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LA STAMPA

Ecco i nuovi media trasversali e contaminati

  • Mag 02, 2014
  • Pubblicato in LA STAMPA
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La Stampa
02 05 2014

Anche l’Italia quest’anno ha il suo campionato del mondo. Non è fatto di stadi e partite come in Brasile, non ci sono le maglie delle nazionali, ma campioni e tifosi non mancano. È la World Cup del giornalismo, che si disputa nell’arco di un mese tra Perugia e Torino. Chiunque nel mondo si occupi di media e innovazione, da tempo ha segnato in agenda due appuntamenti che stavolta fanno dell’Italia un insolito laboratorio planetario: il Festival del giornalismo in corso fino a domenica nel capoluogo umbro, e il congresso mondiale dei giornali in programma tra il 9 e l’11 giugno a Torino.

In ballo ci sono il domani dell’informazione, le tecnologie che lo accompagnano, il matrimonio carta-digitale. Più in generale, i tentativi di immaginare una nuova narrativa del mondo in un’epoca «social» sovraccarica di notizie. Non c’è mai stata così tanta informazione disponibile, ma è talmente frammentata e immersa in rumore di sottofondo da risultare caotica.

Pochi settori sono al centro di una trasformazione come il giornalismo. Gli appuntamenti di Perugia e Torino confermano tendenze che si stanno consolidando. Prima tra tutte la contaminazione dei media con realtà che non hanno come obiettivo quello di produrre contenuti. Un «keynote speech» del Festival è affidato sabato a Richard Gingras, responsabile dell’area news di Google (intervistato dal direttore de La Stampa, Mario Calabresi): in un ecosistema che cambia rapidamente come quello delle notizie, c’è bisogno di studiare le mutazioni della «catena alimentare» per capire come possono convivere realtà tradizionali e nuovi protagonisti digitali.

Proprio la scelta dei relatori, a Perugia come alla convention di Torino organizzata da Wan-Ifra (l’organizzazione mondiale degli editori), racconta tutti i temi caldi del momento. Al Festival è attesa per esempio Margaret Sullivan, la «public editor» del New York Times, chiamata a raccontare come anche un tempio del giornalismo possa aprire le porte al contributo della comunità dei lettori. Un concetto decisivo in un momento in cui metà degli utenti di Facebook consumano e condividono notizie attraverso il social network, come racconta l’ultimo rapporto sui media del Pew Research Center.

Sempre a Perugia Wolfgang Blau, responsabile delle strategie digitali del britannico The Guardian, proverà a riflettere su cosa significa fare giornalismo nel contesto dell’Ue: ha senso che 500 milioni di cittadini dell’Unione non abbiamo un sistema mediatico integrato paneuropeo?

La conferenza mondiale degli editori e dei direttori dei giornali, che riunirà a Torino il gotha mondiale del mondo dei media, si trova alle prese con interrogativi analoghi. Se un tempo si parlava soprattutto di rotative, ormai il dibattito è dominato dal rapporto con i colossi della Silicon Valley, dai modelli di business alternativi e dalle strategie per dare valore ai contenuti di qualità sul web.

A Perugia come a Torino, insieme a «contaminazione», c’è un’altra parola decisiva per la trasformazione in atto: dati. La rete apre possibilità impensabili per raccontare il mondo in cifre e fioriscono nuove specializzazioni come il «data journalism». La personalizzazione dell’informazione è facilitata dai dati che ciascuno di noi condivide in rete. L’aumento del consumo delle news in mobilità, tramite tablet e smartphone, permette di geolocalizzare ciò che leggiamo e condividiamo ed essere raggiunti dalle notizie che avvengono dietro l’angolo di casa.

Le opportunità da esplorare sono enormi. Così come i rischi, soprattutto quelli legati alla privacy. Non è un caso che quest’anno il «campionato del mondo del giornalismo» di Perugia e Torino si giochi nel segno del Pulitzer appena assegnato al Guardian e al Washington Post, per aver scoperto quanto sia estesa e preoccupante la caccia ai dati condotta da realtà come la Nsa.

