Il Manifesto
16 06 2015
Diciannove antiabortisti rinchiusi in una piazza assolata a pregare e a denunciare, in completa solitudine, il «massacro di 6 milioni di feti». In giro per la città le attiviste e gli attivisti della Favolosa colazione, rete di associazioni e collettivi che ha deciso di accogliere la veglia cattolica con una manifestazione colorata e ironica, a colpi di «frivolezze tattiche» e slogan dissacranti. Parola chiave su twitter: #Moltopiùdi194. Segno che chi ha sfilato per le vie di Bologna considera la legge sull’aborto un perfettibile punto di partenza, non certo di arrivo.
«Super vagina combatte per l’autodeterminazione», recitava un cartello portato in piazza da una ragazza. Perché se è vero che per l’associazione cattolica anti-aborto «No194» ieri a Bologna si sono presentati solo in 19, è anche vero che c’è ancora molto da fare per rendere reale il diritto all’autodeterminazione quando si parla di scelte affettive, sessuali e riproduttive.
A cominciare dal problema dell’obiezione di coscienza, negli ospedali così come nelle farmacie. Per questo il corteo della Favolosa Coalizione ha fatto tappa di fronte a molte farmacie del centro città. «Siamo state fortunate, questa volta nessuno ci ha negato la pillola dei 5 giorni dopo. Ma sappiamo benissimo che non sempre le cose vanno così». E poi ancora la richiesta di potenziare i consultori, di vietare l’ingresso ai volontari pro vita negli ospedali e di eliminare non la legge 194, che dal 1978 disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza, ma l’articolo 9 di quella stessa legge, poche righe che hanno aperto la porta all’obiezione di coscienza dei medici. «Aborto libero, gratuito e sicuro», questo lo slogan delle manifestanti in marcia dietro lo striscione fuxia di apertura del corteo: «Autodeterminate oltre il 194%».
In piazza il collettivo queer e transfemminista Smaschieramenti, il circolo Arcigay Il Cassero e poi a seguire Tpo e Làbas, esponenti di Sel e tanti altri gruppi cittadini. Un corteo che ha ignorato la veglia dei No194, evitando così il confronto muscolare con gli oltre 300 agenti a difesa degli ultracattolici, e ha invece preferito vagare per il centro città per comunicare il più possibile con i bolognesi. Senza però rinunciare ad alcuni attacchinaggi di fronte alla sede dalla Curia e all’Istituto Veritatis Splendor, luogo dove si tengono corsi che affrontano ad esempio il tema dell’omosessualità nei suoi «aspetti medici ed etici». «In piazza ci siamo andate non solo per difendere la legge 194 – ha spiegato Barbara, attivista di Smaschieramenti – vogliamo anche richiamare l’attenzione sulla contro riforma catto-fascista che qualcuno sta provando a imporre sulla questione del genere».
I 19 antiabortisti invece sono rimasti in piedi a pregare per ore. Un flop se si considera l’attenzione mediatica nata attorno a quella che era stata annunciata come una «preghiera nazionale». Di fronte ai preganti un crocifisso con raffigurati dei piccoli bambini insanguinati, una bibbia, l’immagine della Madonna. I 19 sono riusciti anche a litigare fra di loro. Un signore piuttosto anziano ha tentato di spiegare il suo punto di vista sul diritto alla vita dell’embrione e l’organizzatore della veglia l’ha subito allontanato. «Non è nemmeno a favore del referendum contro l’aborto», è stata la giustificazione.
«E se nascesse frocio?». Quando la domanda che campeggiava su uno dei cartelli della Favolosa coalizione è stata rivolta ai No 194, la risposta è arrivata subito. «Sono persone che si possono curare, ci sono delle ottime cliniche a cui rivolgersi», si è lasciato sfuggire un pregante violando la regola del silenzio con i media imposta dagli organizzatori. «Anche gli zoppi possono imparare a camminare. Bisogna aiutare quei bimbi a vivere», ha aggiunto una sorridente suora paolina mentre staccava uno a uno i cartelli appesi dalla Favolosa coalizione di fronte alla sede della Curia.
Commonware
15 06 2015
Da un mese, a Bologna, ci sono cinque persone costrette in casa, agli arresti domiciliari, in attesa di processo. Questo tempo di attesa, a oggi, non è stato quantificato.
Nessuna di queste persone è sospettata di aver ucciso qualcuno. D’altronde – si dovrebbe pensare – se la procura di uno Stato di diritto ricorre a una misura di questa portata, che ti sottrae preventivamente la libertà di movimento per un tempo indefinito, e che di fatto ti giudica meritevole di pena prima ancora di qualunque processo, difesa o condanna, è probabilmente perché hai ucciso qualcuno o perché, nella migliore delle ipotesi, hai messo altre persone nella condizione di aver paura della tua libertà, perché hai attentato gravemente alla loro vita, o alle condizioni e alle strutture, materiali e immateriali, da cui la vita dipende.
