LA STAMPA

lastampa.it
19 19 2010


Saviano-Fazio, ospiti senza contratto. Il conduttore:
non si va in onda
PAOLO FESTUCCIA
ROMA
Da giorni ci pensa. Almeno da mercoledì scorso, quando si è fatto passare al telefono Milena Gabanelli per raccomadarle prudenza sulla prima puntata di «Report». In quella circostanza, il direttore generale della Rai, Mauro Masi, però, non ha chiesto né scaletta - come pure da qualche settimana va predicando almeno per quel che concerne i talk show - né la visione dell’inchiesta di dodici minuti da Antigua sulle ville del Premier, Silvio Berlusconi. Niente, di tutto ciò, ma raccontano al settimo piano di viale Mazzini che già pensava al blitz: ovvero togliere la tutela legale alla giornalista (la cosiddetta manleva) e al suo programma di inchiesta. Operazione già tentata nel 2009 (trovò la condanna anche del presidente della Vigilanza Sergio Zavoli), che ora resta la prima opzione del capo della Tv pubblica per «frenare», per così dire, una certa irruenza giornalistica nei servizi-inchiesta. Ma anche stavolta, assicura un top manager della Rai «l’iniziativa andrà a vuoto, così come sono andate a vuoto le sanzioni disciplinari contro Michele Santoro (che sta preparando la puntata di giovedì, ma anche quella prossima), e tutti i tentativi di irregimentare programmi come quello di Serena Dandini, ma anche della coppia Saviano-Fazio».
Tentativi, vero, ma che sono sempre dietro l’angolo. E, infatti, l’ultimo blitz è delle ultime ore. Il direttore generale, Mauro Masi ha rispedito al mittente i contratti degli ospiti del programma «Vieni via con me», di Saviano e Fazio. Niente scritture, dunque, per Roberto Benigni, Paolo Rossi e Antonio Albanese. Sostiene di volerci vedere chiaro, e soprattutto di ridurre almeno di un quinto i compensi degli ospiti, che proprio per la straordinarietà dell’evento programmato da Saviano chiedevano compensi decisamente distanti dai loro abituali standard. Fabio Fazio in serata ha replicato duramente: «A tre settimane dalla messa in onda Endemol Italia non ha ancora il contratto, gli ospiti non hanno ancora il contratto e giustamente Saviano dice: “così non vado in onda”, e io sottoscrivo pienamente». «Non ci sono giustificazioni di natura economica: evidentemente è un momento in cui la tv non può permettersi di raccontare la realtà».
E così, la polemica è riesplosa e c’è chi legge nei progetti del Dg il fine di mettere Saviano nelle condizioni di non poter partire con le sue 4 puntate su Raitre, visto che non ci sono i contratti firmati per gli ospiti. Ma Masi si è anche spinto oltre. E sfidando la lettera dei tre direttori di rete, con la quale rivendicano autonomia nelle scelte editoriali pretende una revisione contrattuale anche per la Canalis e Belen a Sanremo. Insomma, assicurano a viale Mazzini «tanta intraprendenza» non si era mai vista. Al punto che c’è chi scommette che tale atteggiamento non faccia altro che «incattivire e indisporre i conduttori di certe trasmissioni», che «ora non faranno altro che alzare sempre di più il tiro».
Il presidente, Paolo Garimberti che, dopo l’apparizione di Masi sugli schermi di «Porta a porta» ha sottolineato che «le questioni aziendali della Rai hanno dei luoghi deputati in cui vanno discusse, e sarebbe bene che rimanessero confinate in quei luoghi». Insomma, al presidente della Tv pubblica le esternazioni del direttore su Santoro non piacciono e nel cda arricciano il naso pure gli uomini del centrodestra. C’è chi pensa, infatti, che certi «atteggiamenti non potranno che far ricadere le responsabilità sulla maggioranza di governo, che magari nulla sa realmente delle condizioni in cui versa l’azienda» e chi invece, come il consigliere Antonio Verro spiega con un battuta che in fondo «Masi quando va in Tv non fa altro che prepararsi alla sfida contro Santoro a Annozero».
Ma al di là dei punti di vista, l’ironia del consigliere Nino Rizzo Nervo la dice lunga sulla situazione che regna a viale Mazzini: «Sono convinto che il Dg abbia telefonato a Milena Gabanelli per complimentarsi del clamoroso successo di ascolti». E già, l’ironia, la stessa che lascia credere che Masi anche con lo stop ai contratti per «Vieni via con me» di Saviano voglia, in fin dei conti, solo riproporre una grande operazione di marketing strategico per lanciare il programma. E visti i risultati degli ultimi tempi, stavolta c’è da scommettere che Albanese, Benigni e Rossi andranno anche gratis pur di di dire la loro. E senza contratti, come ospiti allora, ne vedremo delle belle. Quest’autunno televisivo non sarà così freddo, anzi sarà caldissimo.


