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"Soffocata a occidente dall'enorme a zona industriale (centro siderurgico Italsider) e a oriente da una sgangherata espansione edilizia, Taranto offre oggi al visitatore uno spettacolo raccapricciante". ...

Articolo Tre
08 05 2014

Come sono cambiati gli animali dei boschi e delle foreste vicine a Chernobyl a 28 anni dall’incidente nucleare? Alla domanda risponde Timothy Mousseau, ricercatore e biologo della University of South Carolina, che armato di rivelatore di radiazioni gira nei boschi vicino a Novoshelpelychi, in Ucraina.

Dopo quasi tre decenni dal disastro nucleare, i livelli di radiazioni, che si riscontrano nelle foreste, sono ancora ben oltre la norma; basti pensare che passare 10 giorni nei boschi attorno alla centrale nucleare, si è esposti a livelli di radiazioni pari a quelli che un'altra persona riceverebbe in un interno anno passato negli Stati Uniti. L’esposizione prolungata alle radiazioni può causare tumori o mutazioni genetiche, spiega Mousseau al New York Times: "Questi livelli di esposizione cronica sono circa quelli che una specie può tollerare prima di mostrare sintomi, in termini di prospettiva di vita, tumori e mutazioni genetiche".

Ma se, nelle aree più radioattive, il numero di alcuni specie di insetti è diminuito, alcune specie di uccelli, al contrario, sono riuscite ad adattarsi all'ambiente ostile producendo nel proprio organismo più antiossidanti, sostanze che proteggono dalle mutazioni e ammortizzano i danni genetici. Gli uccelli si adattano alle radiazioni e si evolvono se vogliono sopravvivere.

Ad interessare particolarmente Mousseau sono i ragni e le loro ragnatele. Secondo lo scienziato, l’esposizione prolungata alle radiazioni potrebbe aver alterato la capacità dei ragni di tessere ragnatele, creando schemi disordinati.

Il ricercatore ha eseguito rivelazioni di radioattività anche a Fukushima, notando cambiamenti e adattamenti simili a quelli Chernobyl e spiega: "Trovare lo stesso tipo di risposte biologiche in entrambi i posti rafforza l’ipotesi che siano proprio le radiazioni ad indurre gli impatti negativi".

La Republica
06/05/2014

 

Stop agli scavi. Nella cava di Cerignola dove sono cominciati oggi i rilievi a caccia di rifiuti interrati è affiorato materiale radioattivo. Dal terreno è emerso in superficie anche olio. I carabinieri del Nucleo operativo ecologico, su indicazione del consulente, hanno interrotto allora gli scavi in quella zona perché non erano dotati di tute protettive adatte e si sono spostati in un'altra area. L'ampia cava è stata sequestrata nell'operazione "Black Land" a Francesco Pelullo, ritenuto dagli investigatori uno dei proprietari di terreni messi a disposizione per sversare i rifiuti.

I militari stanno da giorni scandagliando numerose cave abbandonate nella provincia che sarebbero state utilizzate per 'tombare' un'enorme quantità di rifiuti speciali e pericolosi provenienti dalla Campania. I rifiuti tombati illegalmente vengono fuori dal ventre della terra in tutta la Puglia. Dopo le 500.000 tonnellate scoperte ad Ordona, sempre nel Foggiamo, il 23 aprile, materiali pericolosi anche di tipo ospedaliero sono stati trovati ieri dai carabinieri del Noe di Bari ad Apricena. In una cava privata di sei ettari sono stati interrati rifiuti provenienti dalle province di Salerno e Caserta, come quelli scoperti a Cerignola, dove oggi si è tornato a scavare nell'ambito dell'inchiesta della Dda barese sul traffico illecito Campania e Puglia gestito dalla camorra, che ha portato all'arresto di tredici presunti responsabili nelle settimane scorse. Si tratta di amministratori, soci e autotrasportatori di società che lavorano allo smaltimento e al trattamento dei rifiuti.

Nel sito di Ordona, i militari hanno trovato ogni genere di rifiuti in una cava non ancora colma portati fin dal 2013 da almeno 8 camion al giorno. La cava sondata ieri ad Apricena era invece completamente piena di materiali, coperta di terreno e mimetizzata. Secondo quanto accertato dagli investigatori, i rifiuti campani seguivano due percorsi distinti finendo in discariche illegali dislocate tra Puglia, Basilicata, Molise e Campania. Un commissione tecnica composta da Arpa Puglia e Cnr, seguendo di pari passo l'avanzare delle ruspe, dovrà accertare l'impatto ambientale e gli eventuali rischi per la salute connessi alla presenza di rifiuti anche in zone vicine ai corsi d'acqua.