È importante non abbandonare l’idea che quel probabilmente debba essere assai prossimo a un certamente, in uno Stato di diritto, e che debba essere supportato da ricostruzioni verosimili dei fatti e da testimonianze attendibili. Non è qui in questione, al momento, se la detenzione costituisca o meno la risposta più adeguata a un reato, quale che sia; a essere in questione, semmai, è che nessuno vacilli sulla salda convinzione che una detenzione preventiva a tempo indeterminato non possa costituire la risposta dello Stato a un’azione di contestazione politica nonviolenta contro il suo governo.
Francesco Bedani, Ivan Bonnin, Francesca Ioannilli, Gigi Roggero e Parvis Jashn Tirgan, tutti del collettivo Hobo, sono reclusi in casa con l’accusa di aver opposto resistenza, lo scorso 12 dicembre, alle manganellate di alcuni agenti di polizia incaricati di stabilire chi potesse accedere e chi no all’interno di uno spazio pubblico, quale è la sede dell’Università, ad ascoltare la “prolusione” (così il sito dell’Università di Bologna) del ministro Marianna Madia, per l’inaugurazione dell’anno accademico della Scuola di specializzazione in Studi sull’Amministrazione Pubblica.
Gli arrestati sono tra coloro ai quali non è stato consentito l’accesso, in modo violento, come testimonia questo video. Qualora il loro diritto di accedere a uno spazio pubblico fosse stato rispettato, i contestatori avrebbero probabilmente appeso in aula magna lo striscione che avevano con sé, recante la scritta No Jobs Act – No #buonascuola, avrebbero fatto propaganda contro il governo e avrebbero preso parola pubblicamente al fine di esporre le ragioni del dissenso contro le politiche neoliberiste adottate dal governo. Tutte cose analoghe a quanto già fecero un paio di mesi prima, in occasione di un incontro pubblico con il rettore e con il sindaco, in Sala Borsa. Tutte cose che coincidono con quella libertà politica tutelata e sostenuta da uno Stato di diritto.
Rendere giustizia agli studenti e militanti di Hobo impone tuttavia di non limitarsi a fare l’apologia dello Stato di diritto e di una libertà repressa ancor prima della sua espressione e poi reclusa in via cautelare a distanza di cinque mesi, nell’arco dei quali nessuna indagine è stata fatta. È probabile che ci si possa sentire ancora disorientati dalla sfilata dei capi di Stato e di governo per le strade di Parigi, di qualche mese fa, in difesa della libertà di opinione. Occorre però non dimenticare che solo gli Stati e i governi – rappresentati dalle stesse persone che sfilavano – possono minacciare una simile libertà: nessun altro fantasma. Questo perché solo gli Stati possono revocare ciò che essi hanno concesso.
E questa minaccia è ciò che precisamente vediamo all’opera, infatti, nella Ley de Seguridad Ciudadana (la cosiddetta ley mordaza) varata dal governo spagnolo, pochi giorni dopo i disordini di Bologna: una legge che conferisce al concetto di “sicurezza pubblica” un potere e un significato arbitrario e illimitato, e sancisce legalmente il passaggio gentile allo stato di polizia. Ma tracce di questa minaccia sono rinvenibili anche nei reiterati tentativi, da parte del governo tedesco, di restringere il diritto di sciopero; e non si possono non leggere in queste direzioni le misure detentive cautelari adottate nei confronti di Luca Fagiano e Paolo Di Vetta, esponenti dei Movimenti di Lotta per la Casa, che il 12 aprile scorso hanno manifestato a Roma contro le pene severe per chi occupa edifici vuoti o dismessi, sancite dal decreto Lupi – o come quelle adottate nei confronti di Loris Narda, anch’egli di Hobo, per il quale è stato riesumato il “divieto di dimora” a Bologna e in tutta la provincia: una misura molto in voga durante il fascismo, introdotta dal Codice Rocco per tutelare le donne dai mariti violenti.
Le Sentinelle in piedi e i movimenti pro life potranno forse dissentire, ma a essere in pericolo non è la libertà d’opinione, genericamente intesa: per tutelare la loro libertà, e la finzione che questa valga per tutti egualmente, vengono infatti mobilitati interi apparati di polizia. Trecento erano gli agenti ieri a Bologna, in piazza San Domenico, a difesa di diciannove antiabortisti dell’associazione No194. Il processo di «de-democratizzazione totale», per dirla con Wendy Brown, quel processo mediante il quale la razionalità neoliberale erode ogni acquisizione democratica e neutralizza ogni forma di democrazia a venire, squalifica semmai la possibilità di esprimere una precisa forma di opinione, e cioè l’opinione contraria al modo di governo antidemocratico neoliberista.
A essere seriamente in pericolo sono quelle vite esposte e precarie che alle politiche predatorie e criminali di precarizzazione, di annientamento, di morte, contrappongono la riappropriazione di spazi, tempi, risorse, saperi, affetti. Dove non arrivano la depressione, l’isolamento e il suicidio a neutralizzare queste eccedenze, dove il desiderio dei corpi indocili assume la forma dell’insubordinazione, arrivano la detenzione cautelare, il divieto di dimora, gli omicidi di Stato.
