LA STAMPA

la stampa.it
28 10 2010


Ghedini e Longo svelano: abbiamo condotto indagini accuratissime
PAOLO COLONNELLO
MILANO
Una colossale montatura». Gli avvocati di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini e Piero Longo, non usano mezzi termini per definire i controversi verbali di "Ruby", la ragazza marocchina di 17 anni (ne compirà 18 la prossima settimana) che avrebbe raccontato di aver partecipato ad alcune feste in casa del Premier ad Arcore e non solo.
Verbali compilati a più riprese, ricchi di nomi altisonanti della politica e dello spettacolo, con particolari piccanti e a «luci rosse», ma anche ritrattazioni repentine ed evidenti contraddizioni. Insomma, roba da trattare con le molle. Tanto che nella stessa procura mostrano tutto il nervosismo di chi avrebbe preferito che questa storia rimanesse il più possibile custodita dal segreto investigativo, almeno fino alla conclusione di tutti gli accertamenti. Che invece i legali del Premier, Niccolò Ghedini e Pietro Longo, rivelano di aver svolto in parallelo, almeno per quanto riguarda la posizione di Silvio Berlusconi, «con indagini accuratissime», ascoltando testimoni e acquisendo riscontri documentali, fino a giungere ad una conclusione precisa: «Una bufala». Anche se sullo sfondo potrebbe proprio esserci un tentativo di estorsione ai danni del Premier. Di certo in questa storia un reato c’è: favoreggiamento della prostituzione. E anche un indagato: Lele Mora.
I legali, dunque, si dicono «tranquillissimi», anche se ammettono «un comprensibile fastidio» per l’eco mediatica del caso. Così minacciano querele: «Le notizie comparse sui giornali in relazione ad asserite dichiarazioni rese da tale Ruby, sono assolutamente infondate. La stessa procura di Milano - scrivono in un comunicato - si è già puntualmente espressa sull’inesistenza di indagini in tal senso. Del resto da approfondimenti svolti si è potuta acclarare la radicale e totale infondatezza delle illazioni giornalistiche avanzate».
Ma il fatto stesso che nel comunicato si dia conto di quelle che tecnicamente vengono definite «indagini difensive», rivela che l’inchiesta non solo esiste (condotta dal pm Sangermano, con la supervisione del procuratore aggiunto Pietro Forno), ma che i temi al centro dell’attenzione degli inquirenti sono in potenza esplosivi.
«Ruby» compare in tutta la sua procace bellezza su Facebook, ammiccando da una foto in reggiseno dove sembra ben più grande dei suoi 17 anni e dichiarando una passione per la danza del ventre e il taekwondo. Nonchè, come prima pagina preferita, proprio quella di Lele Mora, l’impresario attraverso cui sarebbe giunta alla corte di Arcore. Nell’inchiesta risulta per altro che nei mesi scorsi la figlia di Mora avrebbe chiesto al tribunale dei minori, attraverso l’avvocato Luca Giuliante, ex consigliere provinciale di Forza Italia, di poter avere l’affido temporaneo della giovane, al momento ospite di una comunità protetta di Genova per problemi con la famiglia di origine residente in Sicilia.
Circostanza, questa del tentativo di affido, che per i pm dimostrerebbe il timore di certi ambienti per le rivelazioni della giovane. Ieri si è svolto un incontro tra i titolari delle indagini e il procuratore Bruti Liberati, che ha ripetuto come la procura «non ha nulla da dire né commentare» e «per diversi giorni rimarrà nel silenzio più totale».


http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59904girata.asp

BERLUSCONI E LA MINORENNE INCHIESTA CON GIALLO A MILANO

  • Nov 30, -0001
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27 10 2010


Una ragazza: incontri ad Arcore.
Ma per la Procura il premier
potrebbe essere vittima di ricatti
PAOLO COLONNELLO
MILANO
Per ora c’è solo un fascicolo preliminare con un’iscrizione a "modello 45" (senza cioè reati definiti), tanto mistero e moltissimo imbarazzo. E si capisce, perché dietro l’inchiesta che silenziosamente la procura di Milano sta conducendo da alcuni mesi, si affacciano vicende scabrose, ancora tutte da verificare, che potrebbero coinvolgere ancora una volta il Presidente del Consiglio. Ma non si capisce se come "vittima" di un tentativo di estorsione o di una calunnia - magari anche solo per cercare pubblicità - o, più semplicemente, vittima di sè stesso.
Al centro della vicenda, anticipata ieri da Il Fatto Quotidiano, la testimonianza di una avvenente ragazza appena diciottenne di origini marocchine, che avrebbe raccontato di aver partecipato ad alcune feste nella residenza del premier ad Arcore almeno fino alla primavera scorsa, quando cioè la giovane era ancora minorenne. Feste e cene a cui avrebbero preso parte diverse ragazze, alcune della scuderia dell’agente dello spettacolo Lele Mora, e dove non si sarebbe badato ad eccessi di vario genere. I racconti della giovane, ascoltata finora almeno una quindicina di volte, sono al vaglio del pm Antonio Sangermano, magistrato di esperienza in forza al settimo dipartimento, il settore che si occupa di prostituzione ed estorsioni.
I verbali della ragazza, che al momento vivrebbe in una comunità protetta, non sarebbero privi di smagliature e notevoli contraddizioni, tanto che in alcuni casi, dopo aver fornito diversi particolari avrebbe ritrattato interi episodi. Inoltre, dietro le frequentazioni di questo giro di ragazze, i magistrati non escludono possa essersi nascosto un tentativo di ricatto ai danni del premier, posto che all’origine dell’inchiesta, nata come filone di un’altra indagine sullo sfruttamento della prostituzione, anche minorile, dovrebbero esserci delle intercettazioni. Per questo la procura guidata da Edmondo Bruti Liberati ha deciso di muoversi con i piedi di piombo, preferendo al momento non iscrivere nessuno nel registro degli indagati e smentendo ieri che qualcuno avesse presentato denuncia nei confronti del presidente del Consiglio. Ciò nonostante l’inchiesta preoccupa moltissimo lo stesso Berlusconi, che ieri si sarebbe incontrato per discuterne con il suo avvocato Niccolò Ghedini.
Si tratta di una vicenda complicata, nata nel 2009. La giovane testimone, una «ragazza immagine», faceva serate in discoteca sperando di farsi notare per tentare il salto nel mondo della moda o della televisione. Finché non sarebbe riuscita ad entrare nel giro che, attraverso Lele Mora, poteva avere accesso ad Arcore. E qui avrebbe incontrato anche Silvio Berlusconi con il quale avrebbe raccontato di avere avuto rapporti consenzienti. Non si capisce però se a questo punto il premier sia rimasto vittima di un tentativo di ricatto e se la stessa deposizione della ragazza sia una trappola, una storia inquinata o il tentativo della giovane di farsi ascoltare per fuggire da una storia più grande di lei. Dal canto suo, ieri Lele Mora ha dichiarato di «non sapere nulla di questa storia». Di certo l’inchiesta non è su eventuali reati di tipo sessuale (aveva più di 14 anni quando avrebbe partecipato alle feste e si è dichiarata consenziente), proveniendo da un’indagine sulla prostituzione nei locali della movida milanese.
Ci sarebbero delle difficoltà insomma nelle stesse verifiche dei suoi racconti e certo la procura intende raggiungere alcune ragionevoli certezze prima di decidere se convocare come testimone lo stesso premier.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59862girata.asp

