Informarexresistere
04 12 2013
Una vasta marea nera è apparsa sul fiume e sul mare vicino ad un impianto gestito dall’Italiana Eni nel delta del Niger, un’area martirizzata dall’estrazione di idrocarburi ad opera dei colossi petroliferi mondiali. Ignote le cause, ignota l’entità dello sversamento: le comunità locali riferiscono di averlo notato già il 20 novembre e di averne seriamente risentito.
La principale fonte relativa a questa vicenda è un articolo di Reuters. Dice che la vasta marea nera si è manifestata vicino all’impianto nell’area di Brass gestito da Eni, all’interno del delta del Niger: si è spinta nel fiume, nelle paludi e poi nell’oceano Atlantico.
A quanto riporta Reuters, la versione di Eni è che una fuoriuscita di petrolio in mare è stata notatail 27 novembre, durante il caricamento di una nave cisterna. Le operazioni sono state interrotte finchè non si è appurato che la nave non era danneggiata e non perdeva. Il portavoce dellacomunità di pescatori di Bayelsa (lo Stato della Nigera di cui Brass fa parte), scrive ancora Reuters, riferisce invece di aver notato uno spesso velo di petrolio già il 20 novembre sul fiume Niger, e che il fiume stesso è pieno di petrolio.
La popolazione del delta del Niger vive di pesca e dipende dal fiume. L’area, se non fosse per il petrolio, sarebbe una sorta di enorme Venezia dove foreste e tesori naturali prendono il posto delle bellezze architettoniche edificate dall’uomo. In realtà il delta del Niger e la sua gente sonoavvelenati da ricorrenti perdite di petrolio – se ne contano centinaia ogni anno – dovute a sabotaggi per rubare il petrolio dagli oleodotti (la gente è poverissima) e alle cattive condizioni di manutenzione degli oleodotti stessi.
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Post scriptum. Io (a differenza di altri) non mi arrabbio se qualcuno scrive sugli argomenti di cui ho già trattato e-o attinge informazioni da questo blog. In questi casi il bon ton del web suggerisce di mettere un link al mio post: ma si tratta di buona educazione e ho constatato quanto essa sia sconosciuta.
Mi scoccia però quando si pubblicano post retrodatati per farli sembrare precedenti al mio e poi si va a dire in giro che ho copiato. Se capita di nuovo non mi limito a scocciarmi. Chi ha orecchie per intendere, anche stavolta intenda e magari se le sturi anche
http://blogeko.iljournal.it/vasta-marea-nera-sul-delta-del-niger-vicino-ad-un-impianto-gestito-dalleni/78678
Il Corriere della Sera
19 11 2013
Sarà liberata su cauzione Iekaterina Zaspa, medico di bordo del rompighiaccio Arctic 30 e tra i 30 attivisti di Greenpeace autori del blitz contro una piattaforma petrolifera artica di Gazprom: lo riferisce la tv in lingua inglese «Russia Today». Lo ha deciso il tribunale, respingendo la richiesta dell’accusa che chiedeva la proroga della detenzione.
GLI ALTRI ATTIVISTI - Intanto il tribunale di San Pietroburgo, su richiesta del comitato investigativo, ha prorogato di tre mesi fino al 24 febbraio la detenzione preventiva per l’australiano Colin Russel, uno dei 30 attivisti di Greenpeace in cella dal 19 settembre per il blitz contro una piattaforma petrolifera artica di Gazprom. Analoghe richieste sono state avanzate per gli altri militanti. Oggi il tribunale esaminerà le richieste riguardanti altri sei attivisti, tra loro non c’è l’italiano Christian D’Alessandro.
Il Corriere della Sera
13 11 2013
Le coste invase dalla marea nera. Gli uccelli con le piume impastate di petrolio. I delfini spiaggiati. Il relitto della nave che aveva causato quel disastro spezzata in due. Sono passati 11 anni dal naufragio della Prestige, la petroliera che, il 13 novembre del 2002, affondò al largo della costa della Galizia, in Spagna. Le immagini di quel disastro fanno ancora orrore. Quel giorno finirono in mare 77 mila tonnellate di greggio, causando il più grave disastro ambientale d’Europa. Ma la catastrofe, almeno per ora, dovrà rimanere senza responsabili.
LA SENTENZA — «Nessuno può dire esattamente quali siano le cause che hanno fatto affondare la nave», ha detto il giudice Juan Luis Pia mercoledì, leggendo la sentenza nell’Aula del tribunale della Coruña, al termine di un processo durato 9 mesi. Assolvendo il capitano della nave Apostolos Mangouras, il capo macchinista Nikolaos Argyropoulos e l’ex direttore generale della Marina mercantile spagnola José Luis Lopez-Sors per crimini contro l’ambiente, «danni alle aree naturali protette» e «danni causati dal naufragio». Condannando però Mangouras a nove mesi di reclusione per essersi rifiutato di far rimorchiare la nave (non andrà in carcere per motivi d’età, ha 78 anni). Seconda la sentenza, l’incidente che mandò a picco la supernave fu causato semplicemente da un «cattivo stato di manutenzione e conservazione». La sentenza riconosce invece la compagnia assicuratrice del Prestige responsabile dei danni civili.