Marco Bardazzi

Parte il Gay & Lesbian Film Festival

  • Apr 30, 2014
  • Pubblicato in LA STAMPA
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La Stampa
30 04 2014

Stasera inaugurazione del Torino Gay & Lesbian Film Festival con «Azul y no tan rosa» di Miguel Ferrari. Madrina Ambra Angiolini, tra gli ospiti Orietta Berti, Vladimir Luxuria, Fabio Canino e Carlo Gabardini.

Hanno voglia di dimostrarlo in parecchi modi che stanno guardando in là, con qualche certezza in più, se mai fosse possibile da bilancio: e così hanno cominciato con mutare un po’ il nome, diventato «TGLFF - Torino Gay & Lesbian Film Festival». Stasera apre gli schermi al Cinema Massimo la 29ª edizione e si propone, nella stessa sala, fino al 6 maggio con sei anteprime mondiali e 72 nazionali per un totale di 137 pellicole. E con un motto: «L’altro Festival»: che per il gruppo diretto da Giovanni Minerba significa l’essenza della rassegna, il suo essere «altro» nel combattere i pregiudizi con l’arte del cinema e con il coinvolgimento degli spettatori in scelte che offrano una visione sempre più allargata e reale del mondo.

Il film di apertura
La pellicola di questa sera è «Azul y no tan rosa» del regista venezuelano Miguel Ferrari (replica domani alle 14,15), in concorso nella sezione lungometraggi - fra i giurati, Paola Pitagora e Pippo Delbono - ed è la storia di Diego e Fabrizio, a cui si aggiunge il figlio di Diego, adolescente lontano dal padre da tempo. Non solo, una manifestazione di omofobia manda Fabrizio in coma, e sullo sfondo l’autore ha scelto le parole e la musica di «Non sono una signora» della Bertè, interpretate dalla trans Delirio del Rio. Ma prima della proiezione, come da protocollo, il festival avrà la sua cerimonia: madrina Ambra Angiolini, ospite musicale Orietta Berti, interventi dell’attore Carlo Gabardini, del conduttore Fabio Canino e di Vladimir Luxuria, testimonial della sezione «Dalla Russia con amore» sulle discriminazioni in Russia: già domani alle 16,30 passa sullo schermo «Compaign of Hate: Russia and gay propaganda» di Michael Lucas, alias Lucas kazan, attore e produttore porno. È il suo viaggio nella terra di Putin, con interviste a coppie clandestine, transessuali e omosessuali di tutte le età.

Le tematiche
Quel che succede ai giovani, rispetto alla facilità con cui possono essere vittime di atti di bullismo, oppure la loro ribellione, o produzione artistica è una delle tematiche del festival: domani alle 18,15, in concorso, passa «Of girls and horsen» di Monika Treut: Alex, 16 anni, viene mandata dalla madre in una fattoria a lavorare, lì incontra la sua insegnante trentenne lesbica e una coetanea dell’alta società: nascerà un’amicizia. E nel «focus famiglia» alle 22 è programmato «Straight with you»: l’unidcenne Melvin è gay, i genitori lo sanno già, ma non i compagni di scuola.

Nove natanti avvistati a Lampedusa

  • Apr 24, 2014
  • Pubblicato in LA STAMPA
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La Stampa
24 04 2014

A bordo dalle 1500 alle 2000 persone. Nel pomeriggio entreranno in azione i mezzi dell’operazione Mare Nostrum.

Nove natanti carichi di migranti sono stati avvistati a 100 miglia da Lampedusa. Si stima al largo dell’isola ci siano dalle 1500 alle duemila persone.

Nelle prime ore del pomeriggio li raggiungeranno i mezzi messi a disposizione con l’operazione Mare Nostrum.

I NUMERI

Da inizio anno gli stranieri arrivati via mare hanno superato i 21 mila, contro i 2.500 dello stesso periodo del 2013. Di questo passo - prevede il ministro dell’Interno, Angelino Alfano - sarà superato l’anno record per gli sbarchi, il 2011, quando la guerra in Libia e le primavere arabe portarono sulle coste italiane 62 mila persone.

