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HUFFINGTON POST

Huffington Post
04 06 2015

Christian McPhilamy, 8 anni: "Mi trattavano come una femminuccia, ma i miei capelli lunghi serviranno a salvare i bambini malati di tumore"

Spesso i bambini hanno molto da insegnarci. Christian McPhilamy è un bambino della Florida di 8 anni che ha deciso di farsi crescere i capelli per aiutare gli altri. In che modo? utilizzando la sua lunga chioma bionda per fare parrucche destinate ai bambini sottoposti a chemioterapia.

Christian aveva sei anni e rimase colpito da un spot televisivo del St Jude Children's Research Hospital di Memphis nel Tennessee. Da quel momento sono passati due anni e la sua lunga chioma bionda diventerà lo strumento per rendere più sostenibile la dura malattia di coetanei più sfortunati di lui. Le sue ciocche di capelli sono destinate a Children With Hair Loss, un'associazione americana che vuole aiutare i piccoli pazienti malati di tumore, leucemia e cancro.

Ma la sua missione non è stata semplice. In quei due anni, Christian è stato oggetto di critiche e insulti da parte dei suoi coetanei, o dei genitori dei suoi compagni di classe. Ma nonostante tutto, aveva un obbiettivo e lo ha raggiunto. 30 cm di capelli, divisi in 4 ciuffi di colore biondo cenere da destinare ad uno dei 335 pazienti seguiti dall'associazione, che vanno dai 2 a i 20 anni.

"Ha deciso di fare ricerca a modo suo e di dare un aiuto, e ha raggiunto il suo scopo", ha raccontato a Florida Today, la madre Deeanna Thomas. "I suoi amici lo insultavano e lo trattavano come una femminuccia, e i genitori arrivavano ad offrirmi soldi per tagliargli i capelli. Ma lui non ci ha mai ripensato, deciso com'era a portare avanti il suo obbiettivo, e non si è mai tirato indietro nel far capire agli altri, il perché della sua scelta.

Huffington Post
29 05 2015

Richard Wright, nel suo "Black boy" (pubblicato nel 1945) racconta come ogni volta che un membro della comunità afro-americana commetteva un delitto, mai questo veniva descritto come opera di una persona indicata con nome e cognome o di "un negro": sempre la responsabilità era "dei negri". È impossibile che non venga in mente quella riflessione del grande scrittore afro-americano, leggendo le notizie e i commenti a proposito di quanto accaduto ieri in un quartiere romano. Le domande sono necessariamente le stesse: perché, per indicare i responsabili dell'incidente che ha provocato una strage, è irresistibile la tentazione a definirli non con nomi e cognomi bensì attraverso l'etnia alla quale appartengono? Perché non segnalare il nome degli autori del reato ma immediatamente la minoranza o il gruppo sociale o il popolo di cui sarebbero membri?

Nella fatica di distinguere tra responsabilità individuale per un reato e tendenza a generalizzare quando l'autore appare diverso da noi, c'è tutta la difficoltà a non essere razzisti.

Simile a questo è il meccanismo per cui richiedenti asilo e rifugiati che sbarcano sulle nostre coste sono diventati, attraverso un uso perverso del linguaggio, clandestini: e, quindi, inevitabilmente nemici da respingere e discriminare.

E in questo quadro i rom rappresentano, tra i diversi gruppi sociali e le diverse minoranze - in una sorta di cupa gerarchia dell'odio - il gradino più basso e quindi il bersaglio privilegiato di quella macchina del pregiudizio così attiva in queste ore.

