Dinamo Press
30 09 2015
Le forze di sicurezza turche attaccano la popolazione di diverse città curde con armi pesanti e cecchini. Coprifuoco nella municipalità di Sur, della città di Diyarbakir. Feriti 5 bambini, uno è grave.
Dinamo Press
30 09 2015
Le forze di sicurezza turche attaccano la popolazione di diverse città curde con armi pesanti e cecchini. Coprifuoco nella municipalità di Sur, della città di Diyarbakir. Feriti 5 bambini, uno è grave.
(28 settembre) Da ieri sera continuano pesanti attacchi in diversi quartieri della città di Diyarbakir, quartieri in cui il popolo ha dichiarato l'autogoverno e sta praticando l'autodifesa per impedire l'ingresso della polizia e delle forze speciali dell'esercito turco, che dal mese di luglio hanno massacrato più di 100 civili in diverse città del Kurdistan con armi pesanti e cecchini appostati sugli edifici.
Simbolo di questa resistenza popolare e della guerra dichiarata al popolo da Erdogan, dopo la sconfitta subita alle elezioni del 7 giugno, è la città di Cizre in provincia di Sirnak in cui le vittime del coprifuoco durato 9 giorni sono state 21 civili di cui la maggior parte bambini colpiti nelle loro case dai cecchini e morti dissanguati perchè le forze speciali hanno impedito di trasportarli in ospedale e hanno sparato a chi cercava di farlo.
A Bismil in provincia di Diyarbakir a seguito di manifestazioni di protesta contro i massacri in corsoè stato dichiarato il coprifuoco e le forze di sicurezza turche hanno sparato contro i civili. Cecchini appostati sugli edifici più alti hanno sparato alla gente per strada e stamattina un ragazzo di 22 anni ferito mentre era seduto davanti a casa sua è morto. Un'abitazione nel quartiere Avasin è stata bombardata uccidendo una bambina di 8 anni Elif Simsek e ferendo Pelda Simsek, Avasin Simsek, Bedia Simsek, Ahmet Simsek e Mehmet Simsek.
Ulteriori notizie affermano che anche la madre di Elif ha perso la vita. Il blocco del quartiere è ancora in corso da parte delle forze di sicurezza turche. Ieri la polizia aveva attaccato i quartieri di Fatih e Hasirli a Diyarbakir.
Le foto dell'offensiva turca
Cecchini si sono posizionati sui tetti intorno ai quartieri e stamattina hanno iniziato a sparare contro la popolazione, che ha iniziato una “protesta del rumore” utilizzando qualunque mezzo a disposizione per far sentire la propria voce all'esterno dei quartieri sotto assedio. Nel quartiere di Hancepek la polizia ha ferito 5 bambini: Ali Kaya 8 anni, Songul Kaya 14 anni, Sehmus Sevintek 15 anni, Ayse 13 anni e un bambino di 8 anni di cui non si è ancora appreso il nome. Ali Kaya è stato ferito gravemente.
Testimoni oculari hanno riferito che una macchina nera è entrata nel quartiere e ha iniziato a sparare in tutte le direzioni. Oltre alle persone sono stati presi di mira tutti gli edifici storici tra cui un'antica moschea e una chiesa storica che hanno subito gravi danni.
Stamattina le forze speciali hanno circondato il quartiere di Sur, vietato l'ingresso e l'uscita e rappresentanti del DBP (Partito Democratico delle Regioni) stanno cercando di entrare del quartiere. Anche la città di Lice in provincia di Diyarbakir è sotto attacco, l'esercito sta bombardando le montagne intorno alla città e impedisce l'ingresso alla città che è stata isolata bloccando l'accesso a internet e telefoni. Una delegazione del DBP e dell'HDP sta cercando di raggiungere anche Lice.
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Fonti:
Zehra Dogan JINHA-Amed (Agenzia di Stampa delle Donne - Diyarbakir)
Kerem Celik Ufficio stampa del DTK (Congresso della Società Democratica)
traduzione a cura di uikionlus
Dinamo Press
30 09 2015
Sgomberato il Presidio Permanente No Borders di Ventimiglia. Un centinaio di agenti partecipano all'operazione, gli attivisti resistono sugli scogli. Riportati alcuni fermi.