Gran parte dei nuovi arrivi sono richiedenti asilo e per accelerare l’esame delle domande si pensa a costituire Commissioni apposite in ogni prefettura. Nel 2013 le domande di asilo sono state 27mila, nei primi tre mesi di quest’anno già 13mila. «Abbiamo raddoppiato - ha ricordato - le Commissioni territoriali per l’esame delle richieste, da 10 a 20 e ora io propongo di insediare Commissioni in ogni prefettura, il che significa passare da 20 ad oltre 100».

Guido Ruotolo

La Stampa
23 04 2014

Persino al Cimitero Monumentale, durante l’ultima commemorazione, qualcuno si è lamentato: «Ma cosa volete ancora? Sono passati sette anni, vi hanno ricoperti d’oro. Perché siete sempre lì a protestare?». 7 dicembre 2007. Sette morti straziati dalle fiamme mentre lavoravano in acciaieria. Sette anni di attesa. Due sentenze. Molta vita, malattie e rabbia, in mezzo. Sono i parenti delle vittime della ThyssenKrupp. E sono ancora qui, è vero. Invecchiati, consumati, uniti. Partono dal binario 16 di Porta Nuova per l’ultimo viaggio, forse. Per l’ultimo tentativo di avere giustizia. Vanno a Roma con lo striscione. Domani la Cassazione potrebbe scrivere l’ultima parola su uno dei più gravi incidenti sul lavoro della storia italiana.

Soldi sporchi di sangue
«Quei soldi dei rimborsi non li abbiamo mai toccati», dice Laura Rodinò prima di salire sul treno. «Sono soldi sporchi di sangue. Nessuno si è comprato una villetta o altro. Io non li voglio nemmeno considerare. Li restituisco immediatamente, se loro mi restituiscono mio fratello. Sono pentita di aver firmato quell’accordo per uscire dal processo, non avevo capito. Tornassi indietro, non lo rifarei. Lo so che molti pensano che siamo dei rompiscatole, ma dobbiamo farci vedere perché ormai tutti si stanno dimenticando della Thyssen. Non chiama più nessuno. È triste vedere che pure le tragedie passano di moda. Ma questa non è una tragedia privata, riguarda tutti i lavoratori italiani».

Nessun lusso
Per capirci: sono diciotto parenti «ricoperti d’oro» e tutti viaggiano in seconda classe. Si portano panini nella carta stagnola. Scendono dal treno alla Stazione Termini e prendono la metro, per andare a piazzare gli zaini in un Bed &Breakfast in zona Borgo Pio. Questa mattina saranno davanti alla Cassazione con le magliette con le foto dei parenti, per la prima volta, in trasferta. «È in gioco il dolo eventuale», dice Laura Rodinò. «La cosa più importante».

Preparati e decisi
Hanno seguito ogni singola udienza, ormai parlano come i magistrati. Domani a Roma si decide, fra l’altro, la maggiore o minore consapevolezza dell’amministratore delegato della ThyssenKroupp Harald Espenhahn. In primo grado, era stato condannato a 16 anni e mezzo. Per la prima volta in Italia, aveva retto il reato di omicidio volontario con dolo eventuale. Hespenhahn sapeva, secondo i giudici. Sapeva che l’impianto antincendio dello stabilimento torinese era assolutamente vecchio, mal funzionante e inadeguato, aveva accettato i rischi consapevolmente. Ma in appello, la condanna è scesa a 10 anni e il reato è stato derubricato a omicidio colposo con colpa cosciente. Dove la frase cruciale, nelle motivazioni della sentenza, è questa: «Per un imputato come Espenhahn, imprenditore esperto, abituato a ponderare le proprie decisioni nel tempo, anche confrontandosi con altri collaboratori specializzati, è impensabile che abbia agito in maniera tanto irrazionale». Gli costava meno un nuovo impianto antincendio, che tutta questa tragedia.

Decisione forse epocale
Ed ecco perchè, la parola della Cassazione sarà importante. Potrebbe confermare la sentenza di secondo grado. Potrebbe rimandare l’intero processo alla Corte d’Appello. Potrebbe chiedere una rivalutazione di alcune singole posizioni. «Una decisione che potrebbe essere epocale», dice l’avvocato Roberto Lamacchia, che rappresenta le famiglie delle vittime.