DONNE NONOSTANTE L'ITALIA

  • Nov 30, -0001
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26 10 2010


diritto di cronaca di Flavia Amabile
Sette giorni di ordinaria misoginia
FLAVIA AMABILE
Non va. Non funziona proprio. E non serve a nulla sapere che pure nel nord Europa avanza la destra xenofoba come in Italia, o che Francia e Inghilterra siano alle prese con lo stessa drastica ricetta di tagli al welfare per arginare gli effetti di una recessione che sta colpendo il mondo intero. ??Non serve perché - fra quelle che vengono definite le grandi potenze - soltanto in Italia si vive in un'atmosfera così pervasa di misoginia. Crisi o non crisi. E quindi gli altri potranno anc avere i superconservatori alla riscossa o i conti da riaggiustare, ma si può essere certi che gli effetti si scaricheranno su uomini e donne senza troppe differenze.??Basta fermarsi a quello che è accaduto nell'ultima settimana. Due giorni fa, tanto per cambiare, la stampa straniera che ci definisce medievali'. Si riferiscono all'ordinanza presentata dal comune di Castellammare di Stabia, nel napoletano per bandire abiti succinti in giro per le strade della cittadina.  Ma gli episodi si sprecano da sud a nord.??A Torino l'ultima moda è mangiare il sushi su donne nude usate come vassoi.  L'Udi, Unione donne in Italia, ha tempestato il locale di mail di protesta. E' vero che avviene anche all'estero, ma almeno altrove le donne che non decidono di guadagnarsi da vivere facendosi sdraiare come portapiatti possono trovare senza eccessive difficoltà lavori anche piuttosto gratificanti.??A Como il titolare di un'azienda che produce vasche ha deciso di pubblicizzare uno dei suoi prodotti più recenti fotografando una bella donna immersa all'interno, nuda e anche in atteggiamento molto provocante. Quando è stato scoperto, l'autore di questa grande trovata ha risposto coprendo di insulti e sconcezze le donne che hanno provato a protestare anche in modo pacato. Qui trovate la registrazione della risposta che ha dato ad una mia telefonata. Quando gli ho scritto per email è stato anche più crudo.??Che altro si può dire? Che i dati più recenti pubblicati del Global gender gap report 2010 del World economic forum indicano ancora un peggioramento rispetto al passato nelle opportunità che le donne italiane hanno di lavorare o di inserirsi nella società in un ruolo diverso da quello di madri. «Il rapporto del 2010 - spiega Saadia Zahidi, direttore del World Economic Forum - tiene conto dei dati raccolti negli ultimi cinque anni. Il risultato emerso indica come dei 114 paesi in esame in questo arco di tempo l'86% abbia registrato un miglioramento delle differenze di genere, mentre solo il 14% ha visto un peggioramento». Indovinate l'Italia dove si colloca? Nella minoranza di Paesi dove le condizioni delle donne sono peggiorate: si è scesi al 74esimo posto della classifica dal 72esimo del 2009 e dal 67esimo del 2008. ??E secondo gli ultimi dati diffusi dall'Ocse nel 2009 le donne italiane con un lavoro erano meno di una su due (il 46,4%). Peggio di noi fa solo la Turchia, con il 24,2%. Nei Paesi scandinavi a lavorare sono oltre sette donne su dieci. E anche in questo caso è un dato in peggioramento rispetto al 2008 (47,2%).  ??E quindi? Quindi si va avanti, facendo le donne nonostante l'Italia.


http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=124&ID_articolo=1067&ID_sezione=274&sezione=

RICORDATE DOINA?

  • Nov 30, -0001
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21 10 2010


diritto di cronaca di Flavia Amabile
Se la donna di origini rumene arrestata tre anni fa per l'omicidio di Vanessa Russo avesse sorriso mentre veniva portata in caserma...
FLAVIA AMABILE
Io sì, la ricordo, e anche molto bene.
Non sorrideva Doina Matei il giorno dell'arresto. L'unica foto di quel momento la ritrae sul sedile posteriore di un'auto delle forze dell'ordine, lo sguardo perso, rivolto verso un punto imprecisato. Era rimasta coinvolta in un guaio molto più grande di lei. Era avvenuto tutto suo malgrado, omicidio preterintenzionale anche per lei hanno stabilito i giudici. A sorridere davvero non pensava. Probabilmente tentava faticosamente di capire come avrebbe mantenuto i due figli rimasti in Romania ora che la sera non avrebbe potuto più prostituirsi sulle strade di Roma, semmai con chi nei giorni seguenti l'avrebbe disprezzata e umiliata.
Ricordo bene le sue scuse, il suo timido tentativo di difendersi, e ricordo gli attacchi. Qualche giorno dopo l'arresto Elettra Deiana, allora deputato di Rifondazione Comunista, andò a trovarla in carcere e mi raccontò questa visita. Scrissi un articolo in cui Doina provava senza violenza, nè la minima arroganza, a dire: 'Non sono un mostro'.  Le rovesciarono addosso di tutto. Mi rovsciarono addosso di tutto per quello che avevo scritto. Come se Doina non fosse degna di avere dei sentimenti e io il diritto di raccontarli.
Poi Doina volle farmi arrivare una sua lettera di scusa indirizzata alla madre di Vanessa. La pubblicai. E di nuovo le rovesciarono addosso di tutto. Lo stesso con me.
Decine e decine di commenti sul mio blog,altrettante su blog altrui. Il tono era più o meno questo:

http://gericus.blogspot.com/2007_05_01_archive.html

http://cacciamolivia.splinder.com/archive/2007-05

(sono blog con molti post in ogni pagina, cliccate sul tasto trova la parola doina se volete trovare subito il post giusto)

E ora come comportarci con Alessio che ha ammazzato una rumena in metropolitana?

http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=124&ID_articolo=1063&ID_sezione=274&sezione=

L'EUROPA VOTA LA FAMIGLIA CONGEDI ANCHE PER I PAPA'

