La Stampa.it
02 01 2012
L'Arabia Saudita sta costruendo il primo stadio appositamente progettato per permettere alle donne di assistere alle partite di calcio, un diritto attualmente vietato per via della rigida segregazione in pubblico tra uomini e donne.
Secondo Al Sharq, quotidiano di proprietà statale, lo stadio situato nella città portuale di Jeddah dovrebbe essere completato nel 2014 e disporrà di cabine e balconi privati per accogliere le spettatrici.
"Fonti attendibili hanno riferito che oltre il 15 per cento della struttura sarà destinata alle famiglie, quando l'impianto verrà completato nel 2014. Oltre a famiglie, anche giornaliste e fotografe saranno ammesse e verranno loro assegnati posti esclusivi lontano dai giornalisti uomini, in modo che possano seguire e informare sugli eventi locali e internazionali ", scrive Al Sharq.
L'interpretazione puritana saudita dell'Islam vieta a uomini e donne non imparentati di mescolarsi in pubblico. Le aree pubbliche per donne o famiglie sono vietate agli uomini che non siano accompagnati da una parente donna. Allo stesso modo, alle donne viene negato l'accesso alle aree dove si riuniscono gli uomini non accompagnati.
La costruzione dello stadio arriva due mesi dopo che l'Arabia Saudita, nel tentativo di evitare di essere esclusa dalle Olimpiadi di Londra di quest'anno, ha accettato di inviare ai giochi una cavallerizza per rappresentare un Paese che scoraggia molto lo sport femminile.
La decisione è arrivata in seguito ad un avvertimento da parte di Anita DeFrantz, il presidente del Comitato olimpico internazionale , nel quale la donna avvertiva Arabia Saudita, Qatar e Brunei di un'eventuale esclusione dai giochi se non avessero inviato per la prima volta almeno un'atleta femminile alle Olimpiadi di Londra.
Un precedente accordo con il Qatar, l'unico altro Paese la cui popolazione indigena è in gran parte Wahhabiti, i seguaci della interpretazione puritana dell'Islam predominante in Arabia Saudita, di mettere in campo una squadra femminile a Londra ha aumentato la pressione sul regno in modo ne seguisse l'esempio.
L'atleta saudita che molto probabilmente parteciperà ai giochi è la cavallerizza diciottenne Dalma Rushdi Malhas, che ha vinto una medaglia di bronzo nei Giochi Olimpici della Gioventù di Singapore del 2010. In quell'occasione, Malhas non era ufficialmente delegata a competere a Singapore per conto del regno.
Nonostante lo scoraggiamento ufficiale, le donne sono sempre più decise a superare questi limiti, a volte con il supporto dei membri più liberali della famiglia regnante Al Saud. Anche il Consiglio della Shura ha emanato regolamenti per le società sportive femminili, ma le forze conservatrici religiose hanno spesso l'ultima parola.
Si tratta di un lungo processo: basti pensare che il mandato conferito lo scorso anno alla società di consulenza spagnola per sviluppare il primo piano nazionale di sport del regno è rivolto esclusivamente allo sport maschile.
Sullo sfondo di un malcontento generale latente, questa spinta a superare i limiti dimostra come le donne siano sempre più visibili nello sfidare l'apartheid di genere nel regno. A maggio Manal al-Sharif è stata arrestata per nove giorni dopo che si è videoregistrata mentre violava la legge che vieta alle donne di guidare. E' stata rilasciata solo dopo aver firmato una dichiarazione in cui prometteva che avrebbe posto fine alle proteste per i diritti delle donne.
La discrepanza dello sport femminile è rinforzata dal fatto che le lezioni di educazione fisica sono vietate nelle scuole statali per ragazze. Spesso partite e maratone vengono cancellate non appena giungono all'orecchio dei membri più conservatori del clero.
La questione dello sport femminile ha scatenato un aspro dibattito, in cui gli esponenti religiosi condannano questa pratica come corrotta e satanica e causa di decadenza. Avvertono che correre e saltare può danneggiare l'imene di una donna e rovinarne quindi la possibilità di sposarsi. Nonostante questo, le donne hanno fondato squadre di calcio e altri gruppi sportivi utilizzando come base l'interno degli ospedali e i centri benessere.