Abbiamo vissuto per decenni con il tabù del razzismo perché le culture più diffuse nel nostro Paese avevano prodotto un'interdizione morale nei suoi confronti, al punto che l'accusa di razzista era quella socialmente più riprovevole. Tale atteggiamento ha rappresentato per anni uno strumento di tutela nei confronti dell'intolleranza etnica, e ha ben funzionato. Ma poi è accaduto qualcosa. C'è uno spartiacque temporale ed è quello dell'autunno del 2007 quando a Roma Giovanna Reggiani fu uccisa da un romeno. Da quel momento, ciò che veniva solo sussurrato in alcuni ambienti sociali e politici poco significativi si è fatto discorso elettorale, ed è stato quindi pronunciato a voce alta: l'equazione romeno uguale stupratore è diventata nei mesi successivi uno degli argomenti della campagna elettorale per il comune di Roma e per il Parlamento nazionale. Per la prima volta il tabù del razzismo viene eroso e il ricorso alla stigmatizzazione del diverso da noi è diventato il principale strumento di molta parte del ceto politico.

L'operazione, che consiste nel trasferire il disagio patito da ampi strati popolari sul piano pubblico, trasformandolo in risorsa politica, si è rivelata assai efficace in quella tornata elettorale, sia a livello comunale che a livello nazionale. E risale esattamente a quel periodo e a quel clima l'elaborazione di quel Piano Nomadi che oggi celebra il suo fallimento: ovvero il decreto del governo Berlusconi-Maroni che portò alla realizzazione di decine di grandi campi nelle periferie delle città, a 470 sgomberi in tre anni e alla spesa di decine di milioni di euro. In altre parole, quei campi che Matteo Salvini vorrebbe "spianare con la ruspa" sono la brillantissima opera urbanistica e architettonica del suo mentore Roberto Maroni. L'intera operazione è stata dichiarata illegittima da alcune sentenze con costi altissimi in termini di integrazione, risorse e sicurezza sociale. E che le conseguenze perverse di quel sistema, sono allo stesso tempo causa ed effetto della discriminazione delle comunità rom.

Ma va ricordato che l'uso strumentale di quanto accaduto ieri a Primavalle e la criminalizzazione della marginalità sociale costituiscono un pericolo non solo per le minoranze ma per l'intero sistema dei diritti e delle garanzia, posto a tutela della collettività e proprio perché si mette in discussione un fondamento essenziale dello stato di diritto: quello che recita, come già si è detto, che la responsabilità penale è personale. Si puniscano, allora, i responsabili di quella folle corsa nella periferia romana, usando la stessa severità con la quale verrà giudicato quel manager di Vedano al Lambro che, esattamente due mesi fa, alla guida della sua Audi Q5 travolse un ragazzo quindicenne e sua madre. Gli si chieda conto del suo reato, ma non si criminalizzi l'intera popolazione di Vedano al Lambro.

Luigi Manconi
(scritto con Liana Vita)


Huffington Post
28 05 2015

Matteo Salvini: "Raderemo al suolo tutti i maledetti campi rom". Rafforzata la vigilanza nei campi dopo la tragedia di Roma

È stata rafforzata da mercoledì sera la vigilanza delle forze dell'ordine nei campi nomadi di Roma dopo l'investimento di 9 persone da parte di un'auto in fuga con a bordo 3 nomadi. Una donna di 44 anni è rimasta uccisa. La decisione è scattata dopo le numerose minacce e sfoghi di stampo razzista di abitanti, comparsi anche sui social network.

Matteo Salvini sulla questione ha scritto parole molto dure su Facebook: "Tre rom sono scappati all'alt della Polizia", afferma il leader della Lega Nord, e "hanno ammazzato una donna, otto i feriti". "Pare che l'auto sia intestata a un rom, che ne ha altre 24. Una preghiera. Per il resto... ruspa!!!!! Quando torneremo al governo, raderemo al suolo uno per uno tutti 'sti maledetti campi rom, partendo da quelli abusivi".

Intanto è stata arrestata con l'accusa di concorso in omicidio volontario la rom di 17 anni a bordo dell'auto che non si è fermata all'alt della polizia. Probabilmente la ragazza non era alla guida, ma per gli investigatori ha delle responsabilità in quello che è successo. Mentre è ancora caccia ai due nomadi che erano a bordo dell'auto. Al setaccio i campi nomadi della Capitale. I due ricercati sono riusciti a dileguarsi a piedi.