  • Nov 30, -0001
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21 10 2010


La nuova norma: due settimane
a stipendio pieno
MARCO ZATTERIN
CORRISPONDENTE DA BRUXELLES
Due settimane a casa con il figlio neonato, senza dover chiedere permessi speciali e con lo stipendio intonso. Il Parlamento europeo vuole che anche i padri abbiano pieno diritto al congedo nel momento in cui in casa arriva un nuovo erede, è una novità per molti Paesi e certamente per l’Italia. Le donne, invece, potranno usufruire di almeno venti settimane a retribuzione invariata, soglia inferiore rispetto ai cinque mesi garantiti nel nostro Paese, ma più alta rispetto a molti altri, ad esempio la Germania. La decisione è frutto del voto in prima lettura pronunciato ieri. Non sarà facile confermarla, come avverta la commissaria per i diritti personali, Viviane Reding: «E’ una decisione ambiziosa, non sarà facile trovare un compromesso coi governi».
A Strasburgo è stata la festa della mamma e del papà, per una volta concentrate nello stesso giorno. La relazione sul congedo parentale, destinata a modificare una direttiva del 1992, è passata con 390 voti a favore, 192 contrari e 59 astenuti. La versione che emerge dall’emiciclo alsaziano è più favorevole di quella presentata dalla Commissione Ue, che - applicando una formula più gradita al Consiglio - aveva suggerito di portare il termine per le madri da 14 a 18 settimane. Gli eurodeputati hanno fatto di più, sono saliti a venti. Hanno compiuto una scelta sociale che, in tempi di crisi e di manovre restrittive, molti ministri del Tesoro europei avrebbero preferito evitare. Tanto che l’emendamento che innalza la soglia minima di permesso per le mamme è passato per appena 7 voti.
Il testo approvato introduce regole minime a livello europeo. Gli Stati restano liberi di varare o mantenere i regimi di più favorevoli alle lavoratrici di quelli previsti dalla direttiva. Le lavoratrici in congedo di maternità, spiega una nota del Parlamento, dovranno percepire il 100% dell’ultima retribuzione mensile o della retribuzione mensile media. La proposta della Commissione invece prevedeva il pagamento completo solo nelle prime 6 settimane di congedo. «Congedi più lunghi sono previsti per le madri adottive, la nascita di bambini con handicap o per parti plurimi - precisa l’eurodeputata Silvia Costa (Pd) - E la norma vale anche per le lavoratrici autonome e le colf».
Svolta controcorrente in questi tempi di rigore. Lo è ancor di più per quanto riguarda il ruolo degli uomini. Ci sono state parecchi opposizioni nel corso del dibattito, poi è passata la linea più favorevole. «Gli Stati membri dovranno garantire ai padri il diritto a un congedo di paternità remunerato di almeno due settimane, durante il periodo di congedo di maternità». E’ una formulazione che porterà accesi dibattiti in Consiglio, sede in cui si esprimono i governi.
Nel testo approvato anche un’ovvietà. E’ proibito il licenziamento delle donne dall’inizio della gravidanza fino a almeno il sesto mese dopo la fine del congedo di maternità. Allo stesso modo si afferma che le lavoratrici debbano poter tornare al loro impiego precedente, o a un posto equivalente, con la stessa retribuzione, categoria professionale e responsabilità che avevano prima del lieto evento. Sembra una banalità, eppure la cronaca rivela che non sempre avviene così. Troppo spesso diventare mamma e perdere il lavoro sono esperienze che finiscono per coincidere.


http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/201010articoli/59651girata.asp

I NUOVI PROF E LA DOCCIA FREDDA

  • Nov 30, -0001
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20 10 2010


 

La beffa dei docenti con specializzazione                                                                                                                                                              FLAVIA AMABILE                                                                                                                                                                                                Dopo lo speciale con il bilancio di due anni di attività del governo nel campo scolastico mi è giunta una lettera che pubblico integralmente:
Mia moglie, laureata con 110 e lode in Scienze naturali e dottoressa di ricerca, rientra tra le migliaia di giovani laureati, per lo più meridionali, che hanno frequentato le scuole di specializzazione per l’insegnamento. Anche per mia moglie, come per tanti altri suoi colleghi, intensi sono stati i sacrifici sia per l’ingresso sia per la frequentazione delle SSIS: rinunzia a differenti prospettive e sbocchi professionali, costose tasse universitarie pagate, spese per la baby sitter ecc..
Credevamo però che i sacrifici fossero finalizzati ad un èsito positivo: poiché l’accesso alle scuole di specializzazione era a numero chiuso, tendenzialmente calibrato rispetto al presumibile numero annuale dei pensionamenti, eravamo convinti che, una volta terminati con successo i due anni del corso ed ottenuto il titolo abilitante, vi sarebbero state ragionevoli probabilità di ottenere una supplenza prima ed una cattedra poi.
E’ arrivata invece la doccia fredda. Infatti, a causa dell’ingiusta decisione contenuta nel decreto legge n. 112\2008, purtroppo approvato dal Parlamento e convertito nella legge n. 133\2008, di tagliare un numero enorme di cattedre (circa 87.000 in tre anni!), le prospettive di inserimento professionale per mia moglie e per tanti altri giovani laureati che desideravano e desiderano immettersi nel mondo dell’insegnamento si sono drasticamente ridotte.
Con tale decisione lo Stato ha violato il patto implicitamente ma univocamente assunto con coloro che avevano superato i test d’ingresso per le SSIS e ne hanno con successo seguìto i corsi; patto assunto anche durante il Governo Berlusconi 2001-2006 visto che quand’era Ministro Letizia Moratti le SSIS hanno continuato regolarmente a funzionare e ad immettere nelle graduatorie futuri docenti.
Il tutto senza poi trascurare che il taglio delle cattedre non danneggia soltanto le legittime aspirazioni professionali di migliaia di cittadini laureati ma arreca un notevole danno anche alla qualità del nostro sistema di istruzione statale. Ridurre il numero dei docenti ha infatti determinato la diminuzione del numero delle ore di lezione offerte agli alunni, la dilatazione delle infauste pluriclassi specie nelle zone interne e di montagna e, soprattutto, l’aumento del numero medio degli alunni per classe. In poche parole verrà peggiorato il livello di formazione degli allievi. E tanto dico per esperienza personale di studente: ho frequentato il liceo classico e posso dire con certezza che la qualità dell’attenzione dedicataci dagli insegnanti era notevolmente diversa tra il IV ginnasio, quando eravamo in ventisette, ed il III liceo, quando eravamo in sedici.
Insomma, se proprio si voleva intervenire sul numero delle cattedre scolastiche (ma, come avrà capito, a mio avviso sarebbe comunque stata una decisione errata) il buon senso, l’equilibrio ed una minima sensibilità sociale avrebbero imposto interventi più graduali e dilazionati nel tempo, un po’ come si è fatto per le varie riforme in materia pensionistica che si sono susseguite nell’ultimo quindicennio in questo paese.
Al contrario, l’intervento legislativo adottato ha murato l’uscita del tunnel a chi lo stava percorrendo da anni e ci si trovava in mezzo, senza realistiche possibilità di altre uscite, con l’unica colpa di aver confidato nella serietà di quello stesso Stato che – anche sotto il Ministro Moratti per cinque lunghi anni - aveva fissato anno per anno un numero contingentato e non casuale di accessi.
Ecco, mi chiedo perché, nel prospettare un bilancio sulle attività del Governo in materia di istruzione, tali questioni siano state omesse o, al più, riferite incidentalmente.
Ed ancora: perché generalmente le pretese di alcune categorie sociali verso i pubblici poteri sono ritenute legittime (ad es. la pretesa dei ceti imprenditoriali ad una p.a. efficiente nel rilasciare autorizzazioni e permessi) mentre altre vengono, direttamente o larvatamente, ritenute frutto di privilegi e parassitismi? Perché in questo nostro paese le istanze e le esigenze dei ceti più istruiti vengono così spesso calpestate?
Stefano Calabria
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AVETRANA, DONNE NEL MIRINO DELLA PROCURA

