Vercelloni; «grandissima statura», rincara Raggi. Oltre a lei chi sono le architette più note e richieste del mondo?

Nell’elenco ci sono le due irlandesi dello studio Grafton Architects, Shelley McNamara and Yvonne Farrell, due professioniste solide, capaci, misurate, «le più maschili di tutte», approva Nicolin. Per farvi un’idea di come lavorano guardatevi la nuova Università Bocconi di Milano. Passiamo allo studio newyorkese Diller, Scofidio + Renfro, ultimo lavoro il ripristino della High Line di Manhattan, la vecchia ferrovia soprelevata in disuso riaperta come «strada fiorita» per passeggiate a mezz'aria. Cuore intellettuale della ditta è Elizabeth Diller, «personaggio post-duchampiano», motore di un’architettura, dice Vercelloni, «ai margini, fra arte e paesaggismo».

Di Zaha Hadid, «molto legata al gesto, indifferente al contesto», secondo Raggi, gli italiani potranno giudicare da giovedì prossimo i risultati andando a vedere il suo museo romano. Allieva dell’olandese Rem Koolhaas, gli esiti di Hadid sono comunque assai diversi da quelli di Petra Blaisse, architetto del paesaggio che con Koolhaas lavora spesso, vedi la biblioteca pubblica di Seattle progettata da lui dove lei «ha curato la sistemazione a verde degli esterni che entrano negli interni, molto brava», la elogia Vercelloni. Nomi importanti sono quelli di Francine Houben dello studio olandese Mecanoo, autore di grossissimi interventi urbani (per Houben l’architettura «dovrebbe sempre toccare i sensi») e di Louisa Hutton dello studio anglo-tedesco Sauerbruch Hutton Architects che, con altri, ha appena vinto il concorso per la progettazione di un quartiere-prototipo all’interno del primo distretto a emissioni zero di carbonio, in Finlandia. Famosa anche la francese Odile Decq, cui a Roma è stata affidata l'espansione del Macro. Leone d'oro alla Biennale di Venezia nel 1996, si autodefinisce «punk». Dell’italiana diventata spagnola Benedetta Tagliabue, vedova di Eric Miralles, i maligni dicono che porti avanti l’architettura di lui, i benevoli che l’ispirazione fosse comune. Tra le tante, bravissime architette paesaggiste, citiamo l’americana Martha Schwartz e l’artista e land artista Maya Lin, cino-americana, autrice del famoso Vietnam Veterans Memorial di Washington.


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