Dall’alba di oggi un’ingente schieramento di frze dell’ordine sta procedendo allo sgombero del Presidio NoBorder di Ventimiglia. Sin dalla mattina presto è stata chiusa la frontiera con la Francia, mentre un centinaio di agenti in tenuta antisommossa sta presidiando l’area. Gli attivisti del Presidio – giovani, precari, migranti – si sono spostati dall’accampamento e stanno resistendo sugli scogli, così come era avvenuto alcuni mesi fa durante uno dei primi interventi della polizia. Già da ieri sera si temeva lo sgombero. Gli occupanti avevano dichiarato sui social networks: “Molti indizi lasciano temere il peggio e per questo […] abbiamo deciso di spostarci sugli scogli pronti a resistere, come quell'11 giugno quando tutto cominciò con l'azione decisa di un gruppo di migranti che trovarono la frontiera con la Francia chiusa e decisero di rifugiarsi sulle rocce in riva al mare, esattamente davanti alla frontiera di Ponte San Ludovico.”
Ad assistere all'operazione di sgombero si è presentato anche il sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano in compagnia di tutta l'amministrazione comunale cittadina. L’area del campo è stata sgomberata e le tende rimosse. La pagina Facebook del Presidio riporta “si continua a resistere sugli scogli. Militarizzata l’area, "devastata e saccheggiata" l’area del campo. Persone che tentavano di raggiungere il presidio per dare solidarietà sono state portate in questura. Minacce di identificazione e denuncia per tutt*. Alla faccia del welcome refugees, chi lotta per la liberta di movimento viene messo a tacere.”
Per il momento vengono confermati i due fermi fermi effettuati questa mattina, quelli di un francese e un attivista italiano. Bloccato e portato via con la forza un ragazzo minorenne. Per le ore 12 è stata indetta una manifestazione a Ventimiglia per tutti coloro che sono stati bloccati e impossibilitati a recarsi al presidio.
Dinamo Press
30 09 2015
In Catalogna vincono gli indipendentisti di Junts pel Sí e CUP, Ciutadans si afferma come seconda forza politica nella regione. Mentre Podemos affronta il risultato peggiore dalla sua fondazione
Il voto di ieri in Catalogna rappresenta la prima – seria – battuta d’arresto per il progetto politico di Podemos dalla sua nascita, in occasione delle europee del 2014. Il risultato premia le posizioni indipendentiste, che sommando i voti di Junts pel Sí e la CUP raggiungono i 72 seggi, quattro in più della maggioranza assoluta (qui i risultati completi). Nonostante lo scontro apertosi in queste ore tra le due formazioni politiche per decidere chi sarà il capo dell’esecutivo catalano – e quale sarà il futuro del processo indipendentista – il voto di ieri ha avuto caratteristiche plebiscitarie, con un’affluenza che ha sfiorato l’80 per cento. A conferma, casomai ce ne fosse bisogno, che la questione nazionale in Catalogna è ormai divenuta questione centrale all’interno del dibattito politico. Allo stesso tempo, tuttavia, l’indipendentismo catalano, ottiene la maggioranza dei seggi ma non la maggioranza dei voti, rendendo ancora difficile indovinare il risultato di una eventuale consultazione referendaria.
L’altro grande vincitore è Ciutadans, che con il 18 per cento dei voti e 25 seggi è oggi la seconda forza politica della Catalogna. Presentatosi come l’unica alternativa di fronte all’avanzata dell’indipendentismo e delle spinte secessioniste, Ciudadanos ha fatto il salto di qualità in queste elezioni, sostituendo di fatto il PP (che ha ottenuto solo 11 seggi) alla guida del blocco “unionista” all’interno del parlamento regionale. Una buona base di partenza per le elezioni politiche di dicembre, in una fase spagnola segnata dal ritorno della retorica sull’unità nazionale e dal riemergere delle destre.
E Podemos? Il partito di Pablo Iglesias quattro mesi fa trionfava alle elezioni municipali di Barcellona con la coalizione di Barcelona en Comù, ottenendo il 25 per cento dei consensi e il governo della città, stimolando riflessioni nei movimenti urbani di mezza Europa attorno al nodo del “si se puede”. Sebbene non si possa considerare il risultato di maggio come un successo diretto ed esclusivo di Podemos – Barcelona en Comù è stato un lungo processo municipalista, Ada Colau ha un’altra biografia rispetto a Pablo Iglesias, etc. – è chiaro che la differenza con il 10 per cento ottenuto ieri a Barcellona, pesa come un macigno sulla coalizione CatSíqueesPot, con cui Podemos si è presentato alle elezioni. Pesano le modalità di costruzione della candidatura, decisa dall’alto e tramite un processo molto differente da quello virtuoso e vincente di maggio. Iglesias stesso si è speso moltissimo in termini personali – trasferendosi a Barcellona per seguire di persona la campagna elettorale - senza però riuscire ad ottenere i risultati sperati.