  • Nov 30, -0001
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20 10 200


Nuovi sospetti su Sabrina e
la madre. Spunta un'ipotesi:
Misseri stava dormendo
MARIA CORBI
INVIATA AD AVETRANA
E adesso è in arrivo una settima versione del delitto firmata Michele Misseri, il mostro di Avetrana che ogni giorno toglie e aggiunge particolari macabri e agghiaccianti. Condotto per mano dal suo avvocato sta pian piano stringendo il cerchio intorno a sua figlia Sabrina ma anche a sua moglie Cosima. E la nuova confessione convergerebbe con una ipotesi investigativa che la procura starebbe valutando secondo cui a commettere il delitto sarebbe stata solo Sabrina, mentre il padre addirittura dormiva. E il ruolo di Cosima è da definire, ma certamente in quel momento non stava dormendo.
Le cose, secondo questa ricostruzione, sarebbero andate così: mentre Michele riposava Sabrina convoca Sarah con la scusa della gita al mare e prima dell’arrivo di Mariangela, l’altra amica che doveva andare con loro in spiaggia. Vuole sgridarla e farle rimangiare le accuse di molestie fatte nei confronti di zio Michele, non avrebbe avuto intenzione di ucciderla ma le cose trascendono e alla fine Sabrina per far star zitta la cuginetta le stringe la corda intorno al collo. Michele sarebbe intervenuto solo dopo, allertato da sua moglie (a cui Sabrina avrebbe chiesto aiuto) per occultare il cadavere.
Mentre la posizione di Cosima non convince, soprattutto dopo il suo interrogatorio di lunedì dove sono stati tanti i «non ricordo». Troppi secondo gli inquirenti che hanno insistito molto nel chiederle chi della famiglia dormiva quel primo pomeriggio del 26 agosto e soprattutto in quale stanza. E anche come mai nei dieci minuti cruciali di quel pomeriggio c’è la supertestimone Mariangela che smentisce molti dei loro ricordi. Nei ragionamenti della procura anche le dinamiche familiari in cui Michele sarebbe stato «marginale».
Cosima la roccia della famiglia, il punto di riferimento, quella che risolveva tutti i problemi. E in quest’ottica, pensano gli investigatori, come poteva non sapere? Michele Misseri inizia a spogliarsi dai panni dell’orco per cucirsi addosso quelli della vittima delle circostanze: «Io in casa non contavo nulla, mangiavo con le mani e lavavo i piatti che mia moglie e mia figlia avevano usato, dormivo da tempo su una sedia».
Le analisi fatte dal Ris sul telefonino di Sarah «ritrovato» dallo zio Michele conforterebbero la teoria secondo cui le donne della famiglia sarebbero in qualche modo implicate: sulla batteria, quindi nella parte interna allo sportello, ci sarebbero impronte che non sono di Sarah. E certo l’intercettazione ambientale dove si sente Sabrina che si chiede perché «ha fatto trovare il cellulare, il giorno prima lo abbiamo toccato tutti quel telefono, ci sono anche le nostre impronte», può essere interpretata in questa chiave. E accertamenti irripetibili non solo sul telefonino ma anche su altri reperti all'esame dei carabinieri del Ris di Roma potrebbero essere compiuti già dalla prossima settimana, come riferisce il generale Luciano Garofalo, ex comandante del Ris di Parma e consulente dei legali della famiglia Scazzi.
Queste le tesi dell’accusa contro Sabrina che continua a gridare con forza: «Sono innocente». La sua difesa intanto affila le armi sostenendo che non si può credere a chi cambia tante versioni. E comunque tutti gli indizi a carico della ragazza rimangono tali, difficilmente possono trasformarsi in prove schiaccianti.
A iniziare dalle intercettazioni ambientali, ma anche dalla sequenza famosa di sms tra Sabrina e Mariangela che proverebbero solo, secondo gli avvocati Vito Russo ed Emilia Velletri, che quel giorno la loro assistita progettava di andare al mare con la cugina e le amiche. Avrebbe dato appuntamento a una testimone, Mariangela, se avesse avuto intenzione di commettere un delitto, o comunque di avere un duro chiarimento con Sabrina? E certo la difficoltà di Misseri ad accettare un confronto con la figlia, che invece lo sollecita, non è un segnale di sicurezza, ma la possibilità di una sua ritrattazione. Anche perché ieri in carcere quando ha saputo che anche Sabrina era in cella si è disperato. Sensi di colpa?
Dubbi solidi, che insieme alla granitica autodifesa della ragazza hanno costretto il gip a prendersi del tempo prima di decidere, oggi, sulla custodia cautelare in carcere. Mentre Michele Misseri si prepara a rilasciare nuove dichiarazioni secondo le quali, assicura il suo legale, «potrebbe cambiare tutto».

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/201010articoli/59617girata.asp

ABORTO E CANCRO: CINQUE STUDI

  • Nov 30, -0001
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19 10 2010


San pietro e dintorni
Marco Tosatti
Ricercatori iraniani hanno pubblicato i risultati di un nuovo studio, secondo cui le donne che abortiscono corrono un rischio del 193% maggiore della media di contrarre un cancro al seno. Anologa ricerca in Sri Lanka. Insieme a quella iraniana e ad altre provenienti dagli Stati Uniti, dalla Cina e dalla Turchia, pubblicate negli ultimi diciotto mesi portano a una conclusione, e cioè che l'aborto innalza il rischio di cancro al seno
MARCO TOSATTI
Rilanciamo un servizio pubblicato da "AsiaNews".
Ricercatori iraniani hanno pubblicato i risultati di un nuovo studio, secondo cui le donne che abortiscono corrono un rischio del 193% maggiore della media di contrarre un cancro al seno. Lo studio segue la notizia secondo cui Komen for the Cure ha dato 7,5 milioni di dollari nel 2009 ad attività legate all’aborto nel sistema di Planned Parenthood. I risultati sono stati pubblicati nel numero del 3 aprile 2010 della rivista Medical Oncology, ma sono giunti alla pubblica attenzione solo ora. Hajian-Tilaki K.O. and Kaveh-Ahangar T. dell’Università di Scienze Mediche di Babol hanno preso in esame 100 casi di donne a cui era stato appena diagnosticato un cancro al seno e li hanno comparati con duecento controlli di donne della stessa età. I ricercatori hanno scoperto che l’aborto innalza in maniera significativa i rischi di cancro. E anche una prima gravidanza a età più avanzata aumenta il rischio di cancro al seno del 310 per cento. Gli scienziati iraniana hanno confermato anche i risultati di altri studi, e cioè che un maggior numero di gravidanze reduce in maniera significativa il rischio di cancro. Il Food Consumer web, dando notizia dello studio, indica che un numero di gravidanze eguale o superiore a cinque ha ridotto il rischio di cancro al seno del 91%, rispetto a donne che non sono mai state incinte. Ogni gravidanza in più riduce il rischio di cancro del 50 per cento. Lo studio iraniano è apparso appena prima di una ricerca condotta da scienziati in Sri Lanka che hanno scoperto che le donne che hanno abortito in passato avevano il 242% di possibilità in più di contrarre il cancro al seno. Lo studio è stato pubblicato sul giornale di Cancer Epidemiology. L’aborto era il fattore più significativo nello studio sul rischio di cancro al seno, e i ricercatori hanno evidenziato anche che l’allattamento prolungato da parte della madre riduce in maniera notevole il rischio. Malintha De Silva e suoi colleghi dell’University di Colombo hanno condotto la ricerca. Insieme a quella iraniana e ad altre provenienti dagli Stati Uniti, dalla Cina e dalla Turchia, pubblicate negli ultimi diciotto mesi portano a una conclusione, e cioè che l’aborto innalza il rischio di cancro al seno. Nella ricerca statunitense, Louise Brinton, capo settore del National Cancer Institute, coautrice, ha ammesso che “l’aborto indotto e l’uso di contraccettivi orali sono associati un maggior rischio di cancro al seno”. Gli autori indicavano nel 40% il maggior rischio legato all’aborto.