* Pubblicato su Alfabeta2.
Huffington Post
12 06 2015
Noi donne non nasciamo mamme: il fatto che decidiamo di diventarlo non significa che stiamo assolvendo a un nostro dovere. Mai nessuno mi convincerà del contrario. La maternità è una libera scelta, una scelta che ci siamo conquistate il 22 maggio del 1978 quando la legge 194 legalizzava l'aborto. Quel giorno siamo tornate ad essere persone e non più prolifiche conigliette, buone ad aumentare il numero di abitanti qui, sulla faccia della terra. Quel giorno, che ogni anno passa sotto silenzio perché uno Stato che vuole tra le sue radici una religione rifiuta di essere laico, abbiamo vinto solo una battaglia. Abbiamo conquistato una trincea, ma la guerra, quella vera, non è ancora finita.
E non lo è ogni volta in cui, un manipolo di astiosi guardiani della vita (presunta e altrui), si ritaglia uno spazio, tra le larghe maglie del Diritto, per manifestare la propria indignazione davanti alle porte di un ospedale dove le donne vanno, lecitamente, ad abortire.
Perché chi se ne frega se un ospedale è un luogo di cura, per chi ancora oggi ritiene che l'aborto sia la negazione della vita, non del suo potenziale, un ospedale è solo un palcoscenico sul quale salire per una maratona di preghiera che tocchi il cuore di quelle empie femmine che non vogliono diventare madri. Ho più fede nella ragione che nella religione, per questo sono convinta che la manifestazione che gli antiabortisti italiani hanno organizzato a Bologna (9 ore di Ave Maria e Pater Noster davanti all'ingresso dell'Ospedale Maggiore), sfiorerà il ridicolo e non scalfirà il buon senso. Nove ore a sgranare rosari per solleticare le coscienze e convincerle dell'opportunità di un referendum abrogativo che rispedisca l'Italia nel Medioevo possono al massimo essere folkloristici. Ma le nove ore di preghiera degli antiabortisti non fanno ridere. Per niente.
Sono una minaccia e non tanto perché io veda in questa manifestazione una reale insidia al nostro diritto di scegliere se diventare mamme, quanto perché i tentativi di discutere questo diritto sono un attacco alla nostra ancora debole libertà. Che è debole proprio perché è continuamente messa in discussione, attaccata e ostacolata e ci costringe ad alzare muri di rabbia per riuscire a proteggerla. Non basta la scienza a dimostrare l'assurdità di certe ideologiche convinzioni. Non basta in un Paese in cui esistono medici obiettori di coscienza che si rifiutano di prescrivere la pillola abortiva violando quell'antico, e laico, giuramento che hanno pronunciato il giorno in cui hanno indossato un camice bianco.
È impossibile percorrere la strada dei diritti civili, della loro auspicabile estensione a tutti, se ogni occasione è buona per discutere quelli già conquistati. La religione, qualunque essa sia, non può avocare a sé il ruolo di decidere sull'opportunità delle Leggi di uno Stato. Eppure trova sempre uno spazio in cui insinuarsi, trova sempre fedeli pronti a infilarsi in una sala operatoria e gridare a una donna che è una immonda peccatrice. Ma noi non siamo peccatrici se rifiutiamo la maternità, non lo siamo più di coloro che pregano per una redenzione che non ci riguarda. Non abbiamo bisogno di essere redente per il semplice fatto che quella redenzione non ci interessa. E nemmeno ci interessa il giudizio di chi non si arrende al nostro diritto di scelta: non saranno i rosari sgranati da un esercito di anacronistici fedeli a farci cambiare idea. Il prezzo che pagheremo a noi stesse, alla memoria di quella sala operatoria, sarà molto più alto di quello del mancato Paradiso che voi ci assicurate. Sarà il pensiero che ci coglie, anche a distanza di anni, e ci si pianta nel cuore: "E se lo avessi tenuto, come sarebbe stato adesso?". Questo è il tributo che pagheremo per la nostra scelta, ed è più che sufficiente. Non serve la pubblica riprovazione, la minaccia dell'Inferno.
Inferno e Paradiso sono una promessa meno reale dell'urgenza che prova una donna che non vuole essere mamma e chiede di essere tutelata da quella legge che la protegge. Una legge scritta col sangue di tutte le donne morte di emorragia quando l'unica strada per l'aborto conduceva a un ambulatorio improvvisato e all'avidità di un chirurgo. La 194 è roba nostra, di noi donne laiche che siamo state così generose da averla voluta per tutte, anche per voi che ci assicurate l'eterna dannazione. Ed è per questo che non vi permetteremo di toccarla, non vi lasceremo appoggiare i vostri rosari sulle nostre pance, non acconsentiremo a fare entrare le vostre Bibbie nelle cabine elettorali. Lo faremo anche per voi, per proteggere la vostra libertà. Perché noi abbiamo un cuore laico, voi avete solo la fede.
Deborah Dirani