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Lo sterminio dei pesci nel lago inquinato

  • Giovedì, 07 Novembre 2013 09:05 ,
  • Pubblicato in Flash news

Giornalettismo
07 11 2013

L’inquinamento cinese continua a devastare flora e fauna. L’ultimo caso a Shenzhen, nella provincia del Guangdong, dove migliaia di pesci che vivevano in un lago, sono stati trovati morti a causa delle sostanze nocive sversate nelle acque da vicini stabilimenti industriali.

PUZZA NAUSEABONDA – La macabra scoperta ha letteralmente lasciato di stucco gli abitanti della zona e qualche giornalista che ha provato a descrivere e ricostruire quanto accaduto. Il lago è apparso di colore giallo scuro, mentre insetti e mosche coprivano le tonnellate di pesce marcio, subito preda, tra l’altro, di gatti e uccelli. I testimoni raccontano che la puzza nauseabonda risulta percepibile anche a mezzo chilometri di distanza dal lago e rende assai difficile l’avvicinamento al luogo del disastro.

Uno dei presenti, ad esempio, ha dichiarato di aver avvertito senso di vertigini e vomito. A poco sembrano servire le maschere, insomma. Un operaio addetto alla rimozione dei pesci ai cronisti ha raccontato che l’acqua del lago si è sporcata ed è destinata a rimanere sporca a causa della scarsità di piogge e dei liquidi inquinati continuamente scaricati dagli stabilimenti poco distanti, nella maggior parte produttori di plastica. «Non riuscivo nemmeno a deglutire. Mi sentivo male. Ci sono almento 7 tonnellate e mezzo di pesci qui», ha spiegato.

IL PRECEDENTE – Lo sterminio dei pesci segue di poco un altro simile disastro. Nel mese di settembre infatti sono stati estratti da un lungo tratto (40 km) del fiume Fuhe, nella provincia di Jiangxi, circa 100 tonnellate di pesci morti, uccisi dalla grande quantità di ammoniaca rilasciata da un impianto chimico. E’ probabile che non si tratti degli ultimi casi.

In Cina gli ultimi tre decenni di crescita economica galoppante sono stati accompagnati da controlli inadeguati o del tutto inesistenti per l’industria, e, contemporaneamente, da leggi troppo lassiste.

Dario Ferri

La parola che cura

  • Mercoledì, 06 Novembre 2013 15:15 ,
  • Pubblicato in Flash news

Donne e altri
06 11 2013

da Leggendaria n.102 novembre 2013
“Noi, le libere donne del comitato di Cornigliano, ci battiamo per demolire uno dei monoliti della classe operaia: l’industria pesante, rumorosa e fetente, il mostro sputa fuoco, l’incudine e il martello all’ennesima potenza”. Era il 1988 e, a Cornigliano, quartiere industriale di Genova, il Comitato lanciava la sua sfida. Quelle donne, che nel corso degli anni sarebbero diventate via via più agguerrite, volevano vivere e lavorare senza fumi velenosi. Taranto è lì a ricordarci che tuttora il mostro sputa fuoco viene difeso perché da’ lavoro a migliaia di famiglie. Figuriamoci allora, quando Leila Maiocco e le altre assediarono le acciaierie genovesi per dire l’inaudito: ci si ammala di tumore polmonare per via delle polveri che troviamo sui davanzali e sul bucato, la salute della collettività viene prima del lavoro.

La scommessa era bonificare sia la fabbrica sia il quartiere e lottare tutti insieme operai, femministe, sindacato e partiti. Le libere donne di Cornigliano sono state le prime, in Italia, a vincere questa battaglia e Leila Maiocco lo racconta magistralmente in Passioni d’acciaio: nel 2002 le cockerie si spengono, i Riva, gli stessi di Taranto, a Genova rinunciano alla lavorazione a caldo nelle loro Acciaierie.

La guerra delle donne ai veleni si fa testimonianza, narrazione, poesia, romanzo, teatro, cinema. Succede anche a Casale Monferrato che si solleva contro la Eternit, la fabbrica che tra il 1906 e il 1986 ha prodotto un composto mortale di cemento e amianto. È Silvana Mossano a dare voce alle donne della sua città in Malapolvere. Ed è Laura Curino, a raccogliere il titolo e le storie di Silvana per portarle in scena, partecipe e tagliente. Una lezione di impegno civile e politico.

Troverete in questo speciale di Leggendaria dedicato al convegno dell’Aquila della Società italiana delle letterate (che ha lavorato con l’ateneo aquilano e l’associazione Donne TerreMutate) le tracce di molte scrittrici e pensatrici che hanno provato a curare la terra, l’aria, i fiumi, l’esilio, la smemoratezza. Dopo le guerre. Dopo le catastrofi. Dopo le speculazioni. Autrici che hanno urlato di rabbia oppure avvolto di parole pietose i paesaggi violati, come si fa con un corpo violato per strapparlo al buio.