http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59571girata.asp

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13 10 2010



Fli pronto a dare battaglia: trovare subito le risorse o rinviare tutto. L'esame della legge slitta a venerdì
ROMA
Tempi bui per l'Università. La Ragioneria Generale dello Stato stronca le modifiche apportate dalla Camera al ddl dell’Università, la cui approvazione a questo punto diventa a rischio, se il governo non riuscisse a trovare le coperture necessarie. Intanto la conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha deciso di spostare la discussione generale, in calendario per domani, a venerdì, dato che ancora manca il parere della commissione Bilancio. I parlamentari di Futuro e Libertà sono pronti ad una battaglia parlamentare sulla riforma dell’Università ripresentando da domani in aula gli emendamenti ritirati in commissione, se alle aperture fatte dal Governo a ricercatori e precari non seguirà l’impegno concreto a stanziamenti di risorse aggiuntive. Lo annunciano il capogruppo finiano alla Camera Italo Bocchino, insieme ai deputati Fabio Granata e Giuseppe Valditara.«Nell’ambito della riforma universitaria, grazie agli emendamenti presentati dai parlamentari di Futuro e Libertà per lItalia e accolti dal governo -ricordano i deputati Fli- abbiamo garantito un'opportuna apertura alle legittime istanze dei ricercatori e dei professori assicurando un adeguato piano di assunzioni e il ripristino degli scatti meritocratici».
«Le modifiche per noi sono fondamentali, soprattutto quella sui ricercatori - spiega la finiana Chiara Moroni - e quindi il Governo deve trovare la copertura. Altrimenti, non c’è alcuna fretta di varare la riforma, si può aspettare la Finanziaria». Sulla stessa linea il Pd, che con Massimo Vannucci spiega: «Piuttosto che raffazzonare un testo che non sta in piedi, addirittura rinviando la sessione di bilancio perchè è questo che il Governo sembra voglia fare, tutto consiglierebbe di approvare Bilancio e Finanziaria con risorse certe e poi discutere le modifiche nel merito».
Il problema è che la scure della Ragioneria si è abbattuta con maggiore durezza proprio sul punto che più sta a cuore a Futuro e Libertà, ovvero l’assunzione dei ricercatori prevista nell’articolo 5 bis: oltre al parere contrario si contesta anche la quantificazione stessa dei costi, chiedendo l’acquisizione di una relazione tecnica. Ma praticamente tutte le modifiche sono state bocciate per mancanza di copertura: sulle circa 30 norme modificate, ben 20 hanno ricevuto parere negativo.


http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/201010articoli/59398girata.asp