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UN PAESE A PEZZI

  • Nov 30, -0001
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20 10 2010

                                                                                                                                                                                                                                              E il magistrato ci scrive su un libro in cui l'Italia è divisa in lettere secondo un alfabeto degli scempi e delle vergogne

diritto di cronaca  
FLAVIA AMABILE
Il Paese a pezzi è l'Italia, ed ha provato a raccontarlo un magistrato in un libro Alfabeto Italia - Riflessioni e provocazioni per un paese a pezzi, pubblicato dalla Ginevra Bentivoglio EditoriA. Sarà presentato il 23 ottobre 2010, nel cortile quattrocentesco sede della casa editrice.??Il libro, un po' saggio e un po' racconto, esamina attraverso un vero Alfabeto e con molta ironia, vizi e furberie itaine: dall’ambiente (A) alla giustizia (G), dalla fede (F) alle unioni civili (U), dallo sport (S) alla televisione (T), passando attraverso il kaos (K), il privilegio (P) e la xenofobia (X), si snodano infatti i tanti malcostumi italici e si propongono, non senza il gusto della provocazione, numerose soluzioni possibili.??L'autore è Aldo Marinelli, romano, nato nel 1949. Ha 32 anni alle spalle di Magistratura presso il Tribunale penale di Roma. La serata sarà introdotta dalle Persone Libro, cellula?italiana del “Proyecto Fahrenheit 451” coordinata dall’Associazione “Donne di Carta”.?La loro performance consisterà in un coro di voci che racconteranno i brani più significativi?dell’“alfabeto marinelliano”.??Ho deciso di proporvi un capitolo di questo libro, l'introduzione, che racchiude molti temi di cui spesso si parla in questo blog?
Un popolo di eroi, santi, poeti e navigatori.
Diventati furbi, furbetti e furbastri.
Senza regole, doveri, responsabilità, onestà, legalità.
Soprattutto senza serietà.
Insomma, un paese finto.
Negli anni ’90 vengo fermato e controllato da una pattuglia
di polizia alla guida della mia vettura. Nulla mi viene
contestato,ma vengo guardato con sospetto, si allungano
sguardi investigativi attraverso i finestrini, si gira e rigira intorno
alla vettura, mentre altro personale controlla o perlomeno trattiene
i miei documenti. Dopo parecchi minuti chiedo se vi sia
qualcosa da contestarmi: mi si dice che è un semplice controllo.
Chiedo i miei documenti e mi si risponde con una domanda:
“Che lavoro fa?”
Rispondo: “Sono un cittadino della Repubblica Italiana e
non vedo quale importanza abbia il mio lavoro”. A questo
punto mi si chiede di aprire il cofano del bagagliaio. Faccio osservare
che se vogliono perquisire la vettura devono avere un
mandato, oppure contestarmi la flagranza di un reato, oppure
avere il fondato sospetto che io trasporti armi. Si guardano
stupiti e mi chiedono se sia un avvocato.
Torno a rispondere che ilmio lavoro non conta e chemi trattino
come un cittadino qualsiasi. Insisto per conoscere i motivi
di tanti sospetti, chiedendo se abbiano avuto una segnalazione
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su una vettura analoga alla mia o su una persona che mi somigli.
Dopo qualche esitazione mi viene detto che porto la cintura
di sicurezza (obbligatoria da anni) e poiché nessuno la porta tale
comportamento è strano (viene testualmente definito “strano”).
Al mio sbalordimento, il poliziotto dà anche una spiegazione
meravigliosamente allucinante: se qualcuno porta in macchina
droga o un sequestrato o si trova comunque in una situazione
illegale non rischia certo di essere fermato per un semaforo
rosso o una violazione amministrativa, per cui portare la cintura
di sicurezza è sospetto in una città dove nessuno la porta.
A questo punto sbotto: mi qualifico (non ha importanza il
mio lavoro) e mi prendo le scuse dei poliziotti, che mi rimproverano
di non aver detto subito che lavoro facessi e sembrano
stupiti del mio ribadire che non aveva alcuna importanza. Faccio
loro rilevare che mi si sta dicendo che in questo Paese è sospetta
l’osservanza delle regole, mentre è “normale” chi le viola.
Poi, ragionando, mi complimento con l’acume investigativo
dei poliziotti: avevano perfettamente ragione. Un cittadino che
indossa le cinture di sicurezza obbligatorie in questo Paese è sospetto,
perché la legalità in questo Paese è una cosa inconcepibile.
Ho ripreso i miei documenti e sono andato via tra mille
scuse dei poliziotti.
Questo è un paese di furbi.
Le regole sono riservate ai fessi.
Conosco casualmente uno statunitense di Boston, in Italia
per sei mesi per un master. Innamorato dell’Italia, mi racconta
che la cosa che lo ha stupito di più del nostro Paese è come la
gente parli tranquillamente, nei luoghi pubblici, nei bar o nei
ristoranti, alle feste e perfino sui mezzi pubblici, di come evada
le tasse. Specificando bene sistemi, metodi e trucchi, con riferimento
al settore immobiliare, commerciale, professionale e
così via. Parlando a voce alta, come la cosa più naturale.Mi dice
ridendo che in poco tempo ha imparato tanto al riguardo che
potrebbe scrivere un libro su come si evadono le tasse in Italia.
Mi precisa che anche negli USA alcuni cercano di pagare meno
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tasse con vari sistemi, ma mi assicura che chi lo fa agisce in assoluto
segreto. Non si sognerebbe lontanamente di parlarne
neppure in famiglia, figuriamoci nei luoghi pubblici o alla presenza
di sconosciuti. Mi chiede ingenuamente se l’evasione in
Italia sia perseguita e se sia molto diffusa. Non so come rispondere.
Anche io mi stupisco: mi stupisco di come uno straniero
in pochi mesi abbia potuto percepire una tale situazione,
ma aveva ragione: qui si insegna che le tasse sono una rapina
dello Stato, non un servizio sociale per farlo funzionare. Magari
siamo campioni in beneficenza e carità, basta che non si
guardi nel proprio portafoglio o nel proprio conto corrente.
Senso di appartenenza alla comunità e fierezza di contribuire
ai bisogni comuni è troppo.
Meglio un sano individualismo: agli altri ci devono pensare
sempre gli altri.
Questo è un paese di furbi.
Solo diritti. I doveri sono riservati ai fessi.
Esame di un imputato che presenta un certificato penale con
15 o 16 condanne definitive per reati vari, per un totale di 11
anni e 4 mesi di reclusione. Il giudice fa notare la cosa e chiede
quando è uscito l’ultima volta dal carcere. Risposta: “Dottò, io
il carcere non l’ho mai visto manco come è fatto”. Allo stupore
del giudice aggiunge che non sa spiegarlo, ma “è tutta roba
vecchia, sospensioni, amnistie, condoni”. È vero che si tratta di
reati non particolarmente gravi (soprattutto truffe, furti e ricettazioni)
e di condanne a pochi mesi ciascuna, ma che senso
ha aver impiegato enormi mezzi finanziari, aver costretto centinaia
di persone ad accertare i fatti, decine di giudici a scrivere
sentenze che parlano di reclusioni fantasma?
Esame di altro imputato, accusato di cinque rapine. Premessa
del giudice: “Lei è accusato di aver commesso cinque rapine in