Ambiente-Satirical-Art-Pawel-KuczynskiMarica Di Pierri, Huffington Post
22 giugno 2015

Tanto tuonò che piovve. Dopo oltre venti anni di vana attesa e mesi di traversie parlamentari, la legge parlamentare sugli Ecoreati è stata definitivamente approvata dal Senato. Successivamente alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il provvedimento entrerà in vigore tra le due settimane di "vacatio legis" previste per l'iter ordinario. La totale mancanza nel nostro ordinamento di strumenti penali per sanzionare le condotte delittuose relative alla contaminazione ambientale rende, in ogni caso, una novità positiva l'introduzione di reati ambientali nel codice penale.

Huffington Post
22 05 2015

Fermiamo insieme la strage di foreste! Anche oggi, tutti insieme, mieteremo migliaia di ettari di foreste. Anzi, per essere più precisi: mano nella mano, da Milano a Sidney, da Calcutta a Durban, faremo fuori più di 35.000 ettari di alberi.

Un bel bottino, che arriverà nelle nostre case come legno e carta o nelle nostre bocche come soia, olio di palma e carne. Sono queste le produzioni responsabili di buona parte della deforestazione del pianeta. 13.000.000 di ettari ogni 365 giorni. Una strage. E chi se ne importa se insieme all'emorragia di tronchi da segare e di terreno finalmente libero a cui succhiare ogni beneficio - finché l'erosione lo trasformerà in polvere - ci porteremo via anche (badate bene) in una sola giornata l'estinzione di centinaia di specie di piante e animali. Chi se ne importa se si tratta di gorilla, scimpanzé, elefanti, antilopi e farfalle.

Questa è la potenza della specie umana. In poche generazioni ci siamo mangiati quasi il 40% della copertura di foreste che abbracciava il pianeta. Abbiamo preteso beni immediati, combustibili, nuove terre da arare, materiali duttili e comodi, fibre, medicine. Senza minimamente considerare che quel mare di alberi verdi sono la nostra riserva di acqua potabile, sono le nostre piogge, sono la nostra difesa dal riscaldamento del pianeta e dal cambiamento climatico, sono la casa di 300 milioni di persone, il rifugio di 60 milioni di indigeni, sono la vita e la scuola di centinaia di milioni di bambini, la sicurezza di tutta l'umanità.

E non basta: come racconta David Quammen nel suo bellissimo libro Spillover (Adelphi, 2014): "Là dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie...". Ecco quindi che la distruzione delle foreste aiuta la diffusione di Ebola, Dengue, malaria, HIV e molte altre malattie.

Fermare la deforestazione è una sfida difficile. Vuol dire lavorare nelle foreste, denunciare la corruzione, convincere i consumatori, parlare ai governi, bloccare i progetti delle multinazionali e difendere i diritti dei più deboli. Può anche voler dire farsi uccidere.

Ma si può fare. Se vuoi dare una mano puoi: mangiare meno carne, consumare meno legna, carta e combustibili fossili. Fino a domenica 24 maggio, inoltre, puoi mandare un sms al numero 45503 (2 euro). Ci aiuterai. Aiuterai i tuoi figli. Aiuterai le foreste!

Isabella Pratesi

Huffington Post
21 05 2015

Una "marea nera" ha investito Santa Barbara, in California: a causa della rottura delle condutture di un oleodotto, circa 80mila litri di petrolio si sono riversati nell'Oceano Pacifico. Una macchia di greggio lunga oltre sei chilometri e larga una cinquantina di metri, secondo quanto riporta il Los Angels Times online, starebbe minacciando le spiagge Goleta Beach e Refugio State Beach.

Un vero e proprio disastro ambientale che ha portato il governatore della California, Jerry Brown, a dichiarare lo stato d'emergenza. Sul posto sono accorse le autorità federali e locali che stanno cercando di limitare i danni.