Oggi si continua a scavare anche in Salento, dove il Noe sarà in altri tre siti nella zona di Tricase, dopo che nelle scorse settimane sono state scoperte discariche abusive a Patù, Scorrano, Tricase e Alessano, le ultime due sul tracciato della nuova statale 275 Maglie-Leuca. Inoltre, un aereo della guardia di finanza, dotato di sensori iperspettrali che tramite rilevatori termici individuano materiali estranei nel terreno, dovrebbe arrivare a Lecce ed essere utilizzato nell'area tra Supersano, Scorrano e Casarano, dove il pentito della Scu Silvano Galati indicò la presenza di rifiuti tombati.

Stando a quanto emerso nelle ultime settimane, anche il Basso Salento è infatti un immenso cimitero di spazzatura nascosta nelle cave, sotto gli ulivi, in discariche aperte dai Comuni e poi chiuse da chissà chi. Carabinieri e finanzieri, coordinati dal pm Elsa Valeria Mignone e dal procuratore aggiunto Ennio Cillo, stanno verificando testimonianze e incrociando i dati con le mappe e le documentazioni
già acquisite in alcuni Comuni. Al vaglio anche la posizione degli ex sindaci, rei di non aver saputo gestire l'emergenza discariche e forse anche di avere utilizzato in maniera non del tutto trasparente i fondi per le bonifiche. Di pulizia, a quanto pare, in quella parte di Salento finora ne è stata fatta poca. E lo dimostrano anche segnali allarmanti che giungono dai pozzi. Prima da quelli di Tiggiano, dove sono state riscontrate concentrazioni di diossina superiori alla norma, e poi quelli di Neviano e Seclì, dove è emersa una preoccupante presenza di Pcb anche nei pozzi dell'Aqp, sui quali a fine maggio saranno effettuate le analisi dall'Arpa.

 

 

Aree verdi di Roma, nessuno le vuole

  • Giovedì, 17 Aprile 2014 09:30 ,
  • Pubblicato in LA STAMPA

La Stampa
17 04 2014

È la città con più alberi e prati d’Italia, ma la maggior parte dei parchi versa in situazioni di abbandono e il Comune lamenta: “Non ci sono risorse”

A Roma ci sono più alberi e prati che palazzi. Tra i comuni italiani con oltre 250mila abitanti non esiste una città con la stessa quantità di parchi e riserve. Ogni romano ha 130,7 metri quadrati di natura a disposizione, molto più dei palermitani che ne hanno 77,8 o dei catanesi con 73,4. Nessun confronto con tutte le altre città.

Si fa fatica a immaginarlo quando si è imbottigliati nel traffico del Grande Raccordo Anulare o circondati dai palazzoni tutti uguali della Tuscolana ma i due terzi dell’intero territorio di Roma sono protetti, in totale si tratta di 86 ettari. E all’interno del Gra vivono 5200 specie di insetti, il 14% delle specie presenti in Italia, il 27% delle specie di anfibi in Italia, il 32% degli uccelli nidificanti in Italia e il 30% di mammiferi italiani.

Che cosa se ne facciano i romani dei quasi 131 metri quadrati di natura a loro disposizione è una storia triste da raccontare. Ci sarebbe di che vivere di natura e turismo e cultura per i secoli a venire. Invece quello che si nasconde sotto alberi secolari o tra i cespugli della capitale è spesso inguardabile. Rifiuti di ogni tipo, dai cumuli di mattoni e piastrelle lasciati da chi non sapeva dove abbandonare i resti di un lavoro di ristrutturazione, ai divani, le carcasse di auto rubate e bruciate, montagne di pneumatici da riciclare al momento opportuno, interi campi da calcetto in materiale sintetico smantellati.

Come se non bastasse, una delibera della giunta della regione Lazio ha anche chiesto la cancellazione dell’ente Roma Natura che gestisce la gran parte dei parchi e delle riserve della capitale, e vuole trasferire tutto il verde al Campidoglio. Dal Campidoglio l’assessore all’Ambiente Estella Marino risponde che, sì, grazie del regalo ma senza risorse non se ne parla.

Nessuno fa carte false per occuparsi di parchi e riserve di Roma, insomma. Tanto verde sembra quasi un peso, uno di quei doveri di famiglia che si ereditano e che si rispettano perché è giusto. Ma, se si potesse, si farebbe altro. Non è facile gestire un parco come quello dell’Appia Antica dove c’è un guardiaparco ogni 210 ettari di territorio e per ogni ettaro si possono spendere 104 euro. Più difficile ancora doversi occupare di uno dei parchi che fanno capo a Roma Natura (Monte Mario, valle dell’Aniene, Litorale Romano etc....) dove le risorse sono ridicole, c’è un guardiaparco ogni 410 ettari e per ogni ettaro si spendono meno di 15 euro.

Flavia Amabile


Esiste invece, l'infermità della terra che l'uomo ha causato e sta accentuando: anche se è caduta fuori dal discorso pubblico, anche se è divenuta invisibile come certi malati incurabili che non vogliamo guardare da vicino, e per questo releghiamo in ospizi lontani. ...

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