40 giorni”. Risposta: “Due non sò mie, le altre sì. Se uno decide
de commette ‘na rapina tanto vale che ne fa un po’ tutte insieme;
tanto se ne fai una so’ tre anni, se ne fai tante è poco de più” (tragicamente
vero). Forse c’è una certa convenienza a delinquere,
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tanto non succede mai nulla. I processi sono veri ma servono
solo a far finta che la giustizia funzioni, lentamente, inmodo che
tutto si aggiusti tra un condono, un’amnistia, un’esecuzione ritardata
e una prescrizione. Accompagnati da un popolo e da
media schiamazzanti che preferiscono i processi in tv, vogliono
decidere chi è colpevole e chi innocente. Cercano di linciare i
colpevoli al momento del fatto invocando la pena di morte e
dopo qualche tempo dimenticano tutto invocando il perdono.
Questo è un paese di furbi.
La responsabilità è riservata ai fessi.
In un bar: di mattina, presenti circa 10 clienti. Entra un ragazzo
un po’ malconcio e agitato che letteralmente urla: “So
cascato e ho distrutto la moto: chi me fa ’n incidente che je pago
er malus?”
In fila alle poste: due persone parlano di permessi edilizi (non
ho sentito l’inizio della discussione e quindi non so esattamente
di cosa si trattasse). Uno racconta tranquillamente che paga
500.000 lire a ogni passaggio della pratica da un ufficio comunale
all’altro per ottenere quanto chiesto. L’altro si mostra interessato
e chiede come si fa, perché deve costruire su terreno
vincolato. Il primo dice che non lo sa perché la sua richiesta è
regolare... si tratta solo di accelerare i tempi, mentre in caso di
abuso tutto si fa, ma costa certamente molto di più.
Regolare o irregolare, basta pagare.
In un parcheggio autostradale: due camionisti parlano di come
siano costretti a caricare merce molto eccedente la portata dei
loro mezzi e a viaggiare oltre i limiti di velocità massima, “sennò
non si guadagna e non si lavora”, e si scambiano informazioni
su come evitare le multe e soprattutto il blocco del mezzo da
parte della polizia. Uno sostiene che il sistema migliore è caricare
qualche elettrodomestico “extra”, lui in genere usa le lavatrici
(due o tre per andare da Milano a Palermo). In caso di
contestazioni, “ti regoli e se è il caso fai capire dove lascerai la
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lavatrice”, evitando la consegna diretta. L’altro invece sostiene
che è meglio il classico metodo delle 50.000 lire nella patente.
Il primo ribatte che è troppo pericoloso: può capitare quello
che non ci sta e passi i guai, mentre il suo sistema è meno esplicito
e quindi meno rischioso.
In uno studio medico: dopo la visita, dalla segretaria per pagare.
Vengono richieste 300.000 lire (cifra astronomica per
l’epoca). Chiedo la ricevuta. Con aria seccata viene preparata
e consegnata. È indicata la somma di 100.000 lire e pago
100.000 lire. La segretaria ricorda che devo 300.000 lire. Ribatto
che se vuole tale somma deve farmi la ricevuta corrispondente.
Si allontana per parlare col professore e torna
dicendo che vanno bene 100.000 lire. Dunque pur di non far
risultare l’entrata di 300.000 lire per una visita, il professore
preferisce accontentarsi di 100.000.
Episodio segnalato alla Guardia di Finanza: non so con
quale esito.
In un negozio: appena usciti sul mercato i primi televisori
piatti (non so se al plasma o a cristalli) un signore tratta l’acquisto
di un televisore da oltre 6 milioni di lire. Vengo poi a
sapere che quel signore ha presentato domanda di esonero
dal pagamento di un servizio pubblico perché nullatenente a
reddito zero.
In un cantiere edile: due operai si allontanano intorno alle 10.30.
Chiedo comemai emi viene detto come fosse normale che vanno
a “firmare” la disoccupazione all’ufficio di collocamento.
In tribunale: un imputato sorpreso con un grosso quantitativo
di banconote false viene assolto “perché il fatto non sussiste”.
Assoluzione “tecnica” del tutto legittima. Così prevede la
legge nel caso in cui le banconote prodotte non siano falsificate
sufficientemente bene, cioè non siano in grado di ingannare
un percettore di normale attenzione. L’avvocato rassicura il
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cliente, già più che soddisfatto: “Adesso facciamo causa di risarcimento
per ingiusta detenzione” (evidentemente era stato
arrestato in flagranza e detenuto). Non so se quell’imputato ha
avuto la spudoratezza di farlo e se quell’avvocato abbia avuto la
protervia di difenderlo in tale intento. Non mi meraviglierebbe.
Ancora: un imputato avvisa il suo difensore che non ha tanti
soldi per pagarlo. “Non si preoccupi, lei dichiara che non ha
alcun reddito e paga lo Stato. Basta firmare il modulo”.
A Manhattan, New York: in una camera d’albergo un cartello
avvisa: “Attenzione – Aeroporto di Roma Leonardo da Vinci. Se
siete diretti o in transito a Roma Fiumicino non lasciate gioielli,
oggetti di valore o regali nel bagaglio da stiva. Rischio furto livello
rosso”. Segnalazione unica. Nessun riferimento ad altri
aeroporti del mondo.
In un ristorante: in due a cena, chiediamo il conto. Viene presentato
un foglietto a quadretti con indicato il totale. Chiedo la
ricevuta fiscale e mi viene consegnata una ricevuta generica
con scritto “pasto completo per due persone”. Faccio rilevare
che l’importo indicato è superiore a quello prima scritto sul
foglietto e il ristoratore mi dice che ha sbagliato la ricevuta, ma
ormai non la può correggere, e che comunque devo pagare
l’importo minore indicato sul foglietto. Pago trattenendo ricevuta
e foglietto. Esco e poco lontano vedo due persone che
erano sedute allo stesso ristorante, uscite prima di noi. Mi
viene un sospetto e chiedo loro se hanno avuto la ricevuta fiscale:
mi dicono allarmati di sì, ma che l’hanno lasciata al ristorante.
Li tranquillizzo e chiedo quanto hanno pagato. La
somma è quella indicata sulla ricevuta consegnata a me. Ecco
perché la ricevuta è generica (“pasto completo per X persone”):
si cerca di non farla, e se viene richiesta si riciclano più
volte quelle poche già fatte, adatte a vari tavoli a seconda del
numero delle persone.
Episodio segnalato alla Guardia di Finanza: non so con
quale esito.
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In un processo: imputato cui durante una perquisizione erano
state trovate ricevute bancarie per acquisto di BOT per un importo
di 210 milioni di lire (se non ricordo male), chiede il gratuito
patrocinio, dichiarando spudoratamente di aver avuto
nell’anno precedente reddito familiare zero, tanto da non aver
presentato dichiarazione dei redditi. La domanda viene respinta,
motivando con la disponibilità patrimoniale predetta.
Non so se abbia fatto ricorso e sia poi stato ammesso al pagamento
del difensore a carico dello Stato in secondo grado: la
legge prevede solo che nell’anno precedente non si sia avuto un
reddito “superiore a...”. Quindi se non si è dichiarato alcun
reddito meglio ancora: basta essere evasori e si può godere
della difesa a carico dello Stato, cioè di tutti i cittadini.
Per la strada: un rumeno mi chiede assai preoccupato come