Clara Cot è l’artista a cui, per il nostro convegno, abbiamo rubato l’immagine della donna che applica cerotti (o bende?) sulla crepa/ferita di un muro. Combinazione le matriarche di questa battaglia erano due partigiane: Tina Merlin, che scrisse contro la diga del Vajont prima del macello del 1963 e Laura Conti, che circa un decennio dopo, con il proprio lavoro di medico e con gli scritti, guerreggiò contro la nube tossica del reattore dell’Icmesa a Seveso.

Molte le invitate al nostro convegno. Storiche, scrittrici, registe, letterate naturalmente. Dal Canada abbiamo chiamato all’Aquila Anne Michaels – e nello speciale pubblicato su Leggendaria leggerete molto di lei – perché nei suoi romanzi racconta la devastazione di Varsavia, il massacro degli ebrei compiuto dal nazismo e la grande opera realizzata in Egitto per creare il lago Nasser: i templi di Assuan ricostruiti, perdono l’anima ma restano. Gli umani e i loro animali vengono invece deportati altrove e le piante muoiono. A cosa è servito ricostruire i templi?

Sappiamo da Italo Calvino che si può romanzare addirittura la speculazione edilizia. Lo scrittore magari riuscirà a conquistare nuovi militanti a una giusta lotta. In Rovina Simona Vinci redige un atto d’accusa alla devastazione edilizia compiuta dall’ecomafia narrando di un residence da costruire sulla strada Reggio-Parma. Terra agricola illegalmente resa edificabile, cemento carico di scorie velenose riciclate, enti pubblici corrotti e abitanti del residence travolti a uno a uno in questa storia violenta come un film dell’orrore.

La nostra scommessa per l’Aquila era proprio questa: cosa accade se la scrittura si allunga verso la catastrofe? E la parola può curare e cambiare le cose? A leggere gli articoli di questo speciale si direbbe di sì. Le voci, il ricordo, la memoria ricostruiscono paesaggi interiori, strappano le macerie al loro silenzio, ridanno vita e forma al vivente. Chi salverà il piccolo, mite delfino d’acqua dolce dall’inquinamento del delta del Gange? Piya, la biologa marina che Amitav Ghosh fa navigare intrepida nella pagine di Il paese delle maree. Chi potrà far risorgere Pristina, “la città che vomita se stessa” dopo la mattanza dei maschi e lo stupro delle donne? Le tre incancellabili kosovare di Piccola guerra perfetta dell’albanese Elvira Dones che ci conducono sulle vie di Pristina sotto le bombe della Nato.

“Dietro i sereni vasetti di fiori, dietro le teiere, i tappeti, c’è l’altro volto vero della casa, il volto atroce della casa crollata. Non guariremo più di questa guerra”, dice nel 1946, disperata, Natalia Ginzburg nel racconto Il figlio dell’uomo. Ma continuerà a scrivere fino alla fine, mai arresa. Tanto da sfidare i magistrati che hanno sottratto una bimba adottata illegalmente. I suoi genitori illegali la amano, protesterà lei dalle colonne del Corriere della sera.

Dopo il terremoto dell’Emilia Marinella Manicardi – che sarà all’Aquila con noi e che ha scritto insieme con altri Alzando da terra il sole – nel suo racconto va nella zona rossa di Mirandola. Dietro la facciata di case, palazzi e chiese non c’è più nulla. Allora, credo per salvarsi, scrive ancora: “È crollato il tempo. Me la sono inventata io la mia infanzia felice a Mirandola?”.

Terra e parole: Donne riscrivono paesaggi violati
Convegno nazionale SIL
8-10 novembre 2013 – L’Aquila

Leggendaria

Il Fatto Quotidiano
16 10 2013

I tralicci dell’elettrodotto stanno piantati nel pratone di periferia. Venti metri in linea d’aria c’è un palazzo. Poco più in là un altro. Ai piedi della struttura un anziano coltiva l’orto. Cavoli, insalata, patate crescono esattamente sotto i piloni. Dall’altra parte della strada i tralicci raddoppiano. Sono nuovi e sono molto più grandi. “Friggono tutto il tempo”, racconta una signora. Oggi che non piove. “Ma con l’acqua è ancora peggio, le scariche elettriche sono pazzesche”. Benvenuti in via Sottocorno, confine geografico tra Milano e il comune di Sesto San Giovanni. Benvenuti nei palazzi dei tumori: 36 casi accertati distribuiti tra circa 150 famiglie. Cifre da brivido. “Due anni fa ho avuto un cancro alla gola – racconta il signor Giorgio, ex tassista – , in molti qui sono morti. Sopra di me due colleghi: tumore al cervello”. Il calcolo è diviso tra due civici ben precisi. In uno la contabilità delle malattie conta 23 persone. Di queste sette si sono ammalate di tumore al cervello, altre nove, invece, di cancro al pancreas. E po ci sino i casi di leucemia. E i sintomi quotidiani: mal di testa e stanchezza. Ne risentono gli adulti, ma anche i bambini, che qui sono tanti. “Mia madre – racconta un inquilino – si è ammalata di tumore, vive qua da trent’anni”. Il signore sta rientrando con la figlia appena uscita da scuola. “Papà cos’è il tumore?”, chiede la bimba. I piccoli ancora non sanno, i grandi invece sì. Per questo da anni in questo spicchio di periferia milanese è nato l’Associazione di via Sottocorno presieduta da Massimiliano Corsini. La stessa associazione che nel tempo ha raccolto le testimonianze, mettendo in fila cifre e tipologia. “Abbiamo fatto un lavoro porta a porta”, dice Corsini. Anche per questo le cifre appaiono arrotondate per difetto. Molti degli interpellati, pur malati, hanno detto di non avere niente.

