Matteo Marcelli, Avvenire
19 aprile 2018
Se è vero che in Italia si vive di più, in molti casi lo si fa peggio, con la paradossale conseguenza di avere più tempo a disposizione e di ritrovarsi a spenderlo per curarsi. È la fotografia scattata dall’Osservatorio nazionale sulla Sanità delle regioni italiane.
Il giudizio che ne viene fuori è quello di un Sistema sanitario nazionale piuttosto resiliente, perché ancora sostenibile nonostante la riduzione (o il mancato adeguamento) delle risorse.
Avvenire
29 10 2014
Non è cambiato nulla, l’Italia resta il paese dei campi rom. A oltre 30 mesi dall’avvio della Strategia nazionale per l’inclusione dei rom presentata dal governo alla Commissione europea «permane un approccio emergenziale, continuano gli sgomberi e va avanti la politica dei campi». La denuncia proviene dall’Associazione 21 luglio che ieri, a Milano, ha presentato il rapporto "La tela di Penelope", monitoraggio della società civile sull’inclusione dei rom. Tema attualissimo. Pochi giorni fa a Borgaro, cintura torinese, gli atti di teppismo sul bus dei ragazzi del grande campo dell’Aeroporto hanno spinto il sindaco del Pd a chiedere all’azienda trasporti un autobus solo per loro, suscitando polemiche.
All’indomani dell’approvazione, il 24 febbraio 2012, la Strategia era stata accolta positivamente da diversi attori della società civile perché segnava un’importante discontinuità rispetto al passato. In primo luogo, si esprimeva per il superamento della prospettiva emergenziale, dell’approccio assistenzialista, e della soluzione dei "campi nomadi", e si proponeva di promuovere la partecipazione. Ma il bilancio tratteggiato dalla "21 luglio" presenta molte ombre. «La Strategia – spiega il presidente Carlo Stasolla – si percepisce come una meta irraggiungibile, simile alla tela di Penelope: nei propositi mattutini si cuce, nelle azioni concrete si disfa».
A parole si prospetta la fine dei campi, nella pratica «sono stati costruiti, progettati o sono in fase di realizzazione 20 nuovi campi rom in tutta Italia», sottolinea Stasolla. Tra questi il progetto approvato il 15 maggio scorso dal Comune di Napoli a Scampia, da finanziare con 7 milioni di euro. In base al rapporto, la situazione segregante degli insediamenti formali e informali riguarda circa 40mila rom e sinti ed essa «continua a caratterizzare la geografia di molte aree urbane».
A Milano i campi autorizzati sono passati da sette a cinque (chiuso via Novara, in via di chiusura quello di via Martirano) mentre una quindicina di accampamenti abusivi sono stati sgomberati in città e aree limitrofe. «Aree e campi che esistevano da molto tempo, sono stati chiusi e non più occupati – sottolinea l’assessore alla sicurezza, Marco Granelli – e a tutti gli occupanti offriamo la possibilità di avviare un percorso all’interno dei due centri di emergenza sociale, senza separare le famiglie». Nelle strutture di via Lombroso e via Barzaghi i rom hanno la possibilità di restare sei mesi: gli adulti seguono un percorso di integrazione, i bambini vanno a scuola. «In questi due anni abbiamo accolto 733 persone, circa 500 sono usciti – spiega Granelli – e, di questi, 225 hanno iniziato percorsi di integrazione mentre gli altri, purtroppo, hanno avuto esiti negativi».
Il rapporto evidenzia come sia continuato l’approccio emergenziale al fenomeno: malgrado le promesse, gli sgomberi non si sono mai fermati e restano i megacampi. A Roma, sotto la giunta di Ignazio Marino, ci sono stati ben 37 sgomberi, con un costo medio di 1.250 euro a persona. Mentre per la gestione degli 11 insediamenti capitolini si sono spesi 24 milioni di euro nel 2013. «Programmi e attività – si legge nel rapporto – registrano un ritardo generalizzato e l’assenza di indicazioni per la traduzione in chiave operativa degli indirizzi della Strategia». Altro elemento critico: la partecipazione dei rom risulta solo formale a livello nazionale ed è scarsa a livello locale.
Le conclusioni avanzano diverse richieste al premier Matteo Renzi. Su tutte il riconoscimento dei rom come minoranza nazionale, la promozione di politiche abitative non discriminatorie per superare i grandi campi monoetnici delle periferie. «È urgente affrontare questa tematica – sottolinea don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità – la situazione è sempre più difficile e bisogna agire presto per evitare che i rom diventino capro espiatorio di tanti problemi».
Avvenire
15 07 2011
A poco più di due anni dal suo arresto avvenuto il 19 giugno del 2009, dopo 755 giorni trascorsi in cella, il “caso” di Asia Bibi continua ad essere focale nell’attenzione del mondo verso la difficile realtà delle minoranze in Pakistan. Indebolita nel fisico e prostrata dalle minacce e dalla condizione di clandestinità in cui la famiglia è costretta a vivere, la donna non ha tuttavia rinunciato a pregare e a lottare. Nei giorni scorsi il suo avvocato ha rivolto un altro appello formale contro la sentenza capitale comminata nel novembre dello scorso anno, pur sapendo che la pressione fondamentalista è al momento elemento decisivo nell’atteggiamento delle autorità e dei giudici nella vicenda. «L’influenza dei radicali religiosi è troppo forte, solo un miracolo può salvarla, secondo l’opinione di un esperto legale citato da AsiaNews.