LE RICHIESTE DELL’ACCUSA - Durante il processo il comandante e l’armatore della megapetroliera avevano accusato il governo spagnolo di aver provocato la catastrofe ordinando alla nave, ormai in difficoltà, di allontanarsi dalla costa. Lopez-Sors si era difeso sottolineando come fosse stato ritenuto meno rischioso lasciare che affondasse al largo per minimizzare i danni ambientali.
L’INCIDENTE - Il 13 novembre del 2002, la petroliera, salpata da San Pietroburgo e diretta a Gibilterra, si rovesciò al largo della Galizia. Dopo essere rimasta per sei giorni in balia delle onde, fu spinta al largo, dove affondò sei giorni dopo, il 19 novembre, a 250 chilometri dalla costa. Le 77mila tonnellate di combustibile che si portava in grembo finirono in mare, devastando oltre 1,700 chilometri di litorale in Francia, Spagna e Portogallo.
Il Fatto Quotidiano
11 11 2013
Un durissimo report di Amnesty International intitolato “Cattiva Informazione” accusa le compagnie petrolifere, in particolar modo Agip e Shell, di falsificare i documenti riguardanti le fuoriuscite di petrolio nel Delta del Niger. In buona sostanza, scrive Amnesty, queste compagnie attribuiscono le perdite dovute alla corrosione dei loro oleodotti a inesistenti sabotaggi o tentativi di furto da parte delle popolazioni indigene. Un modo per evitare di pagare risarcimenti alla popolazione locale in quello che è uno dei maggiori danni all’ecosistema perpetrati oggi sulla terra. E anche il sistema di monitoraggio e controllo dei dati è assolutamente da cambiare. Infatti, scrive Amnesty, le indagini sono condotte da società dipendenti delle stesse aziende che si proclamano vittime dei furti e dei sabotaggi, e non, come dovrebbe essere per legge, da organizzazioni indipendenti. Sia Shell che Eni (proprietaria di Agip) respingono le accuse al mittente, sostengono non siano comprovate a sufficienza e invitano la prestigiosa Ong a non intralciare il loro lavoro.
Il Delta del Niger è uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo, oltre che uno dei posti più inquinati e inquinanti del pianeta (basti pensare che le trivellazioni petrolifere causano la più grande emissione dei famigerati gas serra) e da quarant’anni è teatro di sanguinose battaglie tra i contractor, assoldati dalle compagnie per proteggere i loro uomini e macchinari, e le popolazioni indigene. Vedi la truce impiccagione del poeta Ken Saro-Wiwa, per cui Shell pagò una cospicua somma in tribunale “non perché colpevole ma per facilitare la pacificazione”. In questo lembo di terra, scrive Amnesty nel report, “intere popolazioni sono condannate a morte, e flora e fauna sono altresì condannate alla distruzione a causa dell’inquinamento”. Un inquinamento causato anche dalle costanti fuoriuscite di petrolio, come hanno confermato le Nazioni Unite solo due anni fa.
“Ma il punto – spiega Amnesty – è che il Delta del Niger è l’unico posto al mondo dove le compagnie ammettono che l’inquinamento è prodotto da loro, e allo stesso tempo dicono che non è per colpa loro. Quando in un qualsiasi altro posto dovrebbero fornire adeguate spiegazioni”. Nel caso di Shell, prosegue Amnesty, “i loro rapporti sull’impatto ambientale sono molto spesso falsi, dicono che le indagini sulle perdite di materiale tossico sono impeccabili e non è vero, sostengono che l’ambiente è stato ripulito e mentono, e si nascondono poi dietro una trasparenza inesistente, dato che controllano tutte le informazioni disponibili e decidono quali rendere pubbliche e quali no. Non c’è nessuno che possa quindi stabilire cosa sia vero e cosa sia falso dei dati che Shell diffonde, data anche l’instabilità sociale dell’area. In definitiva, quello che dice Shell a proposito del suo impatto ambientale nel Delta del Niger non può essere creduto”.
La risposta del gigante petrolifero è che invece le indagini sono condotte da società indipendenti, e che la principale causa d’inquinamento sono i frequenti sabotaggi degli oleodotti da parte dei ladri di petrolio. E qui veniamo ad Agip, che secondo il report nel solo 2012 ha denunciato l’incredibile cifra di 474 perdite isolate di petrolio, e poi ha promesso un investimento di oltre 200 milioni di dollari nella messa in sicurezza degli oleodotti per gli anni 2013-15. Intervenuto in un programma della BBC, Ciro Pagano, capo delle operazioni Agip in Nigeria, ha assicurato che la società paga puntualmente i danni alle popolazioni indigene e ha confermato che la causa principale dell’inquinamento sono i cosiddetti ladri di petrolio. Quando gli è stato fatto notare come Agip, pur operando in un’area decisamente più piccola, abbia denunciato quasi il doppio delle fuoriuscite di Shell, e come se dal 2010 sono state denunciate oltre 1500 perdite può sembrare tardivo l’investimento promesso per gli anni 2013-15, Pagano ha risposto che riferirà agli azionisti del problema.