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18/11/2009
Rapporto dell'Onu
Ignorate nei dibattiti sono la maggioranza degli 1,5 miliardi di persone rovinate dai disastri naturali
Sono le donne a patire di più le conseguenze negative dei cambiamenti climatici, ma vengono di fatto ignorate nel dibattito su come fermare questi mutamenti: lo afferma il rapporto 2009 del Fondo per la popolazione dell’Onu (Unfpa), nel quale si sottolinea che le donne possono invece essere decisive in questa lotta, se saranno agenti del contenimento della popolazione umana, grazie alla pianificazione delle nascite. Per il rapporto, la maggior parte degli 1,5 miliardi di persone che vivono con un dollaro al giorno o meno sono donne. Paradossalmente, come spiega Ahmed Obaid, direttore esecutivo dell’Unfpa: «Le donne povere nei paesi poveri sono tra le più colpite dal cambiamento del clima, anche se sono coloro che meno vi contribuiscono».
Il rapporto esorta i leader che si incontreranno a Copenaghen a non dimenticarsi delle donne, nel loro dibattito. Per il rapporto, la pianificazione familiare, con meno figli, ma più in salute, può essere un’arma decisiva nel ridurre la pressione sul pianeta. http://news.bbc.co.uk/
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/base/grubrica.asp?ID_blog=186&ID_articolo=906&ID_sezione=378&sezione=Internazionale
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19/11/2009
Cosa succede se la globalizzazione raggiunge il rubinetto di casa
ANTONIO SCURATI
Nessun uomo è tanto pazzo da vendere la terra su cui cammina. Così, stando alla leggenda, il grande capo indiano avrebbe risposto al negoziatore bianco che gli offriva la scelta tra la guerra di sterminio e l’acquisto delle terre ataviche della sua tribù. Che cosa direbbe oggi quel capo indiano di noi che, dopo aver fatto ovunque commercio della terra su cui camminiamo, ci apprestiamo a venderci anche l’acqua che beviamo?
Niente direbbe, il fiero guerriero, perché, al pari di ogni altro ostacolo locale, fu spazzato via dalla storia che, è bene non dimenticarlo, è stata sempre storia del processo unilaterale attraverso il quale l’Occidente, esplorando, conquistando e colonizzando, ha globalizzato la terra unificandola in un sistema mondo interamente governato dalla legge del capitalismo. Ora che quella grande impresa è compiuta, ora che la fase di espansione è terminata, ora che l’auto-narrazione in cui si racconta di come il pianeta Terra divenne una sfera interna alla logica del capitale è giunta alla fine, ora non rimane che lavorare sulle condizioni di vita all’interno della grande serra planetaria del capitalismo avanzato. Questa nuova frontiera interna che avanza senza soste ha un nome preciso: privatizzazione della vita.
Rientra in questo quadro epocale anche la notizia secondo la quale in Italia, remota provincia dell’impero, il governo sarebbe pronto ad appaltare a privati il servizio di erogazione dell’acqua, che smetterebbe così di fatto di essere un servizio pubblico, trasformando l’approvvigionamento idrico, cioè l’accesso a una fonte basilare della vita, in una qualsiasi merce. In linea concettuale, infatti, anche questo sarebbe un ampio passo verso la privatizzazione della vita: l’acqua smetterebbe di essere qualcosa cui tutti noi abbiamo diritto inalienabile per il semplice fatto di stare al mondo, una dotazione comune d’ingresso, come l’aria che respiriamo, e diverrebbe un bene voluttuario diversamente accessibile in base alla nostra individuale capacità di spesa. Ecco, dunque, un altro esempio della regola della deprivazione che sembra governare i destini degli uomini in questo nuovo scorcio di millennio: a ogni nuovo giro di giostra, man mano che il «pubblico» diventa «privato», ci viene sottratto ciò che è necessario per vivere o, almeno, ciò che fino a una generazione precedente era stato considerato un diritto naturale e inalienabile. La privatizzazione della vita agisce simultaneamente su due versanti, contigui e interconnessi come le due facce di un'unica moneta. Su un versante si procede a privatizzare la proprietà non più solo dei mezzi di produzione ma anche dei mezzi di sussistenza della vita della specie, sull’altro si mette in scena la riduzione della vita sociale a fatto privato.