CARA GELMINI, TI SCRIVO

  • Nov 30, -0001
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13 10 2010


diritto di cronaca
di Flavia Amabile
Una ricercatrice spiega alla Gelmii perché il ddl spinge i migliori alla fuga e l'Università al collasso
FLAVIA AMABILE
Domani, giovedì 14, inizia la discussione del ddl di riforma dell'Università nell'aula della Camera. E' l'ultimo adempimento prima che diventi legge. Fuori dalla Camera infatti vi sar un sit-in permanente di precari. Chi non sarà in presidio a Roma fa quello che può, come scrivere una lettera al ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini.??
Caro Ministro Gelmini,
sono una ricercatrice di Cà Foscari, insegno sociologia.
Mai avrei pensato di scriverle sino ad oggi, ma la situazione è grave.
Mi perdoni se per un istante le parlo apertamente.
Ho due anni meno di lei e sono rientrata in Italia nel 2008 dopo aver trascorso il resto degli anni 2000 negli Stati Uniti. Quand'ero un Ph.D. student negli States con molti docenti c'era un rapporto di amicizia. Nel mio Dipartimento c'erano molte donne, young faculty, associate o full professors. Il reclutamento di nuovi docenti era un processo in cui erano coinvolti tutti, anche i graduate students avevano potere decisionale. Tra le tante cose che valutavamo c'era l'età del candidato, perchè più l'Università è giovane e più è viva, dinamica, propositiva, proliferante di sapere. Ricordo che al mio arrivo come studente di dottorato al primo anno avevo trovato ad attendermi all'areoporto il direttore del Dipartimento. Mi aveva ospitata a casa sua per circa un mese. Amava gli studenti perchè credeva rappresentassero il futuro e voleva che fossimo tutti nelle condizioni migliori per lavorare. Ricordo che a lezione gli undergraduates non avevano timore di porre domande, che c'era complicità tra studenti e docenti, che si respirava un'orizzontalità a me sino ad allora sconosciuta.
Nel 2008 sono rientrata in Italia. Non era mio desiderio, ma la vita a volte fa strani scherzi. Ricordo con opacità un concorso con altri sei colleghi. Due di noi avevano trent'anni, gli altri ne avevano più di quaranta. Discutevano di candidati interni o esterni, del numero di concorsi tentati e destinati ad altri, di anni di ricerca e di didattica precaria, di corsi di didattica frontale retribuiti con circa 2 mila euro netti l'anno. Parlavano di famiglie e di figli, di bollette, di una passione messa a dura prova dalla precarietà e dalla svalutazione del sapere.
All'epoca sapevo poco dell'università italiana. Non sapevo che cosa significasse essere un ricercatore, sapevo che il mio stipendio entrante negli Stati Uniti era tre volte lo stipendio che prendo ora. Non mi sono stupita ovviamente quando nessuno è venuto a prendermi all'areoporto, mi sono stupita quando mi sono accorta di avere poche colleghe donne, quando ho conosciuto colleghi che avevano due volte e mezza i miei anni, quando ho realizzato che durante le riunioni ufficiali i ricercatori difficilmente parlavano. Negli anni mi hanno colpita anche altre cose, ad esempio il fatto che l'autonomia di pensiero venisse a volte considerata non tanto come una conquista sublime ma come un segno di arroganza precoce; che in Università come in strada esistessero parole come protettore e tradimento, e che la giovane età non fosse un pregio bensì un difetto: i giovani del resto non hanno un nome, non hanno capitale, non hanno reti di conoscenza già intessute, non hanno potere politico. I giovani non esistono se non in potenza, perciò devono avere pazienza, e prima o poi se hanno fortuna qualcuno li aiuterà.
Capirà con quanta meraviglia abbiamo vissuto questi mesi, quant'è stato travolgente vedere migliaia di ricercatori mobilitarsi a partire dal senso di stima di sé, dalla responsabilità per il futuro, dall'entusiasmo, dall'amore per il sapere. Capirà con quanta energia abbiamo cominciato a parlare negli atenei della sua riforma e quant'è stato rigenerante scoprire che potevamo cambiare le cose in meglio. Ci siamo accorti che l'Università pubblica può essere riformata anche senza mutilazioni, che basterebbe invertire un pò la piramide ordinari-ricercatori per ridurre di molto i costi, per aumentare la democrazia interna, per dare un significato onesto al concetto di meritocrazia. Ci siamo resi conto anche che la sua riforma non va in questa direzione, accentra il potere verso l'alto piuttosto che distribuirlo verso il basso, esclude ancora una volta i più giovani e i precari ed attribuisce il potere decisionale maggioritario ad un Consiglio di Amministrazione esterno ed al Rettore, a scapito addirittura di organi interni sino ad oggi importanti quali il Senato Accademico. Ci siamo resi conto che la sua riforma vorrebbe tagliare i corsi di laurea “inutili”, ma che la definizione di inutilità è sempre un po' ambigua, del resto anche le dittature sudamericane la utilizzavano per mettere al bando i corsi di filosofia e di sociologia. Infine ci siamo dovuti arrendere al fatto che lei non pensa ai giovani, anzi propone il blocco delle assunzioni di nuovi ricercatori a tempo indeterminato, cosa che non solo spingerebbe i migliori di noi all'esodo, ma che data l'età media del corpo docente italiano spingerebbe nel medio periodo l'Unversità pubblica al collasso. Non entro nel merito degli effetti congiunti del suo DdL e dei tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario all'Università, perchè se lo facessi dovrei concluderne che il governo ha in mente un progetto antropologico regressivo per il popolo italiano. Voglio piuttosto dire che tutti noi siamo preoccupati: ricercatori, precari, studenti, professori associati, professori ordinari e presidi.
Siamo preoccupati perchè ci sembra che stiate per votare con semplicismo ed irresponsabilità un DdL di estrema importanza. Siamo preoccupati perchè ci sembra che vi interessi di più il bene di pochi che il bene di tutti, e che Confindustria abbia più diritto ad entrare nella Governance dell'Università di quanto quei giovani “capaci, meritevoli ed anche privi di mezzi” di cui parla la Costituzione abbiano diritto di studiarvi. Siamo preoccupati perchè ci sembra che un disegno di legge di questa portata non andrebbe votato in notturna con la fretta che caratterizza le fughe dei ladri ma alla luce del sole, in aperta collaborazione con tutti coloro che desiderano anteporre ai propri interessi l'amore per il futuro. Siamo preoccupati perchè crediamo che in questo quadro fosco fatto di crisi economica, di precarietà e di crisi di governo non abbia senso dare prove di forza o perseguire un voto politico, come ci sembra stia accadendo. Crediamo che il diritto all'istruzione in Italia sia in pericolo, e che sia nostro dovere proteggerlo oggi domani e sempre, sino a quando riusciremo a creare un'università aperta, orizzontale e di tutti.
Francesca Coin
Università Cà Foscari
Rete 29 Aprile??

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L'ICI IN WONDERLAND

  • Nov 30, -0001
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lastampa.it
12 10 2010