Podemos ha cercato di sparigliare le carte con una campagna elettorale basata su temi sociali, in un contesto in cui la questione nazionale catalana si identificava completamente con il tratto populista occupando “el centro de la mesa” e rendendo di fatto inefficace la retorica sulla casta e l’immagine dei “los de abajo” e “los de harriba”. Il risultato è stato definito ieri sera da Pablo Iglesias come “altamente deludente”. Il leader di Podemos si è poi difeso aggiungendo che in uno scenario politico fortemente polarizzato la scelta del partito è stata quella di anteporre “responsabilità e senso dello Stato” all’interesse elettorale. Forse l’errore è stato quello di parlare “di diritti sciali, o della necessità che i catalani possano usufruire dei servizi pubblici fondamentali, di fronte all’austericidio messo in campo negli ultimi anni dal presidente Artur Mas”. “Se questo è stato il nostro errore, continueremo a commetterlo” ha poi aggiunto.
Può darsi che le elezioni catalane resteranno un fenomeno a sé, dato dalla particolarità del panorama politico e dalla peculiare polarizzazione del dibattito elettorale. Probabilmente non è questo il terreno adatto per azzardare previsioni sulle elezioni di dicembre. Ma va detto che lo stesso Iglesias pochi giorni fa aveva dichiarato che “il voto catalano disegnerà l’ordine di partenza verso le prossime elezioni nazionali”. Allo stato attuale, Podemos parte in quarta posizione. Fino a dicembre la strada è lunga e tutta in salita.
di Luca Cafagna
Dinamo Press
30 09 2015
Le forze di sicurezza turche attaccano la popolazione di diverse città curde con armi pesanti e cecchini. Coprifuoco nella municipalità di Sur, della città di Diyarbakir. Feriti 5 bambini, uno è grave.
(28 settembre) Da ieri sera continuano pesanti attacchi in diversi quartieri della città di Diyarbakir, quartieri in cui il popolo ha dichiarato l'autogoverno e sta praticando l'autodifesa per impedire l'ingresso della polizia e delle forze speciali dell'esercito turco, che dal mese di luglio hanno massacrato più di 100 civili in diverse città del Kurdistan con armi pesanti e cecchini appostati sugli edifici.
Simbolo di questa resistenza popolare e della guerra dichiarata al popolo da Erdogan, dopo la sconfitta subita alle elezioni del 7 giugno, è la città di Cizre in provincia di Sirnak in cui le vittime del coprifuoco durato 9 giorni sono state 21 civili di cui la maggior parte bambini colpiti nelle loro case dai cecchini e morti dissanguati perchè le forze speciali hanno impedito di trasportarli in ospedale e hanno sparato a chi cercava di farlo.
A Bismil in provincia di Diyarbakir a seguito di manifestazioni di protesta contro i massacri in corsoè stato dichiarato il coprifuoco e le forze di sicurezza turche hanno sparato contro i civili. Cecchini appostati sugli edifici più alti hanno sparato alla gente per strada e stamattina un ragazzo di 22 anni ferito mentre era seduto davanti a casa sua è morto. Un'abitazione nel quartiere Avasin è stata bombardata uccidendo una bambina di 8 anni Elif Simsek e ferendo Pelda Simsek, Avasin Simsek, Bedia Simsek, Ahmet Simsek e Mehmet Simsek.
Ulteriori notizie affermano che anche la madre di Elif ha perso la vita. Il blocco del quartiere è ancora in corso da parte delle forze di sicurezza turche. Ieri la polizia aveva attaccato i quartieri di Fatih e Hasirli a Diyarbakir.