fa a dimostrare la proprietà dei suoi beni in caso di accesso dei
creditori del suo connazionale coinquilino, che continua ad acquistare
a rate ogni sorta di beni (macchina, computer, tv, elettrodomestici
e così via), senza pagarne alcuno.
Chiedo ingenuamente perché costui continui a comprare,
se non ha il denaro per far fronte a quanto già acquistato. Risposta:
“Non è che non abbia i soldi per pagare le rate; dice
che in Italia non è come da loro; qui non possono riprendersi
quanto hai cominciato a pagare, possono solo sequestrarti qualcosa
dopo anni e siccome non ha nulla da perdere, lui non
paga”. Dunque un cittadino straniero ha capito in poco tempo
come vanno le cose in Italia. Intanto non paga e godrà di beni
non pagati, tanto ci vogliono mesi o anni prima che succeda
qualcosa. E non avendo nulla da perdere, non pagherà mai.
Alle Maldive: a cena, tavolo accanto, a voce alta. Un signore
35-40 anni: “Il segreto è restare nell’ombra e lavorare in proprio,
senza bottega e senza dipendenti. Certo ti devi accontentare
di 4-5 milioni al mese (somma altissima, per l’epoca).
Se apri la partita Iva sei fottuto. Tanto nel nostro lavoro basta
un piccolo magazzino, anche a casa, un po’ di attrezzi, non c’è
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bisogno di tanto materiale”. Probabilmente si tratta di un artigiano.
L’altro (evidentemente un collega) ha invece aperto la
partita Iva. Il primo lo rassicura, ha pronto il consiglio anche
per questo estremo caso di onestà. “Allora devi cercare di stare
appena sopra i minimi, in modo da non dare nell’occhio.
Tanto nel nostro campo nessuno ti chiede la fattura. Così non
ti rompono le scatole. Però, se esci allo scoperto, prima o poi
qualche rogna ce l’hai”.
Questo è un paese di furbi.
L’onestà è riservata ai fessi.
In un ufficio pubblico: una persona vuole installare una piccola
piscina prefabbricata. Vuole fare le cose in regola e porta in
Comune il depliant della piscina scelta. Gli viene detto che, anche
se molto piccola e consegnata in kit di montaggio, bisogna chiedere
la concessione edilizia perché interrata. Espletate le pratiche,
viene rilasciato parere favorevole dalla commissione edilizia
alla condizione di presentare un contratto “perenne” per lo
svuotamento annuo a mezzo autocisterna. Motivazione: pericolo
di danneggiamento del sistema di depurazione in caso di
afflusso di acqua trattata con cloro. Si fa presente e si documenta
che quella del contratto perenne è categoria giuridica inesistente,
che si tratta di piscina a ricircolo interno che non richiede
la sostituzione dell’acqua e quindi mai alcuno svuotamento, che
comunque lo scarico di emergenza viene effettuato come da
progetto nei canali dell’acqua piovana e non nella rete fognante
e infine che, anche in caso di svuotamento necessitato (nella rete
delle acque piovane), la semplice attesa di 48 ore senza clorazione
e senza ricircolo abbatte totalmente il volatile cloro (come
attestato dalla ditta delle piscine). Niente da fare: bisogna buttare
via ogni anno 30.000 litri di acqua, con un contratto che
non si può fare e con uno spreco inutile. Non si può uscire dall’impasse.
Qualcuno fa allora presente che “per una piscina così
piccola non c’era bisogno di fare una domanda di concessione
edilizia... Tutti se la fanno facendola passare per vasca per la rac-
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colta di acqua piovana a fini di irrigazione o vasca per l’abbeveraggio
del bestiame”. Come dire: hanno detto come si doveva fare secondo
le regole, ma non pensavano che la persona in questione
fosse così stupida da procedere veramente così. In questo caso,
i problemi sono irrisolvibili. Meglio una piscina che piscina non
è, e non importa se poi la vasca per irrigare o dar da bere alle
bestie sia tutta celeste e magari dotata di trampolino. La piscina
viene alla finemontata e si invita l’ufficio competente a verificare
che lo scarico non sia nella rete fognante e quindi come l’acqua
non possa raggiungere il depuratore. Niente da fare: la burocrazia
non lo prevede. Non è finita. Si fa notare che molte altre
piscine sono invece collegate alla rete fognante e dunque possono
generare quel tipo di problemi. Risposta: quelle sono state
costruite prima, quando non c’era il depuratore e il relativo divieto
di scarico. Si insiste: non si tratta di verificare abusi, ma se
è entrato in vigore un divieto di questo genere bisogna che nessuno
scarico sia allacciato alla rete fognante. Basta emettere
un’ordinanza che imponga a tutti i possessori di piscina una
semplice deviazione degli scarichi, senza elevare alcuna contestazione.
Risposta: sulle altre non possiamo intervenire perché
non sono ufficialmente piscine. Dunque non solo a fare una piscina
vera e relative pratiche regolari incontri problemi irrisolvibili,
ma a fare una piscina finta con relative pratiche irregolari
non esisti e dunque puoi legalmente infrangere un divieto e inquinare
l’ambiente.
Questo è un paese di furbi.
La legalità è riservata ai fessi.
Un paese di burattini.
Un fai da te senza regole e senza rischi.
Però che non ci chiamino “mafia, pizza e spaghetti”.
Siamo italiani.
Sembrerebbero solo aneddoti, tanto rasentano il surreale,
ma su questi e mille altri episodi analoghi bisognerebbe riflettere,
capire che Paese siamo e domandarci che Paese vogliamo.
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Porre la questione delle nostre responsabilità, invece di attribuirle
sempre agli altri. Costruire una coscienza civile e una
consapevolezza sociale, invece di lamentarci. Capire che si
tratta delle nostre scelte e del nostro futuro. Non qualcosa che
ci capita, ma qualcosa che pratichiamo tutti i giorni, e che forse
ci fa comodo.
Insomma, quel che ci meritiamo.
Ho raccolto in queste pagine, senza ordine né pretesa di
completezza, appunti sparsi, testimonianze diverse e qualche
idea stravagante su tanti aspetti della vita culturale, sociale e civile
di questa Italia così finta, così poco seria.
Notizie, informazioni, ipotesi raccolte ascoltando le persone
comuni, elaborando le critiche che esprimevano e i bisogni che
suggerivano. Non dati o fonti per un saggio o un trattato, ma
spunti di discussione circa il quotidiano.
Per ricordare a noi stessi le tante cose che non funzionano e
rifletterci insieme, ma anche per lanciare qualche idea e proporre
qualche soluzione, non so quanto praticabile, ma spesso
più semplice di quanto si creda. Nessuna di queste proposte
troverà forse accoglimento o realizzazione. Tutte, anche le più
semplici, alterano interessi protetti e intoccabili. Ma proprio
per questo possiamo fare la nostra parte: risvegliare la nostra
coscienza sociale e imporre nuove scelte dal basso, anziché subirle
dall’alto per poi criticarle.
Per non pretendere soltanto, ma anche offrire la propria
passione civile.
Per non doversi vergognare.
Ho sognato che si può.
Ho pensato che le piccole cose fanno quelle grandi.
Ho immaginato, insomma, una letteratura di servizio.
Per noi.
Per capire, per scegliere, per agire.
Prima che il marcio ci contagi tutti.