stranaeuropa di Marco Zatterin
La Commissione Ue apre un'inchiesta sulla tassazione zero per gli immobili della Chiesa. Ci ha messo quattro anni. E non ha voluto lanciare una procedura di infrazione.
L'esenzione dall’Ici concessa dal governo italiano alla Chiesa cattolica rivela, «a prima vista, un carattere discriminatorio». Ecco perché la Commissione Ue ha deciso - non senza aver riflettuto quasi quattro anni - di approfondire il caso, e aprire un’inchiesta formale sugli immobili dalle finalità «non esclusivamente commerciali» appartenenti alla Santa Sede a cui è stato permesso di non versare l’intera Ici e di pagare la metà dell’Ires. Un lungo carteggio con Roma non ha persuaso Bruxelles della legittimità del provvedimento. Oggi l’indagine diventa un procedimento a tutto tondo che potrebbe costringere l’Italia a ripristinare le tasse sospese pena il deferimento alla Corte di Giustizia Ue.
La storia risale al 2005, quando nel pieno della volata elettorale il governo Berlusconi ha sospeso l’imposta comunale sulle proprietà degli enti ecclesiastici. Il voto della primavera 2006 consegnò Palazzo Chigi al centrosinistra e a Romano Prodi che però modificò solo parzialmente il provvedimento scritto dal predecessore, aggiungendo la formula «non esclusivamente», che alla fine - secondo chi contesta la norma - non ha cambiato il quadro. In pratica, qualcosa come 100 mila immobili avrebbero finito per aggirare legalmente i loro doveri fiscali. Si tratta di esercizi attivi non solo a fine benefico - come scuole, alberghi, agenzie di viaggio, club sportivi amatoriali e ospedali - che potevano risultare più concorrenziali grazie ai minori gravami impositivi.
Avviato sulla base della denuncia di uno studio di avvocati italiano e del radicale Maurizio Turco, il confronto fra Roma e Bruxelles ha consumato carta e linee telefoniche. Bruxelles si è mossa con cautela. Poi ha ritenuto che non si potesse più indugiare. L’esenzione dall’Ici - osserva la Commissione nella lettera che si appresta a spedire - costituisce in ogni caso un aiuto di Stato poiché si tratta di un vantaggio derivante da una minore esborso nei confronti del Fisco. In tal quadro costituirebbe un aiuto pubblico ingiustificato.
Semplice la spiegazione. La Commissione osserva che molti dei servizi offerti dalla Chiesa in regime di esenzione «sembrano essere in competizione con quelli analoghi offerti da altri operatori economici». Secondo più fonti, il sistema di esenzioni avrebbe consentito ogni anno alla Santa Sede di risparmiare due miliardi di euro di contribuzione.
L’inchiesta attesa per oggi è qualche misura un ripensamento da parte dell’esecutivo comunitario che, nel febbraio 2009, aveva deciso di chiudere il caso ritenendo che non ci fossero le premesse per portare avanti un’indagine per aiuti di Stato (era stata l’olandese Kroes a firmare l’armistizio). Il quadro è mutato con l’intervento della Corte di giustizia Ue che ha chiesto di chiarire in modo più concreto la disputa. Nel frattempo, a Palazzo Berlaymont sono piovute nuove carte. Alla fine si è deciso di ricominciare «perché non può escludere di essere in presenza di un aiuto di Stato». Con un nuovo annacquamento. Un mese fa si pensava ad un’immediata apertura di procedura. Ora è diventata un’inchiesta.

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LA CRISI FRENA I CLANDESTINI

  • Nov 30, -0001
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lastampa.it
11 10 2010


Arrivano notizie meno nere delle frontiere dell’Europa, nel primo semestre 2010 l’immigrazione clandestina è calata di un quarto rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. «E’ l’effetto combinato della crisi e della stretta delle strategie nazionali», riassumono i tecnici di Frontex, l’agenzia comunitaria che coordina i controlli ai confini dell’Ue. Funzionano gli accordi bilaterali nel Mediterraneo, come fra Italia e Libia, così i flussi nel Mare Nostrum si sono asciugati e spostati a Oriente. La porta continentale è ora la Grecia, satura di disperati che arrivano dalla Turchia. Per lo più si dicono afgani e somali, chiedono asilo. Ma nessuno ha documenti e nessuno confessa il passato: sperano che li aiuti a costruirsi un futuro migliore.

Disegna lo scenario il secondo rapporto trimestrale appena ultimato da Frontex. Il numero dei clandestini entrati nel perimetro dei Ventisette è sceso a 40.977 nei primi sei mesi, il 23,6% in meno rispetto ai 53.674 dell’equivalente periodo del 2009. Fr aprile e giugno s’è avuto più affollamento (26.711 contro 14.266), cosa normale visto il miglioramento delle condizioni stagionali. In netto calo anche gli illegali, categoria in cui affluiscono coloro che trasformano un permesso di soggiorno o studio in una residenza non autorizzata: sono stati calcolati a 83.215 nel secondo trimestre, il 23 per cento in meno se paragonati a dodici mesi prima. Preoccupa invece l’aumento dei migranti pizzicati con documenti falsi, segno che i clan che trattano gli uomini stanno affinando le loro tecniche.

L’analisi di Frontex è lineare. Il primo fattore a scoraggiare i clandestini è «il calo delle opportunità di impiego nell’Ue», insieme con il relativo indebolimento dell’euro, circostanza che rende l’Europa un luogo meno attraente causa bassi salari e rimesse in prospettiva ancora inferiori. «Nonostante i segnali di ripresa in alcuni stati - si legge nel rapporto - c’è poco movimento nei settori dove in genere crescono i posti per i migranti», ad esempio le costruzioni o le manifatture. Nel mondo globale le voci corrono. L’incertezza gonfiata dalla recessione rende per taluni la posta in gioco troppo alta.

La seconda spiegazione del fenomeno è naturalmente nel cambiamento delle politiche, sia a livello locale che a quello comunitario. Frontex cita ad esempio «i regimi più stringenti» adottati nel Regno Unito che hanno ridotto significativamente il numero dei richiedenti l’asilo (42.724 nel secondo trimestre, - 21% anno su anno). In parallelo afferma che hanno avuto effetto le intese bilaterali. L’accordo con la Libia ha ridotto fortemente gli sbarchi italiani. Quello della Spagna con Senegal e Mauritania ha sfoltito il traffico sulle colonne d’Ercole. E’ un passo avanti, anche se il problema non è risolto.