Cecchini si sono posizionati sui tetti intorno ai quartieri e stamattina hanno iniziato a sparare contro la popolazione, che ha iniziato una “protesta del rumore” utilizzando qualunque mezzo a disposizione per far sentire la propria voce all'esterno dei quartieri sotto assedio. Nel quartiere di Hancepek la polizia ha ferito 5 bambini: Ali Kaya 8 anni, Songul Kaya 14 anni, Sehmus Sevintek 15 anni, Ayse 13 anni e un bambino di 8 anni di cui non si è ancora appreso il nome. Ali Kaya è stato ferito gravemente.
Testimoni oculari hanno riferito che una macchina nera è entrata nel quartiere e ha iniziato a sparare in tutte le direzioni. Oltre alle persone sono stati presi di mira tutti gli edifici storici tra cui un'antica moschea e una chiesa storica che hanno subito gravi danni.
Stamattina le forze speciali hanno circondato il quartiere di Sur, vietato l'ingresso e l'uscita e rappresentanti del DBP (Partito Democratico delle Regioni) stanno cercando di entrare del quartiere. Anche la città di Lice in provincia di Diyarbakir è sotto attacco, l'esercito sta bombardando le montagne intorno alla città e impedisce l'ingresso alla città che è stata isolata bloccando l'accesso a internet e telefoni. Una delegazione del DBP e dell'HDP sta cercando di raggiungere anche Lice.
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Fonti:
Zehra Dogan JINHA-Amed (Agenzia di Stampa delle Donne - Diyarbakir)
Kerem Celik Ufficio stampa del DTK (Congresso della Società Democratica)
traduzione a cura di uikionlus
Dinamo Press
29 09 2015
Ad un anno dall'assassinio di tre normalisti e dalla sparizione di altri 43 studenti, le strade di decine di città sono state invase da migliaia di manifestanti. "Chiediamo giustizia e denunciamo le responsabilità del governo di Enrique Peña Nieto".
Il cielo si è fatto grigio, sembra vestito a lutto. Leggere gocce di pioggia hanno accolto l’arrivo dei primi manifestanti, i più puntuali. Ma subito la timidezza della tenue pioggia mattutina si è trasformata in un grande aquazzone. I partecipanti seguono l'andamento della pioggia, e crescono sempre di più: in poco tempo piccoli gruppi sparsi si trasformano in una moltitudine, con presenze stremamente variegate, dalle comunità cattoliche di base fino ai gruppi anarchici.
Secondo le stime dei conservatori, quelle della segreteria della sicurezza pubblica del distretto federale, questo 26 di settembre, ad un anno esatto dal più grande crimine dello Stato messicano degli ultimi anni – l’uccisione di tre studenti normalisti e la sparizione forzata di altri 43 – hanno manifestato per le strade della capitale quindicimila persone. Secondo le stime dei manifestanti invece il corteo ha coperto dieci chilometri di strada, cosa che contrasta con le irrisorie stime ufficiali. Quando la testa del corteo arrivava al cosiddetto anti-monumento ai 43, la metà del corteo si trovana ad Estela de Luz, ovvero 5 chilometri più indietro, sul Paseo de la Reforma.
Quali che siano i numeri reali, che valgano o no le stime degli organizzatori, secondo cui hanno manifestato 150mila persone, si è trattato senza dubbio di una manifestazione, quella iniziata alle 12.30, davvero enorme. Non è stata la tipica manifestazione studentesca. E’ stata la protesta della società che sic è svegliata in seguito all’orrore dei fatti di Iguala nello stato del Guerrero.
La grande partecipazione ha causato tre problemi di ordine logistico. L’ordine degli spezzoni, nonostante lo sforzo degli organizzatori, è saltato. Uomini, donne, bambini, bambine, giovani, anziani, continuavano ad aggiungersi alla protesta. Arrivano continuamente famiglie, gruppi con i loro settori di lavoro e sindacati, ed entravano nel corteo in ordine sparso. I familiari dei 43 studenti arrestati e spariti e dei tre assassinati aprivano il corteo, tenendo in mano lo striscione con le foto dei loro ragazzi. Era impossibile avvicinarsi a loro, blindati da una doppia barriere: un cordone bianco e una marea umana.
Dietro di loro, gli studenti delle scuole normali rurali del paese, progetto educativo nato dalla Rivoluzione messicana. Stavolta non portavano con sé il telo rosso che li contraddistingue e che per colore ed insegne (quella della Federazione degli studenti contadini socialisti del Messico) ricorda la loro ideologia politica. Hanno sostituito questo simbolo con due teloni neri, della stessa misura, in cui si legge, con lettere costituite da tante piccole foto, la frase “Nessun perdono, nessun oblio”.