Il dolore non si estingue
«Mio padre è morto di tumore il 13 dicembre 2013. Non voleva più curarsi. Aveva perso la forza di combattere», dice Laura Rodinò. Lei no. È qui con la madre Grazia e la sorella Concetta. A 39 anni si è iscritta all’università, ha già dato nove esami, perché spera di conquistarsi un posto da consulente del lavoro che aveva sempre sognato. Ma non è ancora tempo di voltare pagina. «Sapeva», dice Laura Rodinò preparando lo striscione. «In aula abbiamo visto quella mail in inglese in cui Espenhahn aveva scritto “From Turin”. Voleva cambiare l’impianto antincendio, ma solo dopo il trasferimento della fabbrica da Torino a Terni».

Molfetta, manifesto sessista. È bufera su Forza Italia

  • Apr 18, 2014
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La Stampa
18 04 2014

Sono affissi agli ingressi della città ed è impossibile non vederli viste le dimensioni: sei metri per tre. Sfondo bianco con un grande peperoncino rosso orizzontale in primo piano, «u diavelicchie», è scritto in dialetto molfettese. Sotto c’è la scritta «Le pene di Paola», e ancora «I compagni di Paola maneggino con cuore e a piccole dosi».

La dedica è a Paola Natalicchio, sindaco di centrosinistra di Molfetta e l’idea è del coordinamento cittadino e del gruppo consiliare cittadino di Forza Italia. Se le parole non bastassero ad esplicitare i doppi sensi, il resto lo fa la grafica e i colori utilizzati. L’iniziativa ha suscitato reazioni indignate sui social network e della diretta interessata.

«Ero in Consiglio comunale quando in aula arrivavano gli sms con la foto di questi manifesti, quando l’ho vista mi ha molto contrariata e i consiglieri di Forza Italia in aula hanno detto che scherzavano, che problema c’era? Io pretendo delle scuse per me e per i tanti molfettesi e stranieri che stasera saranno in città per i riti della settimana santa», ha commentato Paola Natalicchio.

Aree verdi di Roma, nessuno le vuole

  • Apr 17, 2014
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La Stampa
17 04 2014

È la città con più alberi e prati d’Italia, ma la maggior parte dei parchi versa in situazioni di abbandono e il Comune lamenta: “Non ci sono risorse”

A Roma ci sono più alberi e prati che palazzi. Tra i comuni italiani con oltre 250mila abitanti non esiste una città con la stessa quantità di parchi e riserve. Ogni romano ha 130,7 metri quadrati di natura a disposizione, molto più dei palermitani che ne hanno 77,8 o dei catanesi con 73,4. Nessun confronto con tutte le altre città.

Si fa fatica a immaginarlo quando si è imbottigliati nel traffico del Grande Raccordo Anulare o circondati dai palazzoni tutti uguali della Tuscolana ma i due terzi dell’intero territorio di Roma sono protetti, in totale si tratta di 86 ettari. E all’interno del Gra vivono 5200 specie di insetti, il 14% delle specie presenti in Italia, il 27% delle specie di anfibi in Italia, il 32% degli uccelli nidificanti in Italia e il 30% di mammiferi italiani.

Che cosa se ne facciano i romani dei quasi 131 metri quadrati di natura a loro disposizione è una storia triste da raccontare. Ci sarebbe di che vivere di natura e turismo e cultura per i secoli a venire. Invece quello che si nasconde sotto alberi secolari o tra i cespugli della capitale è spesso inguardabile. Rifiuti di ogni tipo, dai cumuli di mattoni e piastrelle lasciati da chi non sapeva dove abbandonare i resti di un lavoro di ristrutturazione, ai divani, le carcasse di auto rubate e bruciate, montagne di pneumatici da riciclare al momento opportuno, interi campi da calcetto in materiale sintetico smantellati.

Come se non bastasse, una delibera della giunta della regione Lazio ha anche chiesto la cancellazione dell’ente Roma Natura che gestisce la gran parte dei parchi e delle riserve della capitale, e vuole trasferire tutto il verde al Campidoglio. Dal Campidoglio l’assessore all’Ambiente Estella Marino risponde che, sì, grazie del regalo ma senza risorse non se ne parla.