In Grecia la situazione rimane caotica. Metà dei clandestini scoperti cercava di passare in territorio ellenico per accedere all’Unione. Si tratta di albanesi assunti come stagionali che poi non torna a casa. Oppure di diseredati di varia natura, in fuga dalla guerra afgana o dai disastri del Corno d’Africa, che trovano facile saltare dall’Anatolia al Dodecaneso. Il rafforzamento dei controlli marittimi organizzato dall’Ue, sottolinea Frontex, ha ridotto i movimenti ma «ha spinto i transiti dalle coste alla terra ferma». Sui monti, di notte, tutto sembra più facile.

A livello puramente quantitativo, alcuni numeri italiani appaiono interessanti. Siamo il paese che ha fermato il maggior numero di trafficanti di esseri umani (702; Francia 552; Grecia 419), purtroppo con l’aggravante di averne in più alta percentuale ce l’abbiamo in casa (oltre il 42% era dei "nostri", 301 venditori di anime). E siamo la nazione terza più gettonata per un passaporto falso, record che spetta a Varsavia (ci batte 184 a 110; in mezzo c’è la Francia). I pupari dell’immigrazione clandestina sono rapidi, vanno dove pensano di farla franca. Nonostante i dati di Frontex, il loro disumano commercio resta florido.

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la stampa
5 10 2010


Sajjad e Sahideh: «Sentiamo
il pericolo di essere arrestati»
Poi l'appello al Papa: «Ci aiuti»
TEHERAN
«La nostra condizione continua a diventare sempre più difficile e sentiamo il pericolo di essere arrestati. Pertanto, considerata anche la grande attenzione del governo e del popolo italiano nei confronti della nostra causa, chiediamo al premier italiano, Silvio Berlusconi, asilo politico. Così, in caso dovessimo intuire di essere inseguiti dal governo, avremmo un posto nel mondo dove rifugiarci».
È l’appello lanciato tramite un’intervista rilasciata ad AKI - ADNKRONOS INTERNATIONAL da parte di Sajjad e di Sahideh, i figli di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana che rischia la lapidazione per adulterio. Sajjad, il figlio, ha poi aggiunto: «nessuno qui risponde alle nostre legittime richieste sul caso di nostra madre e temiamo veramente per la sua vita».
Sajjad ha infine ringraziato il popolo italiano, dicendo: «temiamo di essere presto arrestati e il nostro avvocato, Javid Hutan Kian, è come noi in pericolo. Non lasciateci soli!».
Poi l'appello a Benedetto XVI: «Chiediamo nuovamente al Papa di intervenire e di fare pressione sulla repubblica islamica per salvare nostra madre Sakineh. Ringraziamo il Papa che, alcune settimane fa, ha accolto il nostro appello lanciato tramite AKI-ADNKRONOS INTERNATIONAL, ma siamo disperati e, per questo motivo, gli chiediamo di fare il possibile per salvare la nostra madre».

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/201010articoli/59133girata.asp

LAVORI FORZATI PER I DETENUTI INGLESI

  • Nov 30, -0001
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la stampa
5 10 2010


ANTICIPAZIONE DEL WALL STREET JOURNAL
Progetto del ministro Clarke
per risarcire le vittime di reati
La presentazione oggi
al congressso dei Tories
LONDRA
Il ministro britannico della Giustizia, il conservatore Ken Clarke, intende costringere i detenuti della Gran Bretagna a veri e propri lavori forzati in carcere, un impegno settimanale di 40 ore che dovrebbe consentire di ridistribuire una parte dei loro compensi alle famiglie delle vittime dei loro reati.
Il piano, secondo quanto riferisce oggi il Wall Street Journal, dovrebbe essere annunciato oggi al congresso dei Tories in corso a Birmingham. Il progetto di Clarke prevede la collaborazione di tutte le società private che offrono lavoro ai prigionieri in carcere nel tentativo di aumentare i risarcimenti alle famiglie delle vittime: l’intenzione del governo di Londra, si legge sul quotidiano, è quella di instaurare «un regime di lavori forzati» nelle carceri britanniche.
«La maggior parte dei prigionieri conduce una vita pigra e noiosa, in cui alzarsi dal letto diventa un optional», dirà Clarke durante il suo intervento, sottolineando come degli attuali 85.495 detenuti solo una minima parte sia attualmente impegnata in qualche attività lavorativa in prigione.


http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/201010articoli/59130girata.asp