I normalisti, uomini e donne, li si distingueva per la freschezza del volto e la grande voglia di dare voce ad ogni slogan, così come per i vestiti umili e i capelli rasati nel caso degli studenti neoiscritti, coloro i quali nonostante tutto hanno deciso di far parte di una nuova generazione di futuri docenti. “Vogliono far scomparire i normalisti rurali, con la lotta e il sangue li difenderemo” cantavano. Dietro tutti gli altri, una mescolanza eterogenea. Studenti delle superiori, professori, sindacalisti, attivisti, difensori dei diritti umani, artisti, tutti uniti contro l’indifferenza e l’oblio. “Se ami qualcuno devi lottare affinché possa vivere in un mondo migliore”, “Figlio, sono qui a lottare affinché tu possa crescere senza la paura di sparire” sono solo alcune delle frasi che i manifestanti hanno scritto sui cartelli e gli striscioni.
Anche i bambini sono scesi in piazza, bambini e bambine che lottano fin da adesso per costruire un futuro e un paese vivibile. Nonostante la pioggia, i bambini sono arrivati allo Zocalo della capitale con globi multicolori e cartelli in mano, con i loro genitori poco dietro. La rabbia sociale cresce e non può essere occultata. La gente lo sa e lo manifesta per le strade, come recita lo slogan “E’ storicamente provato, il terrorismo è di Stato”, “E’ stato l’esercito” si legge con una scritta spray su un camion che passa per il Paseo de la Reforma.
Carmelita y Cristina, madri di due dei ragazzi arrestati e scomparsi, hanno preso parola durante il comizio finale. Entrambe hanno sottolineato la responsabilità dello Stato rispetto al crimine di Iguala, per il quale hanno reclamato la destituzione del presidente Enrique Peña Nieto.
“Il 26 settembre e la mattina del 27 tutto il corpo di polizia ha partecipato, fin dalle cinque del pomeriggio sapevano che i normalisti stavano andando a Iguala. Per questo noi cogliamo che si dimetta Enrique Peña Nieto e il suo staff, ma prima deve ridarci i nostri figli perché sono in mano loro. E da qui lo dico, non faccia il furbo, perché sa dove sono" ha detto Carmelita.
Cristina, che abita nelle montagne del Guerrero, ha parlato alla moltitudine con il suo spagnolo . Ma la forma non è riuscita a mitigare il contenuto del suo messaggio “ Ora vedo, mi rendo conto, che il nostro invito non è stato vano. Sì, ci hanno ascoltato. Oggi sono scesi in piazza. Oggi sono scesi in piazza assieme, per difendere i nostri diritti. Mi rivolgo a tutti gli studenti che camminano assieme a noi, oggi è il momento di alzare la voce affinché non accada a loro, affinché non si ripeta ciò che stiamo vivendo. Che non accada ai nostri figli, ai nostri nipoti. E’ il momento di alzare la voce e cambiare questo paese, cambiare questo governo, affinché non continuino a governarci loro. Che in ogni paese e in ogni villaggio indigeno non permettano che entri il presidente. Che sia ognuno di noi e voi a governare, e non il governo con le armi”.
*Tratto da Desinformemonos, traduzione a cura di Dinamopress
Dinamo Press
29 09 2015
di Resistenze Meticce
La carovana ha attraversato alcuni degli snodi principali della rotta balcanica dei migranti, constatando da vicino come l'attuale flusso, proveniente principalmente dalla Siria, ha fatto saltare alcuni dispositivi della governance europea delle migrazioni. Qui la cronaca multimediale
Sebbene la situazione sia in costante evoluzione e può cambiare rapidamente, la rotta verso i paesi del Nord Europa e, soprattutto, verso la Germania, al momento non conosce blocchi, ma soltanto deviazioni e rallentamenti. La Slovenia, che sabato scorso era stata costretta da una mobilitazione dei rifugiati a permettere il transito attraverso il suo territorio, non è attualmente lambita dal flusso (per evitarlo ha interrotto i collegamenti ferroviari con la Croazia e chiuso alcuni punti di frontiera). Dal sud-est della Croazia, i rifugiati vengono fatti salire su treni speciali, diretti verso nord, vicino al confine con l'Ungheria.