Sul primo versante accade che, in un quadro globale di progressivo impoverimento delle risorse naturali, di cambiamenti climatici che rischiano di mettere fine al lussureggiare della vita planetaria e di fosche previsioni sull’aumento della popolazione mondiale, il controllo sui beni basali per l’esistenza, sulle condizioni di sopravvivenza, e finanche sulle matrici di riproduzione della vita biologica, viene via via affidato a soggetti d’impresa, cioè a privati mossi dalla logica del profitto e, spesso, da intenti speculativi. È il caso del controllo delle risorse idriche, delle biotecnologie in agricoltura, ma è anche il caso della privatizzazione della guerra subappaltata a contractors privati, della privatizzazione della ricerca medico-scientifica e, sopra ogni altro, è il caso della ricerca sul genoma umano condotto da privati. Il secondo versante, meno serio ma non meno preoccupante, è quello della trasformazione della politica in talk show, un osceno teatrino di faccende un tempo confinate nella vita privata che ha l’effetto di svilire, fino all’annichilimento, la nozione di «pubblico interesse». Il «pubblico», come ci ha insegnato Bauman, è così svuotato dei suoi contenuti, privato di un’agenda propria: è solo un agglomerato di guai, preoccupazioni e problemi privati. È l’eclissi della politica, un tempo intesa come possibilità di fare uso di mezzi collettivi per affrontare i problemi individuali. È anche la fine del sentimento di comunità. E, con esso, la fine del principio di un bene comune.
Da entrambi i lati dello schermo televisivo, la collettività scade ad aggregato di agenti individuali, le esistenze a questioni private. La lezione che si ricava da questa rappresentazione che rimodella la nostra capacità di pensare il mondo in comune è che ciascuno può solo lodare se stesso per i propri successi o, più probabilmente, incolpare se stesso per i propri fallimenti. Tutti gli individui assistono al grande talk show della vita privatizzata soli con i loro problemi e, quando lo spettacolo finisce, si ritrovano sprofondati nella loro solitudine, immersi nel buio di una stanza in subaffitto davanti a un televisore sintonizzato su di un canale morto.
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6637&ID_sezione=&sezione=
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19/11/2009
IL BRACCIO DI FERRO PER RECLAMARE MAGGIORE RISPETTO
Martedì l'annuncio: un giorno senza di noi. Il paese rischia la paralisi
DOMENICO QUIRICO
PARIGI
Provate francesi! Una giornata senza di noi: senza la bambinaia che tiene a bada i figli raccontando loro le storie dell’Africa o delle Antille, senza la domestica, senza gli spazzini che portano via la vostra immondizia di ricchi, senza i manovali che fanno quello che voi non volete più fare, senza i lavapiatti nei ristoranti, senza i fattorini, gli uomini della sicurezza. E ancora: provate una giornata senza di noi nei McDonalds, nei cinema, nei supermercati, con i posti vuoti, gli incassi ridotti. Perché anche noi consumiamo e mettiamo in movimento l’economia: ventiquattro ore non cambieranno la Francia ma serviranno per accorgersi quanto sia complicato e difficile per la République tirare avanti.
L’iniziativa è originale e potenzialmente micidiale, destinata a suscitare accalorate controversie. Perché coincide polemicamente con il momento in cui il presidente Sarkozy schiaccia di nuovo il pedale dell’identità francese. Si mette in sciopero l’altra Francia, quella che non ha i documenti e quella che ce l’ha ma è come se… Vuole incrociare le braccia e chiudersi in casa la Francia che popola la metropolitana e i treni di banlieue alle cinque del mattino quando non ci salgono ancora quelli che il ministro per l’immigrazione Besson invita ad andare in prefettura per dichiararsi orgogliosi di essere francesi; e che arriva negli uffici dopo le cinque ma per pulire e lucidare. Gli spettacolari argomenti sono branditi in un manifesto, titolo «24 heures sans nous»: basta chiacchiere, basta con i simboli, semplicemente senza di noi il paese non va avanti. Perché ci sono settori interi dell’economia, domestica e non (ad esempio l’edilizia) che occupano ormai quasi soltanto immigrati. E’ il proclama fondatore della belligeranza etnica, quanto basta per smantellare le cartilaginose ipocrisie di un paese che si vanta di saper realizzare l’integrazione.