Nessuno fa carte false per occuparsi di parchi e riserve di Roma, insomma. Tanto verde sembra quasi un peso, uno di quei doveri di famiglia che si ereditano e che si rispettano perché è giusto. Ma, se si potesse, si farebbe altro. Non è facile gestire un parco come quello dell’Appia Antica dove c’è un guardiaparco ogni 210 ettari di territorio e per ogni ettaro si possono spendere 104 euro. Più difficile ancora doversi occupare di uno dei parchi che fanno capo a Roma Natura (Monte Mario, valle dell’Aniene, Litorale Romano etc....) dove le risorse sono ridicole, c’è un guardiaparco ogni 410 ettari e per ogni ettaro si spendono meno di 15 euro.

Flavia Amabile


Dimessa dopo il parto. Dieci giorni e muore

  • Apr 15, 2014
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La Stampa
15 04 2014

Il 2 aprile scorso aveva dato alla luce Francesco. Diventata madre per la seconda volta. Angela Giannone, 35 anni, di Venaria, era raggiante. Sfinita dalla gravidanza, dal travaglio e dal parto, ma felice. È morta, improvvisamente, l’altro pomeriggio. «Svengo, svengo», ha detto con un filo di voce alla madre. S’è accasciata sul divano. Nel giro di cinque, sei minuti, il suo cuore ha smesso di battere. E ora, su questa fine, c’è l’ombra di un sospetto. La Procura di Ivrea ha aperto un’inchiesta, perché la donna, dopo le dimissioni, aveva gambe e piedi sempre più gonfi. Aveva confessato alle amiche di aver chiesto un parere al medico, ma di essersi sentita dire: «Aspettiamo, passerà». Quale medico? Ora il fascicolo sulla vicenda è sul tavolo del pm Giuseppe Drammis, che ha ordinato l’autopsia.

Il sospetto
L’esame autoptico servirà a chiarire se la Giannone sia rimasta vittima di complicazioni post-parto sottovalutate da qualcuno. I giorni successivi alle dimissioni dal Maria Vittoria sembravano scivolare via tranquilli: «Come quando era nata Miriam, la primogenita, quattro anni fa – ricorda il marito, Fabrizio Romboli -. È stato un parto naturale ma faticoso perché Francesco pesava 4 chili e due etti». Anche l’elettrocardiogramma prima di entrare in sala era regolare. Ma qualcosa di non previsto potrebbe essere accaduto dopo il parto.

Il ricovero e le dimissioni
In reparto, dopo la nascita di Francesco, l’educatrice professionale di Venaria è rimasta quattro giorni. Torna a casa sabato pomeriggio, 5 aprile. Nell’alloggio di via Pavesio si respirava aria di festa per il nuovo arrivato. L’unica cosa che preoccupava la donna e il marito era un gonfiore ai piedi. «Erano gonfiati parecchio – conferma il marito - ma non abbiamo dato molto peso alla cosa, anche perché Angela sdrammatizzava: “Come è venuto passerà». «Anche al momento delle dimissioni dall’ospedale non aveva potuto indossare le scarpe, tanto erano gonfi i piedi», ricordano alcune amiche alle quali aveva scritto su Facebook. A casa Angela allatta Francesco al seno, sempre molto stanca, sfiancata. «La notte restava quasi sempre sveglia per dare il latte al bimbo», dice il marito.

L’ultimo weekend
La famiglia Romboli ha deciso di trascorrere sabato e domenica scorsi nella frazione Gatto di San Martino Canavese, dove i genitori di Fabrizio possiedono una casa. Doveva essere una giornata di relax per Angela. Che però, intorno alle 13,45, comincia ad accusare un dolore al petto. «Abbiamo iniziando a pranzare, ha assaggiato qualche antipasto, poi ha cominciato a lamentarsi: “Non sto bene”», racconta sempre il marito. Questione di minuti: Angela allontana il neonato dal seno, lo affida a nonno Filippo. Poi cade sul divano, perde i sensi tra i famigliari disperati che cercano di rianimarla.
«Mi è morta tra le braccia», scuote la testa disperato il papà di Angela. In località Gatto arrivano anche i soccorsi, ma la situazione è già disperata.
In un amen la notizia della scomparsa di Angela Giannone ha fatto il giro di Venaria dove lei è nata, cresciuta, e dove si è spesa nell’impegno sociale nella parrocchia di Santa Maria. «Questa tragedia mi lascia senza parole», dice don Vincenzo Marino.