http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=124&ID_articolo=1059&ID_sezione=274&sezione=

MAFIA, LE DONNE VITTIME NELL'OMBRA

  • Nov 30, -0001
  • Pubblicato in LA STAMPA
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 la stampa.it
19 10 2010


opinioni
FRANCESCO LA LICATA
L’universo mafioso - si sa - pensa solo al maschile. Non c’è spazio per le donne, se non nelle vesti di vittime o protagoniste di immani tragedie e comunque personaggi dal destino segnato. Nessuna donna ha mai ricoperto il ruolo di capo e quando qualcuna si è imposta fino a sfiorare il vertice, ciò è avvenuto per necessità di sostituire un uomo momentaneamente assente. Ma anche le supplenze sono episodi sporadici. Più frequenti, invece, le storie tragiche, la violenza cieca esercitata su «deboli e indifese» che la stessa legge mafiosa vorrebbe ipocritamente destinate ad una «tutela assoluta».
Non si può dire che sia stato osservato il comandamento di rispettare le donne nel caso della vendetta trasversale riservata al pentito siciliano Francesco Marino Mannoia. Aveva da poco accettato di collaborare col giudice Giovanni Falcone quando, era l’ottobre del 1989, Cosa nostra uccise Leonarda, la madre, Vincenza, la sorella, e Lucia, la zia del neo collaboratore. Si salvò a stento Rita, la compagna che adesso vive con lui fuori dall’Italia. Era la prima volta che la mafia contravveniva alle proprie leggi, ma la posta in gioco era troppo alta per non tentare qualsiasi azzardo. Si trattava di bloccare sul nascere il fenomeno del pentitismo che già aveva mostrato tutta la sua pericolosità con le collaborazioni di Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno.
Già, Buscetta. Anche questa storia è popolata di donne: tutte in qualche modo vittime del fascino del «mafioso buono». Era vittima Melchiorra Cavallaro, la madre dei suoi figli, relegata al ruolo di comparsa silenziosa. Ed anche la soubrette Vera Girotti, sua compagna nell’attraversamento della «bella vita», lusso e champagne, ma delusa dalla chiusura che il boss opponeva alla richiesta di una «vita più normale». Privilegio, questo, poi concesso da don Masino alla compagna della maturità: Cristina de Almeyda Guimares, donna colta e intelligente che, non a caso, non ha mai voluto prender posto dentro il baraccone mediatico che ha accompagnato l’ultino scorcio della vita del grande pentito.
Chissà, forse la stessa ansia di normalità avrà convinto Lena Garofalo a fidarsi del padre di sua figlia. Forse Lena inseguiva una sistemazione per il futuro di Denise, già stanca di fuggire - insieme con la madre - ai maschi di una famiglia che avevano già deciso di eliminare una testimone, Lena, della loro mafiosità. Imprudente, povera donna: mentre si illudeva che il padre di sua figlia si fosse oldrassegnato al «perdono», per lei colpevole di aver collaborato coi giudici, quello aveva già messo da parte l’acido per squagliarla. È incredibile come tante donne si rifiutino di vedere ciò che accade attorno a loro. Prendiamo Ninetta Bagarella, la moglie di Totò Riina. Ha sempre difeso il suo uomo, sin da quando, giovanissima, andò al Tribunale di Palermo per «spiegare» ai giudici che Totò era il migliore degli uomini. Poi si è lasciata trascinare nella clandestinità: trent’anni di anonimato riuscendo a partorire quattro figli. Dalla sua bocca non è uscita mai una sola parola di rimpianto, neppure davanti al figlio Giovanni, giovanissimo e già condannato definitivamente all’ergastolo. Ma lei è la moglie del Padrino e, perciò, recita un ruolo importante. Quello di custode dei «valori» di Cosa nostra «correttamente» trasmessi ai figli. Non v’è raffronto possibile con storie più marginali, come quella di Lea Garofalo. Ma anche dentro la «mafia nobile» ha albergato e incombe la tragedia. Che dire della drammatica fine di Vincenzina Marchese, moglie innamoratissima di Leoluca Bagarella? Lui è fratello di Ninetta, la moglie del Padrino. Lei, morta suicida, era figlia e sorella di grandi mafiosi palermitani. Amava tantissimo il suo Luca, fino a sopportare anche lei la clandestinità. Ma aveva un cruccio: l’assenza di figli che lei viveva come un castigo di Dio. Una nemesi divina per la crudeltà con cui Bagarella aveva fatto uccidere e sciogliere nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, ‘u picciriddu sequestrato per ricattare il padre pentito e indurlo a ritrattare ogni rivelazione. Bagarella trovò la moglie impiccata in cucina. E come in un racconto dell’orrore l’ha seppellita in un posto che lui solo conosce. Perchè il suo dolore sia soltanto il suo, senza dover condividere la «vergogna» di una moglie suicida.

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