Intanto la società che gestisce l'oleodotto, la Plains All American Pipeline, ha detto di aver interrotto il flusso di petrolio dopo la rottura e di aver avviato le procedure per limitarne l'impatto ambientale.

Nonostante la cifra ufficiale del petrolio disperso sia 80mila litri, la Plains ipotizza che il bilancio potrebbe aggravarsi: nell'Oceano Pacifico potrebbero essersi riversati fino a 105mila galloni di petrolio (quasi 400mila litri).

Ilaria Betti

Huffington Post
20 05 2015

Trash is for Tossers, Lauren Singer racconta due anni di vita "a spazzatura zero". Tra prodotti handmade e spazzolini di bambù

“Non è tanto una questione di come vivi, ma di che scelte fai. Ci sono sempre delle alternative”. Lauren Singer ha 24 anni e vive senza produrre spazzatura. Newyorkese, laureata in Studi Ambientali, conduce una “Zero Waste Life” a Brooklyn. “Un mio compagno di università si portava tutti i giorni il pranzo da casa in un sacchetto di plastica, con un contenitore usa-e-getta accompagnato da una bottiglietta d’acqua monouso. Mi ha fatta riflettere: Noi dovremmo costruire il futuro del nostro pianeta, ed eccoci qui a incasinare tutto con la nostra spazzatura”.

Lauren è già diventata un punto di riferimento internazionale per la lotta agli sprechi, e sul suo blog Trash is for Tossers ha documentato il processo di cambiamento della sua vita, da eticamente indirizzata a praticamente etica. “Volevo vivere davvero seguendo i miei valori”, racconta. Perciò evita di comprare prodotti confezionati in contenitori non riciclabili o riutilizzabili, compra nei mercati alimentari, fa i cosmetici in casa (il cosiddetto “spignattare”), fa la differenziata e il compost dei rifiuti organici, mette solo vestiti di seconda mano.

La mattina, dopo colazione, si lava i denti con uno spazzolino in bambù riciclabile. “Prima pensavo di avere bisogno di mille prodotti diversi, ma quando ho iniziato a fabbricarmi saponi e creme in casa ho ridotto il numero al necessario: pochi, ma buoni”, racconta ad HuffPost. Per contenere cosmetici e alimenti usa tantissimi vasetti di vetro, come quelli per le conserve e le marmellate. “Quando sono fuori per i pasti o mi porto il pranzo da casa, oppure scelgo ristoranti che siano in linea con la mia etica: biologici, con contenitori biodegradabili... Non è un problema trovarne, anche in viaggio: al massimo vado a cercare ingredienti nei mercatini”.

Ovviamente c’è voluto tempo – spiega Lauren – per raggiungere questo livello assoluto di zero sprechi. Un processo sempre dinamico (si augura di imparare a cucirsi i vestiti da sola, un giorno), raccontato tra blog, video-tutorial Youtube e profili social: “Non cerco di imporre la mia scelta agli altri, ma voglio dare il buon esempio sperando di potere influenzare qualcuno. Dimostrando che non solo è possibile, ma semplice.”

Questa semplicità ha dato il nome alla sua ultima avventura: la creazione, a inizio 2015, di The Simply Co., un’azienda di prodotti naturali e fatti a mano. Il progetto è stato finanziato tramite crowdfunding su Kickstarter, con 820 donatori e un totale di 42mila dollari (in due giorni ne aveva già raccolti 10mila). Il “primo nato” è un sapone per la lavatrice fatto di tre soli ingredienti, bicarbonato, soda e sapone di Marsiglia, in due profumi, lavanda o neutro. “Il crowdfunding è un ottimo metodo di testare il mercato quando si lancia un nuovo progetto, perché ti permette di avere già alle spalle fin dalla partenza dei potenziali interessati – sottolinea Lauren – inoltre puoi trasmettere le tue idee a chiunque, nel mondo”.