NEONATI PREMATURI

  • Nov 30, -0001
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29 9 2010


diritto di cronaca
Flavia Amabile Le cifre, le norme, i rischi e le probabilità di sopraivenza dei bambini nati prima del termine
FLAVIA AMABILE
Dopo la nascita della piccola Edil e la morte della madre tenuta in vita per un mese in modo da permetterle di dare alla luce la piccola, dal giornale mi hanno chiesto di fare il punto sui mati prematuri in Italia.???La piccola Edil è nata alla ventottesima settimana. Che significa da un punto di vista medico??Per i medici si tratta di un parto prematuro o pretermine e comprende le nascite avvenute tra la ventesima e la trentasettesima settimana completa di gestazione. Nel suo caso però si tratta di una prematurità grave, come tutte quelle al di sotto della trentaduesima settimana con un peso che oscilla tra 500 e 1.500 grammi. In questi casi i rischi di non sopravvivere o di gravi menomazioni sono più elevati. La prematurità si definisce invece moderata dalla trentaduesima alla trentasettesima con peso tra 1.500 e 2.500 grammi.??Quanto dura una gravidanza??La durata della maggior parte delle gravidanze è di circa 40 settimane. I neonati che nascono tra la trentasettesima e la quarantaduesima settimana sono considerati a termine.??Quanti sono i parti prematuri rispetto alle gravidanze??La quantità dei parti prematuri non si è modificata in modo significativo negli ultimi 30 anni ed è stimata fra il 6 ed il 15% di tutti i parti. La frequenza aumenta con l’aumentare dell’età gestazionale.??Che probabilità hanno di sopravvivere i bambini nati prematuri??Le possibilità di sopravvivenza per il bimbo sono notevolmente aumentate grazie ai rapidi progressi della medicina. Una bambina come Edil ha il 95% di probabilità di sopravvivere. Allo stato attuale delle cose sopravvive circa l'8 per cento dei bambini nati dopo 22 settimane dal concepimento. A 23 settimane ne può sopravvivere il 25 per cento e a 24 settimane il 50%.??Con quali conseguenze neurologiche??Nella gran parte dei casi i neonati prematuri, soprattutto se venuti al mondo prima delle 32 settimane, riportano gravi handicap. Ma uno studio di Neil Marlow pubblicato nel 2005 sul New England Journal of Medicine il 22 per cento dei sopravvissuti sotto le 25 settimane avrà una disabilità grave, il 24% una disabilità media e il 34% una disabilità lieve. Uno studio tedesco di Jochen Steinmacher pubblicato nel 2008 sul Journal of Pediatrics mostra che il 57 per cento dei sopravvissuti tra i nati a 23-25 settimane va a scuola regolarmente.??Che speranze di sopravvivenza ci sono al di sotto della ventesima settimana??Nessuna. Ma i progressi della scienza hanno reso invece possibile la sopravvivenza per i nati al di sopra delle ventitre settimane settimane.??Perché sono così basse le probabilità di rimanere in vita??I loro organi ed apparati non sono completamente sviluppati, dunque è difficile per loro adattarsi alla vita fuori dall’utero dove invece hanno tutto quello di cui hanno bisogno per uno sviluppo naturale ed equilibrato. La nascita prima del termine costituisce la causa principale di mortalità e morbilità perinatale anche nei paesi occidentali nei quali l'assistenza sanitaria nei reparti di neonatologia ha raggiunto ottimi livelli.??Che cosa rischia ora una bambina come Edil??Uno dei pericoli principali è rappresentato da una malattia respiratoria nota come respiratory distress sindrome (Rds) o malattia da membrane ialine polmonari. I polmoni di un bambino nato prima della trentasettesima settimana non sono ancora in grado di produrre il surfattante (Srf) fondamentale per il corretto svolgimento della respirazione. Per questo motivo in caso di rischio di parto pretermine alla madre viene somministrato un corticosteroide, solitamente il betametasone, al fine di accelerare la maturazione polmonare del feto. Ma hanno anche un problema di controllo della temperatura perché non è ancora sviluppato il sistema di termoregolazione.??Come si interviene in questi casi??I nati prematuri vengono posti in culla termica, meglio nota come incubatrice, una sorta di contenitore nel quale sono regolabili temperatura, umidità e ossigenazione. Viene ricreato l’ambiente ideale per garantire lo sviluppo e la crescita. Se occorre al bambino vi sarà un ventilatore meccanico ed il necessario per l’alimentazione. Inoltre le incubatrici sono dotate di monitor che controllano il respiro, l’attività cardiaca e l’ossigenazione del piccolo. I genitori possono accarezzare e coccolare il loro piccolo seguendo le istruzioni del personale medico.??Che cosa prevede la legge in caso di nati prematuri??Un documento del ministero della Salute prevede che vengano offerte al neonato solo cure compassionevoli nel caso di una nascita alla ventiduesima settimana, mentre alla ventitreesima «quando sussistano condizioni di vitalità, il neonatologo, coinvolgendo i genitori nel processo decisionale, deve attuare adeguata assistenza, che sarà proseguita solo se efficace».

http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=124&ID_articolo=1043&ID_sezione=&sezione=