«L’idea ci è venuta dagli Stati Uniti - spiega Nadir Dendouane uno dei portavoce del comitato organizzatore - nel maggio 2006 un gruppo di ispanici organizzò una protesta analoga. Volevano contestare un progetto di legge che intendeva criminalizzare l’immigrazione clandestina. Hanno detto: ok, ci considerate dei criminali, però senza di noi, questo paese non funziona. Noi ci siamo ispirati a questa giornata durante la quale non sono andati a lavorare, e neanche a consumare, sono rimasti a casa. Ecco: una giornata morta. Tutti quelli che si sentono o sono considerati immigrati, anche se come me sono nati in Francia - e sono in tanti questi francesi che vengono considerati male da un’altra gran parte della popolazione, insieme a tutti quelli che si sentono solidali e coscienti del loro contributo si mobilitino. Il nostro collettivo raduna tutti, bianchi, neri, magrebini, uniti nel rifiuto di essere un capro espiatorio. Settanta anni fa eravate voi italiani a ricevere in faccia del “sale rital”. Oggi è il nero o l’arabo. Ci siamo stufati. Sarà una giornata della dignità». Presentazione martedì prossimo all’assemblea nazionale. Data prevista per lo sciopero, il primo marzo prossimo. Perché è l’anniversario dell’entrata in vigore, nel 2005, del «codice per l’ingresso e il diritto di asilo», detto codice degli stranieri. Il consumo è il motore della crescita, un’idea che Sarkozy trova adorabile, usata come arma contro di lui.
Ma sarà difficile mettere in piedi uno sciopero degli immigrati? «No, quelli che hanno un lavoro non andranno a lavorare quelli senza si asterranno dal consumare. Picchiamo dove fa male per sottolineare con forza l’importanza dell’immigrazione. Vogliamo più rispetto, niente altro. Essere francese? Vuol dire vivere in Francia, pagare le tasse in Francia, parlare, leggere e vivere in francese. Cosa di più? Quelli che ci considerano degli immigrati vorebbero che fossimo tutti uguali, mangiare maiale e bere birra e vino. Mettono sempre avanti le loro differenze, però vogliono gli altri francesi uguali a loro. Ci sono dei francesi ebrei, altri cattolici, altri che non credono in Dio, altri che sono musulmani, buddisti, etc… Fino a quando uno paga le tasse e riceve il rispetto dalla République, non vedo cosa si dovrebbe fare di più. Se devo anche schiarirmi la pelle o cantare la Marsigliese per essere più francese, non ci sto! Noi partecipiamo alla vita economica e per me è anche questo essere francese. Io che ho la pelle scura, se mi metto a criticare la Francia, diventa un problema d’integrazione. Invece il bianco può dire tutto quello che gli pare, nessuno gli dirà mai nulla. Questa è la differenza».
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200911articoli/49536girata.asp
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17/11/2009
FOGGIA- I CARABINIERI HANNO ESEGUITO QUATTRO ORDINANZE DI CUSTODIA
La vittima è una ragazzina di 14 anni
attirata con l'inganno da un ragazzo
che poi ha chiamato i tre complici
I carabinieri del Comando provinciale di Foggia stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip del Tribunale dei Minorenni di Bari, nei confronti di quattro minori incensurati ritenuti responsabili del reato di violenza sessuale di gruppo ai danni di una ragazzina di 14 anni.
Le indagini hanno consentito di accertare che la vittima è stata attirata con l’inganno all’interno di un capannone da uno dei giovani che, successivamente, ha chiamato il resto del "branco". La ragazzina, dopo aver avuto la forza di confidarsi con la sorella e con i genitori della violenza subita, si è presentata alla caserma dei carabinieri e ha denunciato tutto.
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200911articoli/49487girata.asp
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12/11/2009
Tragedia in famiglia: le fiamme hanno ferito anche i due bimbi
GIARRE (CATANIA)
Un sottufficiale dell’Aeronautica militare, Salvatore Capone, di 36 anni, al culmine di una lite stamane a Giarre, in provincia di Catania, ha dato fuoco alla moglie, Maria Rita Russo, di 31 anni, che è ora ricoverata in gravissime condizioni nell’ospedale Cannizzaro.