 

Huffington Post
14 05 2015

Avevo cinque anni e mia madre venne a prendermi all'asilo. Quella volta, uscendo dalla classe, mi presentai tenendo per mano un bambino e una bambina e con una faccia seria (almeno per quanto si ricorda mia madre) dissi: "Mamma, lei è Loredana, la mia fidanzata, e lui è Mario, il mio fidanzato". Mia madre specificò che avrei dovuto scegliere solo la bambina, ma io a brutto muso le risposi: "No! A me, piacciono tutti e due, li voglio tutti e due!".

Alle elementari mi ritrovai in classe con entrambi, ma anche se il mio interesse per Loredana andava diminuendo, continuavo a parlarne con i miei genitori, che mi incoraggiavano a mandarle letterine e disegnini e, durante la ricreazione, spesso la tenevo per mano scimmiottando gli adulti. Ma con Mario era un'altra cosa, con il tempo diventammo sempre più solidali e complici, eravamo io e lui e il nostro segreto, fatto di brevi sguardi e, solo quando gli altri bambini erano distratti, di tenerezze.

Mario, con quel suo viso pallido e spigoloso, quel naso fin troppo pronunciato e lo sguardo aggressivo solcato da profonde occhiaie, non era affatto un bel bambino. Veniva spesso a scuola coperto di graffi e lividi che i suoi quattro fratelli maggiori gli procuravano durante liti e giochi violenti. Il suo grembiule blu era stinto e quasi mai portava il colletto con il fiocco. Uno scolaretto trasandato uscito da una pellicola neorealista. Io invece ero un piccolo lord. Mia madre mi vestiva molto bene, avevo tantissimi capelli biondi tagliati alla Rod Stewart (erano gli anni '70) e sotto il grembiule, t-shirt stampate, pantaloni scozzesi e sneakers scamosciate. In casa le mie sorelle mi adoravano e i miei genitori tendevano ad assecondare quasi tutti i miei capricci. Affermo questo non per vanità, ma per sottolineare quanto io e Mario eravamo agli antipodi. Ma entrambi, pur nascendo da realtà diametralmente opposte, una cosa l'avevamo capita: eravamo innamorati perdutamente l'uno dell'altro.

Un giorno, in quarta elementare, avevamo appena finito di giocare a pallavolo, era una tiepida mattinata primaverile. Ci eravamo rimessi i grembiuli e aspettavamo seduti a bordo campo che la maestra chiamasse i nostri nomi, per poi metterci in fila e uscire dalla scuola. Mario stava a pochi metri da me, sentivo che mi stava osservando, mi alzai e allontanandomi dal gruppo mi incamminai verso l'entrata secondaria. Lui mi seguì, cosi, naturalmente, e lì - nascosti tra il sottoscala e l'ombra delle siepi - mi accarezzò i capelli, mi mise le braccia intorno al collo e mi baciò per la prima volta. Ci baciammo come potevano baciarsi due ragazzini di nove anni con una scarsa conoscenza diretta sull'argomento.

Io e Mario, sapevamo bene chi erano i froci, sapevamo bene che tra maschi certe cose non si fanno, sapevamo bene che stavamo facendo la cosa sbagliata. Sapevamo per certo che, se ci avessero scoperto, i nostri compagni ci avrebbero escluso e i nostri genitori ci avrebbero quasi sicuramente picchiato. Per non parlare, poi, della maestra. Ma noi ci amavamo sul serio e dico sul serio.

In quinta le cose si fecero più complicate, ci confidammo che ci eravamo pensati tutta l'estate e spesso stavamo vicini e sempre più spesso parlavamo io e lui e nessun'altro. Qualche compagno iniziò a prenderci in giro. "Fidanzati, fidanzati, Ale e Mario sono froci!". Una volta per dimostrare che si sbagliavano lo trattai male e finimmo per fare a botte, finché la maestra non ci divise. Quella volta, a ricreazione, gli chiesi scusa piangendo e lui piangendo le accettò.