Qui, sono costretti a percorrere diversi chilometri a piedi in condizioni molto difficili (al buio, senza alcun tipo di assistenza medica, con l'acqua e il cibo che solo a volte i volontari riescono a dare loro) per raggiungere un varco aperto nella recinzione che separa i due Stati. Da lì, le persone continuano a camminare verso la vicina stazione dei treni e, violenze della polizia ungherese permettendo, cercano di raggiungere l'Austria.
Grazie alla pressione esercitata dai rifugiati, il sistema di controllo delle fontiere esterne e di regolazione dei flussi migratori (costruito attraverso gli accordi di Schengen e il regolamento di Dublino) è parzialmente saltato. I diversi paesi che si trovano sulla rotta balcanica sono stati in qualche modo, e con diverse modalità, costretti a far passare le persone, in alcuni casi persino facilitandone il transito. Resta da capire come i vari governi si muoveranno nelle prossime settimane e quali nuovi ostacoli verranno imposti alla libera circolazione dei migranti.
L'attuale flusso migratorio ha come altro effetto quello di inserirsi in uno scenario di instabilità politica, sia interna che esterna. Per un verso, infatti, forze razziste e di estrema destra tentano di guadagnare consenso attraverso retoriche xenofobe e favorevoli al controllo e alla chiusura delle frontiere. Per un altro, si stanno riacuendo vecchie tensioni tra i diversi Stati, che tentano di scaricarsi l'un l'altro i rifugiati attraverso ricatti e forzature reciproche che hanno poco a che vedere con il fenomeno in questione, e riguardano invece rivalità mai del tutto risolte che affondano le proprie radici nella storia più recente.
L'azione della Carovana si è inserita in questo specifico scenario. Venerdì pomeriggio diverse decine di attiviste e attivisti europei hanno partecipato alla piazza antifascista chiamata dal “Fronte anti-razzista sloveno”, per evitare il concentramento di gruppi neonazisti convocatisi sullo slogan “Difendiamo le nostre frontiere”, poi spostato altrove. Sabato, dopo una partecipatissima assemblea al centro sociale Rog di Ljubljana, oltre 200 persone provenienti da Italia, Svizzera, Germania, Austria, Slovenia e Croazia si sono mosse verso Botovo, al confine tra Croazia e Ungheria. Come accennato in precedenza, in questi giorni il passaggio non viene impedito, ma soltanto reso estremamente difficile, soprattutto per anziani e bambini, dall'interruzione della linea ferroviaria internazionale.
Gli attivisti della carovana hanno così potuto incontrare più di un migliaio di rifugiati che scendevano dai treni, senza neanche sapere dove si trovavano e molto preoccupati per quello che li avrebbe attesi al di là del confine ungherese. Sono stati consegnati loro acqua, cibo e beni di prima necessità, raccolti dai diversi network solidali delle città di provenienza: da Roma abbiamo portato gli aiuti raccolti dalla Libera Repubblica di San Lorenzo. Altri pezzi della Carovana, invece, si sono diretti al confine sloveno-croato e, il giorno successivo, a Babzka, tra Croazia e Slovenia, consegnando altri beni di prima necessità e, in alcuni casi, offrendo un passaggio ai rifugiati verso i paesi di destinazione.
La Open Borders Caravan è stato un importante momento di incontro tra chi, in Europa, sta incrociando in punti diversi lo stesso flusso migratorio e sta combattendo una battaglia comune per l'apertura delle frontiere, per percorsi di transito sicuri e per un'accoglienza dignitosa. Crediamo che i tentativi di organizzazione transnazionale di lotte e reti solidali sul tema dell'apertura delle frontiere vadano moltiplicati, migliorando le connessioni reciproche e la capacità organizzativa comune.
Come Resistenze Meticce esprimiamo la nostra solidarietà a tutte le persone che stanno combattendo la stessa battaglia per l'apertura delle frontiere a Ventimiglia, a chi è bloccato lì da settimane, a chi in questi giorni ha ricevuto un foglio di via e a chi, proprio ieri, è stato vigliaccamente caricato dalla polizia italiana.
Dinamo Press
28 09 2015
Dal 25 al 27 settembre è stata chiamata una Carovana transnazionale per l’apertura delle frontiere europee, che da Lubiana si muoverà verso il confine sloveno-croato. Resistenze Meticce parteciperà a questa mobilitazione partendo da Roma.