70 anni per la parità sul lavoro

  • Apr 14, 2014
  • Pubblicato in LA STAMPA
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La Stampa
14 04 2014

Migliorano le condizioni per la donna nel mondo dell'occupazione. Ma resta molto da fare. L'Italia avanza piano. Col piano nomine pubbliche di Renzi potrebbe cambiare qualcosa.

Qualcosa sta cambiando sul fronte della parità fra uomini e donne sul luogo del lavoro. Nel 2013 il divario retributivo di genere a livello continentale si è ridotto (ma le retribuzioni “rosa” sono in genere il 16 per cento più basse per ore lavorate di quelle “azzurre”), mentre è aumentato d'un soffio il numero di signore e signorine ai vertici delle grandi aziende (+0,9% nella media). Molto resta però ancora da fare: al ritmo attuale, calcola la Commissione Ue, ci vorranno circa 30 anni per raggiungere l'obiettivo europeo del 75% di donne occupate, 70 anni affinché la parità retributiva diventi realtà, e 20 anni per una pari rappresentanza nei parlamenti nazionali (almeno il 40% per ciascun genere).

L’Italia è sedicesima quanto a presenza femminile nei consigli delle società quotate. Il nostro dato - pre Renzi, ovviamente – è del 12,9 per cento, contro il 29,1 finlandese, il 26,8 per cento della Francia. La media Ue è del 16,6 per cento. Da ottobre dl 2012 il miglioramento è stato superiore alla media, + 1,2 per cento. La metà della Germania, ma ben più del Regno Unito che ha messo a segno un risultato negativo. Con la nuova ondata di nomine pubbliche attese, in teoria, il dato dovrebbe compiere un passo in vanti. Vedremo.

In generale la Commissione Ue rileva che le donne tendono più spesso a lavorare a tempo parziale (il 32% contro l'8,2% degli uomini) e interrompono la carriera per occuparsi di altri membri della famiglia. Ne consegue un divario di genere pensionistico del 39%. Le vedove e i genitori singoli — il più delle volte madri — sono tra i gruppi più vulnerabili, e oltre un terzo delle famiglie monogenitoriali ha un reddito insufficiente. Sebbene sia aumentato, il tasso di occupazione femminile si attesta tuttora al 63% contro il 75% per gli uomini. Questa situazione è dovuta soprattutto alla crisi economica, che ha visto peggiorare l'occupazione maschile.

Sulle donne continua inoltre a gravare il lavoro non retribuito in casa e in famiglia, sottolinea Bruxelles.. Le donne dedicano in media 26 ore a settimana a attività domestiche e di assistenza, contro le 9 ore degli uomini. La presenza di donne ai posti di comando è nel complesso ancora poco diffusa. Le donne costituiscono in media il 17,8% dei membri dei consigli di amministrazione delle maggiori società quotate in borsa, il 2,8% degli amministratori delegati, il 27% dei ministri e il 27% dei parlamentari.

Marco Zatterin

La Stampa
11 04 2014

Pronta una risoluzione all’Onu. Obiettivo: delegittimarlo prima che vinca

Una risoluzione Onu per accusare il regime siriano di crimini contro l’umanità, e processare i responsabili davanti alla Corte penale internazionale dell’Aja. È la strategia a cui stanno lavorando gli alleati occidentali, guidati in questo caso dalla Francia, per contrastare la probabile vittoria di Assad nelle prossime elezioni, delegittimarlo, e giustificare la prosecuzione degli sforzi per rovesciarlo.