La scuola elementare stava finendo, alle medie saremmo andati in posti diversi e negli ultimi giorni, per il dolore, smettemmo perfino di parlarci. Non seppi mai più nulla di lui.

Ale e Edu

Come sarà internet tra 10 anni?

Huffington Post
11 05 2015

Come sarà internet tra 10 anni? Sarà lo stesso di oggi? Lo utilizzeremo sempre attraverso i nostri pc portatili e i nostri smartphone? Ci sarà ancora Facebook? E Google? E l'internet of things sarà diventato parte della nostra vita quotidiana? Sarà tutto connesso in rete? La nostra vita quotidiana, dal rapporto con lo Stato, al nostro medico sarà tutto gestito in modo automatico e digitale? Potremmo prevenire le malattie monitorando in tempo reale il nostro corpo?

Quante saranno le persone connesse ad internet? Mark Zuckerberg e Google avranno connesso i paesi senza connessione? Oppure lo avranno fatto le telco? Internet in Cina sarà libero e senza barriere? Analizzando i dati di ITU, agenzia delle Nazioni Unite, possiamo vedere che tutti gli indicatori relativi all'ICT dal 2005 ad oggi hanno avuto una crescita importantissima. Per esempio in Africa le persone che utilizzavano Internet nel 2005 erano 17 milioni oggi sono quasi 175 milioni. Tre miliardi di persone nel mondo oggi hanno accesso alla rete, mentre nel 2005 erano poco più di un miliardo. Alcune statistiche sono impressionanti: più di 200 milioni di email inviate ogni minuto, 4 milioni di ricerche su Google, 48,000 app scaricate, quasi 300.000 tweet inviati.

Queste sono soltanto alcune domande che ho in testa, ma l'infinità di risorse e strumenti che oggi utilizziamo su internet nei prossimi 10 anni potrebbero essere superati da nuove tecnologie. Gli smartphone che oggi rappresentano il modo più immediato in mobilità per essere connessi, lo saranno anche tra 10 anni? Stiamo vedendo in questo periodo la diffusione a larga scala dei dispositivi wearable come l'Apple Watch o il meno fortunato Google Glass. Saranno loro tra 10 anni a sostituire definitivamente gli smartphone?

Nel 2004, poco più di 10 anni fa nasceva un social network chiamato Netlog, era molto popolare tra i ragazzi e veniva utilizzato per conoscere nuovi amici. Oggi è finito tra i dimenticati della storia di internet. Un anno prima nasceva Myspace, negli Stati Uniti veniva utilizzato da milioni di persone. Oggi qualcuno potrebbe pensare che fosse uno strumento di comunicazione della seconda rivoluzione industriale. Ma i social network nati e scomparsi sono moltissimi: Ryze, Friendster, Orkut, Tribe, Hi5, soltanto per citarne alcuni. Nascevano servizi come Couchsurfing.com dedicati alle recensioni dell'ospitalità, nasceva Youtube, iniziava a popolarsi Flickr il noto sito per la condivisione di immagini, diventava necessario avere un account Windows Live Messenger per chattare con gli amici. Scriveva allora Microsoft: "Windows Live™ Messenger, the next version of MSN® Messenger, is the world's largest easy-to-use consumer instant messaging (IM) service that allows people to connect with others in real time, expressing themselves in a rich, convenient and fun way."

Nel 2005 Facebook prendeva forma e dava la possibilità a piccole comunità, come quelle universitarie di entrare in contatto. Servizi simili nascevano per connettere le comunità religiose o gli appassionati dei viaggi. A inizio 2000 iniziavano a nascere piattaforme per i blogger, come appunto Blogger. Il browser Internet Explorer era utilizzato dalla maggior parte delle persone, intorno al 90% secondo TheCounter nel 2005.

Sempre nel 2005, 10 anni fa esatti Nokia vendeva i suoi cellulari in modo incontrastato. Tra il 2003 e il 2005 quotidiani statunitensi festeggiavano la salita delle revenues e internet sembrava essere luogo perfetto per il domani e per i bilanci degli editori.