Le fiamme hanno raggiunto anche i loro figli, un maschietto ed una femmina di tre anni, che sono anch’essi ricoverati in ospedale, ma che non corrono pericolo di vita. È accaduto stamane intorno alle 8 di stamane nell’abitazione della coppia, in via Sacerdote Spina.
Anche l’uomo ha riportato ustioni ed è stato trasportato nell’ospedale di Giarre, dov’è piantonato dai carabinieri. Indagini sono in corso per chiarire la dinamica dei fatti e i motivi del gesto.
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200911articoli/49337girata.asp
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12 11 09
Il ritocco delle parti intime è di moda, ma i rischi sono in agguato
Il boom di ritocchi alla vagina mette in allarme gli esperti: molti interventi potrebbero essere a rischio.
«Affrontare le insicurezze con la chirurgia non è la soluzione ideale, la consulenza e il sostegno potrebbero in alcuni casi funzionare meglio» avvertono la ginecologa dr.ssa Sarah Creighton e la psicologa Lih Mei Liao.
Il caso è scoppiato a seguito di uno studio condotto da un gruppo di scienziati britannici dell'University College London (UCL), così come riportato dalla BBC, per i quali la mancanza d'informazioni sui rischi legati alla chirurgia negli interventi di labioplastica dovrebbe far riflettere prima di decidere di sottoporsi a intervento per motivi futili o per una questione di moda.
Proprio perché mancano dati certi sugli effetti a lungo termine di questi interventi molte donne che si sono fatte ritoccare la vagina potrebbero essere oggetto di effetti collaterali indesiderati non ben definiti e potenzialmente pericolosi.
Dall'analisi condotta dagli esperti si è aperto un dibattito tra chi sostiene – come il chirurgo plastico dr.ssa Angelica Kavouni - che questo tipo d'intervento, se eseguito correttamente, non espone a rischi; e chi sostiene la necessità di «fornire informazioni affidabili sui rischi e sui benefici degli interventi di labioplastica e su eventuali soluzioni alternative, al fine di consentire alle donne di scegliere in modo consapevole» come il prof. Philip Steer redattore capo del British Journal of Obstetrics and Gynaecology (BJOG) sulle cui pagine è stato pubblicato il report.
Molto di moda negli States, la labioplastica ha raccolto seguaci nel mondo dello spettacolo e tra le donne in carriera, ma anche tra la gente "comune" che vuole rifarsi un'immagine dopo un divorzio, uno o più parti o perché si vergogna dell'aspetto della propria vagina.
In Italia ci sono cliniche del Sud che eseguono un intervento al mese il cui costo si aggira a 4.500 euro o più. La durata dell'intervento è di circa un'ora.
Secondo la dr.ssa Creighton «Invece di porre fine ai problemi sessuali, la chirurgia può aggravare le tensioni danneggiando i nervi della zona, tale da ledere la sensibilità e la soddisfazione sessuale».
Per contro la dr.ssa Kavouni sostiene che sia sbagliato terrorizzare le pazienti.
Infine, Douglas McGeorge, ex-presidente della British Association of Aesthetic Plastic Surgeons, ha affermato che si è fatto troppo rumore per una operazione relativamente minore. «Sono andati un po' troppo sopra le righe. Essenzialmente questa è solo una rimozione di un po' di carne rilassata, lasciando visivamente eleganti labbra con cicatrici minime. La procedura non interferisce con la funzione sessuale» aggiunge McGeorge, il quale poi ammette che «Le donne vogliono questo per una serie di motivi: per esempio, alcune provano a disagio ad andare in bicicletta, ma per la maggior parte è una questione estetica, è vero».
Angelica Kavouni conclude dicendo: «Ho visto donne che ho mandato via perché non credo che avessero un problema, ma per le donne con ipertrofia gravi - quando il tessuto è scuro e pende - vi è un modo semplice per farvi fronte. Il feedback che ricevo è davvero molto positivo».
(lm&sdp)
Source: la ricerca è stata pubblicata sul British Journal of Obstetrics and Gynaecology.