Da parte sua, il re saudita Abdullah si è mosso per migliorare i diritti delle donne. Lo scorso settembre, hanno ottenuto il diritto di voto, il diritto di eleggibilità alle elezioni locali e sono entrate a far parte del consiglio della Shura. Speriamo che questo sia solo l'inizio di una sempre maggiore apertura a sostegno dei diritti delle donne saudite.
TRADOTTO DA ELENA INTRA
La Stampa
29 11 2012
di Massimo Gramellini
Non è vero che la più grande produttrice torinese di gaffe sia Elsa Fornero. Ne esiste una che da anni si è delocalizzata all’estero: a Parigi, pour la précision. E’ accaduto che Carla Bruni rompesse un estenuante silenzio per dichiarare a Vogue che la sua generazione non ha più bisogno del femminismo. Ignoro quante femministe ci siano in Francia. Di certo però ci sono molte femmine dotate di telefonino che hanno intasato la rete di messaggi per la ex Première Madamin. Il più caloroso: «La mia generazione ha bisogno del femminismo, ma il femminismo non ha bisogno di Carla Bruni». Ho avviato una breve inchiesta fra le mie colleghe. Cynthia: «Senza il femminismo lei non sarebbe dov’è e non potrebbe dire le scemenze che dice». Anna e Raffaella: «Facile non avere bisogno del femminismo quando sei una privilegiata». Michela: «La situazione è peggiorata da quando il femminismo non c’è più». Tonia: «Il soffitto di cristallo che impedisce alle donne di salire nella scala sociale da noi è ancora di piombo». Barbara: «Non il femminismo ma il rispetto della femminilità continua ad avere bisogno di lotte».
Finché al mondo esisteranno donne mobbizzate, violate, ammazzate e in troppi Paesi segregate e infibulate, il femminismo avrà un senso. Certo, bisogna intendersi. Se femminismo significa mettere Christine Lagarde al Fondo Monetario - una donna che ragiona come un uomo - o Carla Bruni sulle copertine - una donna che ha fatto carriera utilizzando gli uomini - è maschilismo travestito. Se invece significa riplasmare il mondo secondo un modello femminile di convivenza, allora sbrighiamoci, perché non vedo molte altre àncore di salvezza per il genere umano.
Metterci un bel Raul Bova non cambia il risultato e il forte messaggio sessista che ogni spot italiano vuole comunicarci.
Raul dopo aver avvicinato la hostess per delle ordinazioni, si rivolge ad un signore vicino a lui facendogli notare che stare su alitalia è come stare a casa sua.
Il signore gli dice: ’scusi non è usa moglie?’ della serie, non ce l’ha anche a casa?
e raul gli risponde ‘infatti, solo che a casa non è così’ della serie mia moglie non si comporta da schiava sottomessa, non è gentile, non si prende cura di me e non è a mia disposizione. Insomma negli spot la donna o è oggetto sessuale o è schiava cameriera che deve soddisfare i bisogni del marito.
Della serie: donne guardate come sono gentili le nostre hostess e prendete questo come esempio a casa se no i vostri mariti partono via.
La pubblicità diffonde modelli negativi in continuazione ci bombarda con un modello femminile arcaico e superato e assai pericoloso se si pensa che ancora il modello maschile di donna ‘grazie’ alle pubblicità che non insegnano altro è ancora quello di oggetto sessuale o schiava di sua proprietà che si spiega in numerosi femminicidi e stupri che ogni giorno di consumano a danni di donne nel nostro Paese.
Non solo l’anno scorso abbiamo assistito alla discriminazione sessuale del non assumere le donne con bambini piccoli a lavorare, questo conferma che la compagnia aerea è sessista, tratta le donne come degli oggetti che devono starsene a casa soddisfare i bisogni degli uomini e si devono mostrare sempre carine e sottomesse.
Insomma c’è una differenza di come la pubblicità tratta belli e belle del cinema o spettacolo, i belli mantengono la loro aura da dominatore e le donne devono diventare oggetti per meglio rappresentare quello che l’immaginario maschile vuole.
Intanto boicotto alitalia un fallimento di compagnia!