Questa linea nasce dalla disperazione per le condizioni sul terreno. Sul piano militare, il regime sta recuperando posizioni e si trova in una situazione di vantaggio. Su quello politico, Assad punta a tenere e ovviamente vincere le prossime elezioni, in modo così da rilegittimarsi e respingere qualunque richiesta di farsi da parte. Questo significherebbe la fine del processo di Ginevra II, ossia la trattativa diplomatica che si basava sul presupposto di creare un governo di transizione in cui l’attuale leader di Damasco non avrebbe avuto un ruolo. Gli occidentali stanno facendo pressioni su Russia e Iran, affinché convincano Assad a rinunciare alle elezioni, ma Mosca e Teheran in questa fase non hanno molto interesse a collaborare, per la crisi ucraina e il negoziato nucleare in corso. Quindi gli osservatori si aspettano che Damasco andrà avanti con le elezioni, e il mediatore dell’Onu Brahimi ha già messo le dimissioni sul tavolo del segretario generale Ban Ki-moon. A quel punto resteranno solo i contatti bilaterali regionali per cercare una soluzione, che se fosse trovata tornerebbe nelle mani della comunità internazionale.

Uno stallo di questo genere significherebbe il riconoscimento della vittoria di Assad, o quanto meno della spaccatura in due della Siria. Per cercare una via diversa i francesi hanno scritto una risoluzione che «riafferma la sua forte condanna delle diffuse violazioni dei diritti umani e delle leggi internazionali da parte delle autorità siriane, così come gli abusi e le violazioni commessi dai gruppi armati, e sottolinea che alcuni di questi atti costituiscono crimini di guerra e crimini contro l’umanità». Il testo, che «La Stampa» ha ricevuto, «decide di riportare la situazione nella Repubblica araba siriana dal marzo 2011 al Procuratore della Corte penale internazionale», per individuare e processare responsabili. Lo fa in base all’articolo VII della Carta dell’Onu, che consente l’uso della forza nel caso la risoluzione non venga rispettata.

La denuncia si basa fra le altre cose sul rapporto «Caesar», dal nome in codice di un disertore delle forze di sicurezza siriane, che ha consegnato ai servizi occidentali circa 55.000 foto che provano le torture commesse contro almeno 11.000 vittime. Immagini terribili, inclusi strangolamenti e mutilazioni. Dunque le accuse non sono sostanziate solo dagli attacchi chimici dell’agosto scorso, che secondo un’inchiesta del giornalista americano Seymour Hersh sarebbero stati lanciati dalla Turchia per mano dei ribelli, allo scopo di incastrare Assad e provocare un intervento militare occidentale. La Francia sta discutendo ancora con gli Usa la presentazione della risoluzione. È prevedibile che la Russia la bloccherebbe col veto, ma il testo avrebbe un effetto simile a quello sull’Ucraina. La denuncia dei crimini di Damasco delegittimerebbe la vittoria elettorale di Assad, giustificando altre iniziative per rovesciarlo.

Paolo Mastrolilli

Donne dentro

  • Apr 10, 2014
  • Pubblicato in LA STAMPA
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La Stampa
10 04 2014

Considerando che il ciclonico Renzi ha appena messo cinque donne capolista alle Europee. Che otto ministri su sedici sono donne, alcune anche piuttosto sveglie. Che tra le prossime nomine nei grandi enti ci sarà per la prima volta almeno una donna. Che il capo della Germania e quindi dell’Europa è una donna: prevenuta nei nostri confronti come un birraio di Monaco, ma pur sempre una donna. Che il capo francese del Fondo Monetario è una donna: supponente e snob come un certo tipo di maschio francese, ma pur sempre una donna. Che la star mediatica del momento è una cantante donna, anzi di più: una cantante suora. Che in America il presidente con gli attributi è Michelle, una donna, e dopo di lei quasi certamente lo sarà Hillary, una donna. Che a leggere romanzi e a credere nel futuro sono rimaste le donne. Che a laurearsi meglio e lamentarsi di meno sono le donne. Che a prendere la vita con serietà senza mai perdere la leggerezza sono le donne (non tutte, ma tante). Che il crollo dei muri etici - come il divieto di fecondazione eterologa annullato ieri dalla Corte Costituzionale - è una missione inarrestabile delle donne.

Ecco, considerando tutto questo e molto altro ancora, noi maschi siamo chiamati a compiere un gesto coraggioso e al tempo stesso indifferibile, pena la nostra rapida estinzione per sopraggiunta inutilità. Cambiare sesso (interiormente, s’intende).

Massimo Gramellini

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