Leggi l'appello internazionale, informati sulle partenze da Roma (per info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)e segui la pagina Open Borders Caravan
In questi mesi, decine di migliaia di persone che fuggono da guerre e povertà hanno raggiunto, o stanno provando a raggiungere, il territorio europeo. Mentre diversi governi hanno reagito alzando muri e filo spinato, inasprendo le leggi sull’immigrazione e sul controllo della popolazione interna, gridando a un’invasione che non c'è (i nuovi arrivati non superano neppure lo 0,1% della popolazione europea), causando migliaia di morti, in tantissimi luoghi si moltiplicano invece le iniziative di solidarietà. Da Ventimiglia a Calais, dalle isole greche a Opatovac, da Edirne a Rözske, da Tovarnik al Brennero, migranti e solidali insieme stanno mettendo in crisi la governance europea dell’immigrazione, facendo saltare il regolamento di Dublino e gli accordi di Schengen. Nonostante nessuna frontiera riesca a fermare il bisogno di fuga e la voglia di pace e libertà di queste persone, si continuano a diffondere segnali di preoccupanti chiusure identitarie e razziste e si ricostruiscono vecchi e nuovi confini.
Pochi giorni fa alcuni di noi sono tornati dalla Carovana per Kobane, che ha chiesto l’apertura di un canale umanitario verso la città simbolo della resistenza allo Stato Islamico, portando solidarietà al popolo curdo (in lotta contro l’ISIS e il regime autoritario di Erdogan) e sostegno all’esperienza del confederalismo democratico del Rojava. Proprio dalla Siria dilaniata dalla guerra e dal Kurdistan turco impoverito e perseguitato dal dittatore Erdogan in tanti sono stati costretti a fuggire. Domani partiremo per una nuova Carovana transnazionale, questa volta verso una delle frontiere europee che impediscono o rallentano il transito di chi si muove per migliorare le proprie condizioni di vita. Saremo prima a Lubiana per una mobilitazione antifascista e antirazzista per poi dirigerci dove eserciti e polizie impediscono alle persone di superare i confini.
Vogliamo portare il nostro sostegno concreto a chi fugge da guerre e povertà, a chi in queste settimane sta dando a tutti quanti una grande lezione di dignità e grandissima determinazione. Vogliamo anche lanciare un messaggio politico chiaro: non accetteremo che l’Europa diventi uno spazio diviso da muri e infestato dal razzismo. Sappiamo bene che quello che alcuni governi e forze politiche stanno facendo contro i migranti riguarda tutti noi. Mentre si ricostruiscono vecchie e nuove frontiere per le persone che provengono da fuori l’Unione Europea, in diversi paesi si discute la reintroduzione di blocchi indirizzati anche ai migranti intra-europei, accusati di muoversi per scroccare il welfare degli Stati più ricchi. Rifiutiamo questa visione dei fenomeni migratori che non tiene conto delle guerre che anche l’Unione Europea ha contribuito a scatenare, che non fa riferimento ai dittatori sostenuti e finanziati in giro per il mondo, che dimentica come le politiche di austerity abbiano distrutto il futuro di migliaia di giovani nel Sud Europa. Pensiamo che solo insieme, cittadini e clandestini, rifugiati economici e politici, sia possibile riscrivere il destino dello spazio europeo e sottrarlo alla dittatura del neoliberalismo e alle pulsioni autoritarie e fasciste.
Per questi motivi parteciperemo alla Carovana, provando a portare quella lotta contro i confini che quotidianamente pratichiamo nei nostri sportelli legali e nelle scuole di italiano, nelle esperienze autogestite di mutualismo e solidarietà, nelle battaglie per un’accoglienza dignitosa, lì dove le frontiere europee vorrebbero fermare chi pratica la libertà di movimento e il diritto di scelta. Ci auguriamo e faremo in modo che a questa iniziativa ne seguano altre ancora perché siamo fortemente convinti che, oggi, portare solidarietà ha valore se ci si mette in gioco insieme per la costruzione di uno spazio comune di libertà.
Per l’apertura di tutte le frontiere!
Per la creazione di canali umanitari che mettano fine alle morti in mare!
Per un’Europa dei diritti sociali, accogliente e solidale!