Ebay, la creatura di Pierre Omidyar nel 2005 ha acquistato Skype , Tim O'Reilly appena un mese prima festeggiava per il sold out della sua conferenza dal titolo: web 2.0. Ovvero il web che oggi noi tutti conosciamo. Ho parlato di esempi diversi tra loro: social network, giornali, sistemi operativi, software, aziende di hardware, commercio elettronico, telco, web utilities. Tutti questi esempi, di più o meno 10 anni fa disegnano un quadro impressionante: Facebook nato per un servizio dedicato solo agli universitari è diventato il social network più grande al mondo, mentre servizi che sembravano non tramontare mai come Windows Live Messenger adesso sono un lontano ricordo. Nokia continua a provare a rialzarsi dopo anni difficili, mentre altre aziende hanno continuato a crescere senza sosta come Google. Il giornalismo che aveva visto nel 2005 un periodo buono in numero di lettori e profitti, adesso, sopratutto online, cerca un modello di business funzionante.

In questi 10 anni gli eventi di tutto il mondo: dalle rivoluzioni arabe, alle crisi economiche globali, alle sciagure dei terremoti, alle crisi politiche e sociali in Europa, all'ascesa incontrastata di super potenze come la Cina, alle guerre nel medio oriente, alla crisi delle democrazie occidentali, al terrorismo e il crimine organizzato hanno radicalmente cambiato la vita quotidiana della maggior parte delle persone in ogni angolo del pianeta.

Internet in questi anni ha subìto gli effetti di tutti questi cambiamenti, ne ha favoriti alcuni, fermati altri. Per molti anni in passato, ma ancora oggi, internet viene considerato strumento cattivo, strumento buono, ma qualcuno più saggio lo definisce soltanto uno strumento. A noi il compito di utilizzarlo al meglio. Applicazioni come Instagram, Snapchat, Periscope, Whatsapp non esistevano dieci anni fa e se esistevano, in forme simili, gli utenti non erano pronti ad utilizzarle.

Oggi il concetto di privacy, mobilità, immediatezza, condivisione sono concetti che sopratutto tra i giovani sono quotidiani e accettati senza compromessi. Condividere banalmente il proprio volto, il proprio nome e cognome erano azioni più rare 10 anni fa, mentre oggi anche l'intimità viene condivisa senza troppe domande. Le nuove aziende come Xiaomi, Uber, Airbnb, WeWork, DropBox, Palantir o SpaceX in pochi anni hanno ottenuto finanziamenti miliardari e creato decine di migliaia di posti di lavoro. Alcune senza inventare nulla, ma semplicemente esprimendo dei concetti,come la tecnologia cloud nel caso di Dropbox, semplice ed immediata, riuscendo ad attirare milioni di consumatori.

È veramente difficile riuscire a capire come sarà internet tra 10 anni, sicuramente il World Economic Forum ha realizzato un ottimo report che prevede le 14 tecnologie che nel 2020, cioè tra 5 anni entreranno nelle nostre vite. Sembra infatti veramente difficile, in un mondo così veloce, ma sopratutto in un mondo dove c'è una infinità di informazioni, capire quelle che più sono affidabili, più realistiche per poter provare poi a capire dove stiamo andando. È probabile che tra 10 anni, la penetrazione di internet a livello globale sfiorerà il 90%, i dispositivi indossabili avranno un ruolo fondamentale nella nostra vita quotidiana e l'internet delle cose permetterà di vivere in vere e proprie smart city, una di queste potrà essere sicuramente Dubai. Facebook avrà diversificato il suo business, come ha già iniziato a fare con l'acquisizione di startup tecnologiche per la realtà aumentata. Fare acquisti online: dal cibo agli oggetti tecnologici, sarà parte della vita quotidiana, le televisioni saranno sempre più interattive e internet e tv diventeranno un ibrido per l'intrattenimento.