L’avvocato S.K. Chaudhry ha nuovamente consegnato la richiesta di appello dopo la sostituzione improvvisa di quattro giudici dell’Alta Corte di Lahore, capoluogo del Punjab. Chaudhry aveva presentato a gennaio un primo appello contro le prove consegnate per sostenere la condanna, a suo parere «palesemente false». Nel silenzio ormai pesante delle autorità, con una condanna a morte decretata dai radicali estremisti assai più concreta di quella comminata dai giudici di prima istanza nel novembre scorso, Asia Bibi continua la sua lunga detenzione in segregazione, ancora più stretta dopo che lo scorzo marzo un cristiano condannato all’ergastolo per blasfemia, Qamar David, è deceduto in circostanze sospette nella prigione centrale di Karachi.
«È fragile e può a malapena parlare, ma mantiene una forte fede in Dio e non ha perso la speranza», hanno fatto sapere il marito e una delle figlie che recentemente l’hanno visitata in carcere. Ashiq Masih ricorda come «Bibi chiede ogni volta dell’Alta Corte e ogni volta devo dirle con dispiacere che stiamo ancora aspettando che il tribunale si occupi del caso». «Siamo costretti a pagare la conseguenza delle determinazione nella fede di mia madre. Tuttavia preghiamo per lei e manteniamo la speranza che un giorno saremo di nuovo insieme per vivere normalmente – ha riferito la figlia maggiore ad AsiaNews –. «Ogni volta che sento parlare di persecuzione o di blasfemia sono terrorizzata perché temo che qualcosa possa capitare a mia madre». Un rischio concreto ed elevato che il carcere sembra accrescere anziché ridursi.
Come sottolinea un legale impegnato per i diritti delle minoranze, Saleem Murtaza, «il ritardo dell’Alta Corte nell’affrontare il caso di Asia Bibi, è dovuta alla pressione id estremisti e guide religiose. C’è la possibilità concreta che il tribunale possa confermare la pena capitale, magari anche perché intimidito dalla pressione degli estremisti e dalla taglia offerta per l’uccisione di Asia. La chiusura dei tribunali per 15 giorni in agosto (periodo di Ramadan) e un’altra settimana per una ricorrenza musulmana non fa sperare in una soluzione in tempi brevi».
Dopo l’uccisione di Shahbaz Bhatti, compianto ministro federale per le Minoranze, sembrano essersi chiuse le porte a qualunque ipotesi di revisione della “legge antiblasfemia” ma non per questo la pressione sulle minoranze è calata. Con la fine del ministero per le Minoranze il 30 giugno, ufficialmente per rendere effettivo il processo di “devolution” dei poteri del governo centrale, potrebbe aprirsi una nuova fase nei rapporti tra Stato e componenti religiose minoritarie. In questa prospettiva, gli attivisti cattolici stanno cercando nuove strategie sotto la guida di Paul Bhatti, fratello del ministro assassinato, che mettano al centro istruzione, sicurezza, rispetto delle libertà civili e tutela legale.
avvenire.it
5 10 2010
APPUNTAMENTO A STRASBURGO
Doppio delicato appuntamento al Consiglio d’Europa. Oggi pomeriggio l’assemblea parlamentare del Consiglio prende in esame e vota una risoluzione mirante a garantire la piena protezione per i minori vittime di abusi sessuali nelle istituzioni. Il documento costituisce uno dei punti più delicati della sessione dell’assemblea parlamentare del consesso di Strasburgo che si è aperta ieri e termina venerdì. Dopodomani, giovedì, è inoltre in programma un documento che punta a limitare l’obiezione di coscienza nei casi di aborto.
Il documento sulla pedofilia, di cui è relatrice la socialista tedesca Marlene Rupprecht, si inserisce in un quadro di iniziative del Consiglio. Il 1° luglio scorso è entrata in vigore una convenzione per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali e inoltre il 29 e il 30 novembre a Roma partirà una campagna europea su questo tema. Da notare che proprio in novembre, il giorno tre, sempre a Roma, il Consiglio celebrerà i sessant’anni dalla firma della convenzione dei diritti dell’uomo siglata appunto nella Capitale all’indomani della seconda guerra mondiale. La risoluzione in discussione oggi, che chiede al comitato dei ministri di Strasburgo (i responsabili degli Esteri dei Paesi membri) di riferire nel gennaio del 2013 sulla applicazione dei contenuti del documento, ha provocato le critiche del capogruppo del Ppe Luca Volontè, non tanto sui contenuti del dispositivo da votare, quanto sul memorandum che lo accompagna. L’appunto è duplice: primo, aver preso in considerazione solo gli abusi nelle istituzioni, e, secondo, in questo specifico campo di essersi concentrati in prevalenza sui casi che hanno riguardato la Chiesa cattolica rilanciati dalla stampa. «È chiaro che questo rapporto è stato redatto in fretta – osserva il parlamentare italiano - per pubblicarlo ed adottarlo in connessione con il lancio della campagna del Consiglio d’Europa contro gli abusi sui minori a Roma».
Quanto al dispositivo della risoluzione, giudicato «nell’insieme positivo» dal capogruppo del Ppe, chiede, tra l’altro, agli Stati membri di adottare la procedura d’ufficio per gli abusi, un sistema graduato di pene, adozione di termini di prescrizione adeguati. Si sollecitano inoltre la fissazione di criteri per l’abilitazione degli educatori, certificati della polizia anche per i volontari, nei quali dovranno essere riportati anche reati minori. La risoluzione prospetta anche una dichiarazione d’illegalità di alcune pratiche utilizzate nelle punizioni dei bambini e degli adolescenti. Un punto del documento sollecita anche un esame delle «lacune strutturali» che facilitano gli abusi in ogni tipo di istituzione, ed il rafforzamento di «regole e modalità di controllo esterno».
Pierluigi Fornari
http://www.avvenire.it/Mondo/abusi+ambiguità+consiglio+europa_201010050727544630000.htm