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29 9 2010


NAVI PILLAY*
Se vi è un aspetto positivo nell’attuale indignazione suscitata dal trattamento dei Rom in Francia e altrove, è che questo fenomeno di straordinaria discriminazione è ora all’attenzione di tutti, in Europa e non solo. Quando il clamore attuale si sarà placato, le spaventose condizioni di questa minoranza marginalizzata dovranno rimanere in evidenza. Esse devono essere affrontate nel contesto appropriato, ovvero usando i diritti umani come principi guida per le politiche pubbliche e le azioni correttive.
Ad oggi, nonostante gli sforzi compiuti da alcuni Paesi europei e da organizzazioni internazionali e regionali, i sentimenti anti-Rom continuano a essere forti in Europa. Addirittura, potrebbero essere in ascesa a causa della recessione economica che ha costretto molti Rom a lasciare le proprie comunità d’origine alla ricerca di opportunità di lavoro migliori. Di conseguenza, le pratiche discriminatorie e la violenza sono aumentate. Ad esempio, vi sono stati casi di attacchi mortali contro Rom in Ungheria e Slovacchia. Le prove documentali di discriminazione mirata abbondano, e comprendono la recente circolare filtrata dal ministero dell’Interno francese in cui si ordinava l’evacuazione dei campi Rom come una questione di primaria importanza. Inoltre, il Comitato Onu che vigila sull’applicazione della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (Cerd) ha sottolineato che espulsioni forzate, ostacoli nella ricerca di alloggi e segregazione contro i Rom avvengono, con diversa intensità, in molti altri Paesi, inclusi Bulgaria, Repubblica Ceca, Grecia, Italia, Lituania, Romania e Slovacchia.
In alcuni Paesi ai Rom viene limitato l’accesso alle cure sanitarie e ad altri servizi a causa della mancanza di documenti d’identità. Secondo il Cerd, problemi per i bambini Rom in ambito educativo sono diffusi, così come la loro segregazione in classi separate o la loro eccessiva presenza in scuole per bambini con difficoltà d’apprendimento. Negli anni passati la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha trovato alcuni governi europei, compresi membri dell’Unione come Repubblica Ceca e Grecia, in violazione delle leggi sul trattamento dei bambini Rom nelle scuole. L’applicazione di queste sentenze resta, nel migliore dei casi, frammentaria. In aggiunta, i continui rientri di Rom dalla Germania al Kosovo hanno avuto effetti devastanti sui diritti dell’infanzia, compreso il diritto all’educazione. Come provato da un recente studio Unicef, i bambini Rom che erano ragionevolmente ben integrati nelle scuole tedesche vengono inseriti in un contesto di lingua albanese che è loro completamente estraneo, dove hanno poche o nessuna possibilità anche solo di frequentare la scuola.
In questo contesto non sorprende che l’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali abbia stimato che i Rom sono i più bersagliati nella classifica della discriminazione nell’Unione Europea. La marginalizzazione e la condanna dei Rom sono spesso alimentate dalla retorica incendiaria di quelle forze che cercano un vantaggio politico agitando lo spettro della diffidenza. Si tratta di uno dei punti che ho sollevato nel corso della mia visita a campi Rom, sia legali sia non autorizzati, in Italia, dove, come altrove, ho ripetutamente invocato il bisogno di integrare in maniera migliore i Rom nelle società dei Paesi di origine come in quelli di accoglienza. Un primo passo verso l’integrazione comporta la garanzia dell’accesso all’istruzione e ad altri servizi fondamentali, quali assistenza e servizi sanitari, alloggi, opportunità di lavoro: tutte prerogative tutelate dalla normativa internazionale sui diritti umani. Tutte le componenti Rom che ho incontrato - bambini, genitori, rappresentanti della comunità - hanno sottolineato questi punti con estrema chiarezza in occasione degli incontri che ho avuto con loro.
Sono consapevole del fatto che alcune delle tradizioni Rom possano essere estranee alla cultura prevalente nella società e possano esse stesse essere equiparate a violazioni dei diritti umani, laddove si tratti ad esempio di matrimoni forzati e lavoro infantile. So anche che, vivendo al margine della società, alcuni Rom hanno fatto ricorso alle attività criminali - di solito di basso livello - cosa che crea contrasti comprensibili. Tuttavia, questi temi richiedono un esame caso per caso, piuttosto che una condanna indiscriminata; esigono le stesse risposte che si applicano a tutti coloro che violano la legge, anziché implicare misure draconiane o esemplari che sanno di stigmatizzazione e punizione collettiva di una minoranza.
Sforzi seri di affrontare questi problemi sono già stati fatti sia a livello nazionale sia nell’ambito delle istituzioni dell’Unione Europea. Ad esempio, la Commissione Europea ha provato con chiarezza a sostenere politiche di integrazione attraverso la Piattaforma Ue per l’inclusione dei Rom e l’adozione dei Principi comuni fondamentali sull’inserimento dei Rom del 2009. Inoltre, alla Conferenza Onu di revisione contro il razzismo dell’aprile 2009, 182 Paesi membri delle Nazioni Unite si sono impegnati a sradicare la discriminazione contro i Rom e altre minoranze e a garantire misure di rimedio e tutela speciale.
Occorre fare molto di più. Con il sostegno attivo di Commissione e Parlamento europei, oltre che dell’Onu, l’Unione Europea e i suoi 27 Paesi membri ora hanno una possibilità di mutare il proprio atteggiamento rispetto alla questione Rom, convertendolo da reattivo a propositivo. E’ necessario che condividano le migliori pratiche e gli standard sui diritti umani e che diano poi loro attuazione in tutta l’Unione, per assicurare che tutti i Rom conducano esistenze degne in una delle regioni del mondo di maggior benessere, una regione che è anche la loro.
*Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani

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SAKINEH DALLA PIETRA ALLA CORDA

  • Nov 30, -0001
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la stampa.it
29/9/2010