L'educazione cambierà: uno studente potrà creare il proprio percorso di studi come vuole, comodamente in remoto e alcune materie classiche verranno sostituite da quelle legate al mondo tecnologico, grazie sempre alla penetrazione di internet ed a device poco costosi, l'istruzione arriverà anche in quei paesi che oggi soffrono la fame e l'instabilità politica. La realtà aumentata permetterà di simulare eventi e prepararsi in modo adeguato ad essi. La governance di internet verrà ridiscussa a livello globale e probabilmente, a secondo degli eventi geopolitici futuri, si potranno avere regole comuni oppure internet diversi a seconda delle alleanze che verranno a crearsi tra le nazioni.

I big data permetteranno in anticipo con una accuratezza superiore a quella di oggi, la previsione della diffusione di malattie, l'andamento economico di un paese, la situazione socio-politica di una nazione e addirittura aiuteranno a prevedere le mosse di gruppi terroristici o del crimine organizzato. Crescerà la partecipazione: internet, aiuterà a diffondere a livello globale tematiche che oggi non emergono perché in alcuni paesi internet non è abbastanza radicato: i diritti umani e l'inquinamento per citare due esempi.

Huffington Post
06 05 2015

Roma, mille e una fede. Mappa di una città che cambia, e continua a credere. Il progetto di Martina Albertazzi 

Danze, canti e preghiere. Mani che si uniscono per incontrare il divino e incontrarsi a vicenda, in una città che piano piano si riempie di colori, suoni e profumi un tempo lontani. All’ombra del Vaticano, sparsi tra le centinaia di chiese che costellano Roma, sono moltissimi i luoghi di culto che diventano anche fondamentali centri d’aggregazione, soprattutto nelle periferie: moschee e templi indù si alternano a chiese battiste, ortodosse e cinesi, tra un pranzo tradizionale eritreo e i lumini indiani del Diwali. Nasce per raccontare questa nuova Roma "In the Shadow of the Vatican", progetto della fotografa Martina Albertazzi.

Negli ultimi trent'anni, il fenomeno migratorio ha contribuito a cambiare il panorama religioso della Capitale che, seppur lentamente rispetto alle altre nazioni europee, ormai è a tutti gli effetti una città multiculturale. È proprio a Roma, infatti, che si trova la Moschea più grande d'Europa, un punto di riferimento per la comunità musulmana capitolina dal 1994. Nel 2013, inoltre, Roma ha dato il benvenuto al tempio buddista più grande d'Europa, nella periferia sud est dove la comunità cinese ha fondato una seconda Chinatown, dopo quella di Piazza Vittorio. Entro la fine del 2015 poi, verrà inaugurato il Tempio Mormone più grande d'Europa.

Affascinata da queste profonde trasformazione nella sua città natale, di ritorno dopo tre anni trascorsi a Nyc, Albertazzi ha deciso di documentare la vita religiosa delle comunità immigrate, dando vita al progetto "In the Shadow of the Vatican". "Ho ricevuto un'educazione cattolica, non perché i miei genitori fossero particolarmente religiosi, ma perché la parrocchia era vista come un luogo sicuro dove i ragazzi potevano fare amicizia “, spiega la fotografa nella descrizione del progetto. “Questo non era il caso di ogni famiglia romana, certo, ma la comunità cattolica ha avuto un ruolo predominante per secoli, lasciando le minoranze religiose ai margini".

La fotografa romana ha speso un anno in giro per chiese, moschee e templi situati soprattutto nelle periferie, per mostrare al pubblico che, oltre al lato religioso, è il senso di aggregazione e il desiderio di continuare a vivere la propria tradizione che spinge le comunità a ritrovarsi ogni settimana. "Il mio obiettivo - conclude Albertazzi - è creare una mappa fotografica della nuova Roma multietnica, partendo proprio dai luoghi di culto, tappe fondamentali in una città in cui la religione ha da sempre un ruolo così cruciale".

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