#OpenBordersCaravan #SafeRoutes #NoBorders
Maggiori informazioni sulle partenze da Roma: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Pagina fb della carovana: Open Borders Caravan
>Ringraziamo le reti sociali di San Lorenzo che hanno messo a disposizione numerosi beni di prima necessità che porteremo al confine.
di Resistenze Meticce
Dinamo Press
28 09 2015
E' notizia di pochi giorni fa (il 19 Settembre per la precisione) la nomina del nuovo direttore della Specola Vaticana. Per chi non lo sapesse (molti, chi scrive in primis) la Specola Vaticana è l'osservatorio astronomico nonché centro di ricerca scientifica della Chiesa cattolica. Fondato nel 1891 da papa Leone XIII, l'osservatorio è stato sin da subito affidato alle amorevoli cure della Compagnia di Gesù, che della sua propensione a investire (a suo modo) nella ricerca non ha del resto mai fatto mistero.
Ciò che salta agli occhi non è tanto l'esistenza di un tale osservatorio, quanto piuttosto la particolare personalità che papa Francesco ha deciso di porvi alla direzione. Si tratta di padre Guy Consolmagno, gesuita per l'appunto, ma anche astronomo statunitense, diplomato presso il MIT e con un dottorato in planetologia. In parole povere un planetologo gesuita: epiteto quantomeno ambiguo che riesce a riassumere in sè numerose contraddizioni. Contraddizioni che lo stesso Consolmagno non ha paura ad affrontare direttamente: "Io sono la prova vivente che chiunque può essere, al tempo stesso, sia un fanatico che un cervellone - ammette in un'intervista di qualche tempo fa - sono infatti un fanatico nei confronti della scienza e un cervellone riguardo alla mia fede". Giunto al suo incarico attuale sull'onda di una brillante carriera accademica, il nostro Guy si è addirittura visto dedicare, quale altissimo riconoscimento da parte dell'International Astronomic Union, un asteroide, denominato appunto "4597 Consolmagno".
"La religione - afferma altrove - ha bisogno della scienza per tenere a distanza la superstizione e vicino a sé la realtà, per proteggersi dal creazionismo, che in fondo è una forma di paganesimo". Non si scompone neppure a parlare di vita extraterrestre: "Non possiamo pensare che Dio sia così limitato da aver creato esseri intelligenti solo sulla Terra. L'universo potrebbe benissimo contenere altri mondi con esseri creati dal suo stesso amore".
Dal rifiuto del creazionismo all'astrobiologia, non sembra esserci limite agli interessi di Consolmagno, che infatti (com'era del resto prevedibile) è un appassionato di fantascienza. Tra i suoi lavori spicca infatti un articolo dal titolo Guida di un astronomo gesuita per evitare la pessima fantascienza, in cui si diletta a recensire alcuni romanzi, ad esempio Guerra al grande nulla (A case of conscience) di James Blish.
Del resto la Compagnia di Gesù non è nuova a escursioni nel genere fantascientifico, per il quale ha rappresentato a volte una eccellente fonte di ispirazione. E' il caso de La stella (The Star), celebre racconto breve di Sir Arthur C. Clarke, insignito del premio Hugo a New York nel 1956, in cui - tra l'altro - fa la sua prima apparizione il noto monolite di 2001: Odissea nello spazio. Protagonista di tale racconto è appunto un gesuita, cappellano di bordo di una nave spaziale. Di ritorno da un lungo viaggio in un sistema il cui Sole è esploso in una supernova, questi trova le tracce di un'antica e meravigliosa civiltà, estinta in seguito all'esplosione della sua stessa fonte di vita. Le proporzioni della tragedia si fanno però insopportabili, soprattutto per lui, quando scopre che la supernova è stata vista sulla Terra, una notte di 2000 anni fa, per annunciare la nascita di Cristo a Betlemme.
Che i gesuiti, oltre a nutrire fin dalla fondazione dell'ordine un forte interesse per la scienza, accompagnassero le prime missioni di esplorazione scientifica, giungendo nei più remoti angoli del pianeta, è noto. Questo sulla Terra; ma nello spazio? Secondo le ultime previsioni della NASA un equipaggio umano dovrebbe giungere su Marte entro il 2030. Ci sarà anche un gesuita in quell'equipaggio? E se sì, troverà sul pianeta rosso tracce di quell' "amore di Dio in altri mondi" di cui ci parla Consolmagno?
di Marco Petruccioli