 
LUCIA ANNUNZIATA
Qualcosa si muove persino a Teheran. La condanna a morte per lapidazione inflitta a Sakineh Mohammadi-Ashtiani, la donna iraniana accusata di adulterio e omicidio, è stata commutata in condanna a morte per impiccagione. Ridicolo, certo, sostenere che si tratti di un passo avanti, eppure lo è. Lo è innanzitutto perché prova che l’indignazione internazionale viene sentita dal pure sprezzantissimo governo di Teheran.
Ma, proprio a questa svolta della vicenda, è bene riconoscere anche che, dopo che gli Usa hanno eseguito la condanna a morte per Teresa Lewis, il caso Sakineh ha assunto per noi un’ulteriore valenza. Il leader Ahmadinejad pochi giorni fa ha equiparato Stati Uniti e Iran di fronte all’uso della pena capitale, e questa similitudine ha lasciato una grande inquietudine nelle coscienze di molti cittadini delle nostre democrazie. Val la pena dunque di ribadire, esattamente ora che la storia umana di Sakineh può ancora svoltare, ora che si può ancora sperare di salvarla, perché non c’è parallelismo possibile, nemmeno davanti allo stesso strumento, la pena di morte, fra Usa ed Iran.
Sono contraria, come la maggior parte degli italiani (l’Italia è leader nella campagna contro la pena di morte) alla condanna capitale; ma i modi e i contesti della sua amministrazione sono rilevantissimi. Attraverso di essi infatti si rappresenta il sistema giuridico di cui tutti usufruiamo.
Non sono dunque indifferenti il percorso attraverso cui è stata condannata Sakineh né il tipo di morte.
La lapidazione è una antica forma di punizione, e fin dall’antichità ha sempre avuto caratteri legati a crimini che coinvolgono la sessualità: è la punizione per prostitute, adultere, omosessuali, oltre che apostati e assassini. Dunque, sia pur non esclusivamente, è punizione per eccellenza del sesso debole. Differenza che si sottolinea persino nell’esecuzione. Credo sappiate come avviene: il condannato viene seppellito in una buca nel terreno, fino alla vita gli uomini, fino al busto le donne, avvolto in un lenzuolo fino al capo: se è donna però il volto rimane scoperto. Chi abbia mai visto uno dei crudeli video di lapidazione che ogni tanto emergono dai Paesi in cui la punizione è praticata (o anche solo tollerata) sa che differenza fa vedere o meno le ferite profonde stamparsi sul volto di chi subisce il martirio. Non è un caso che i Paesi in cui questa pena capitale si pratica sono tutti musulmani: Iran, Nigeria, Arabia Saudita, Sudan, Emirati Arabi Uniti, Pakistan, Afghanistan e Yemen, dove vige un diritto strutturato intorno alla legge coranica. In Iran, ad esempio, la lapidazione è stata riammessa dopo la rivoluzione del 1983, ed è ancora oggi la nazione in cui è praticata da più lungo tempo, con una procedura studiata in modo che il decesso non avvenga a seguito di un solo colpo: la legge prevede infatti che «le pietre non devono essere così grandi da far morire il condannato al solo lancio di una o due di esse; esse inoltre non devono essere così piccole da non poter essere definite come pietre».
È in questa impostazione del processo, della visione del crimine, e del concetto di diritto individuale del cittadino/\a che è maturato il caso Sakineh. In una giustizia in cui vige la incertezza della difesa e l’abuso della forza di uno Stato rivestito di principio etico assoluto. Il processo subito dalla donna, le motivazioni della sua condanna, persino le prove di quel che ha fatto sono incerte - e se la lapidazione nella sua estrema brutalità rende evidente questo abuso del diritto, l’abuso del processo rimane anche ora che lo strumento della condanna diventa la corda e non la pietra. Del resto è questo il problema della giustizia in Iran - e lo abbiamo visto ripetutamente al lavoro negli ultimi anni nei confronti dei dissidenti: la disobbedienza è punita come principio, e la sua repressione non ha nessun limite se non la soglia che serve alla conservazione dello Stato. Che si usi poi la esecuzione per via di botte in carcere, la sparizione senza ritrovamento del cadavere, o la esecuzione in piazza via squadre speciali, è indifferente - i modi sono, appunto, il disvelamento della supremazia dello Stato/\religione sul diritto dell’individuo.
Possiamo dire altrettanto della giustizia in Usa? Non è perfetta, anzi è densa di discriminazioni di classe e di razza. Ma è un sistema che ruota intorno al pieno riconoscimento dei diritti del cittadino e ampio equilibrio di contrappesi perché essi vengano rispettati. Contrappesi interni - il tipo di processo -, ed esterni - la possibilità della opinione pubblica di sapere, conoscere, e dissentire.
Alla fine certo, una pena di morte è una pena di morte. Teresa Lewis e Sakineh hanno davanti a sé la fine della loro vita. Ma, almeno, ai nostri occhi rimarrà la differenza sul dubbio dell’innocenza, fra l’essere vittime o meno: per Teresa sappiamo che ha avuto la possibilità di potersi difendere, per Sakineh siamo certi di no. E siccome la giustizia garantisce (o meno) tutti noi, non è differenza da poco, per tutti noi, sapere di avere una certezza di giudizio nell’incerto mondo in cui viviamo.


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