Eppure qualcosa c’è. I numeri sono ben oltre la media. “Dei casi di tumore conclamato – denuncia Silvia Sardone consigliera Pdl della zona 2 – bene 19 si sono verificati negli ultimi cinque anni”. La signora vive in una delle nuove case della vicina via Adriano. Non distante da due nuovi tralicci. Enormi e tanto pericolosi che i lavori in una parte della costruzione sono stati bloccati. Ma c’è di più: molti dei casi di tumore di via Sottocorno sono legati ad inquilini le cui finestre si affacciano proprio davanti ai tralicci. Il dato è importante. Va detto, infatti, che ad oggi nessuno studio epidemiologico ha messo in diretta correlazione la presenza dell’elettrodotto e le malattie. I tecnici dell’Arpa, ad esempio, sono andati sul posto. Ma solo per constatare che i limiti spaziali dei tralicci sono rispettati. Mentre l’Asl non è mai uscita, sostenendo che sulla carta sono troppe le ipotetiche cause dei tumori. Questo, infatti, per decenni è stato un importante sito industriale.

Insomma, sembra una classica storia all’italiana, dove nessuno vuole prendersi le proprie responsabilità. Anche se poi, una soluzione per sgomberare ogni dubbio sarebbe quella di interrare i tralicci. Operazione, in fondo, comune. Buona parte dell’elettrodotto milanese, infatti, passa sotto terra. Per iniziare, però, c’è bisogno della politica. E come tropo spesso capita, la politica latita. O almeno è questo che denuncia la consigliera Sardone. Sul tavolo c’è la necessità di stendere un progetto di fattibilità per l’interramento. Il progetto costa 15mila euro. Cifra da dividere equamente tra i comuni di Milano e di Sesto San Giovanni. Ma mentre il secondo ha già stanziato il denaro, ancora deve arrivare la risposta sui 7.500 euro da parte del sindaco Giuliano Pisapia.

Russia, inchiesta per pirateria contro gli attivisti di Greenpeace

  • Mercoledì, 25 Settembre 2013 08:01 ,
  • Pubblicato in Flash news

La Stampa
25 09 2013

Nel mirino il blitz dei 30 militanti, tra cui un italiano, sulla piattaforma artica Gazprom. Gli inquirenti: hanno minacciato la sovranità territoriale e ambientale. Rischiano fino a quindici anni di carcere.

Catturati da un commando di forze speciali piombato da un elicottero, rimorchiati per quattro giorni a bordo del loro rompighiaccio Sunrise sino a Murmansk senza alcuna assistenza legale o consolare e infine accusati di «pirateria», per la prima volta nella storia di un blitz di Greenpeace: è la parabola dei 30 attivisti dell’organizzazione ambientalista, tra cui un italiano, che la scorsa settimana hanno organizzato un blitz contro una piattaforma petrolifera di Gazprom, la prima russa nell’Artico, per denunciare i rischi di tale attività in un ecosistema unico al mondo. Una vicenda nella quale Mosca è arrivata a convocare l’ambasciatore olandese. A elevare il tono dello scontro, oggi, è stato il portavoce del comitato investigativo russo, Vladimir Markin, annunciando un’inchiesta per pirateria (punibile fino a 15 anni secondo il codice russo) e sottolineando che tutti i partecipanti al blitz saranno perseguiti «indipendentemente dalla loro nazionalità».

«Quando una nave straniera piena di dotazioni elettroniche dagli scopi sconosciuti e un gruppo di persone, sedicenti ambientalisti, tenta di assaltare una piattaforma di trivellazione ci sono legittimi dubbi sulle loro intenzioni», ha osservato Markin. «Difficile credere che i cosiddetti attivisti non sapessero che la piattaforma è una installazione con un alto livello di rischio, e che ogni azione non autorizzata può portare ad un incidente, che metterebbe in pericolo non solo le persone a bordo ma anche l’ecologia, che si sta zelantemente proteggendo», ha aggiunto. Greenpeace sostiene invece che si trattava di un’azione pacifica e che i veri pericoli sono rappresentati dalle trivellazioni petrolifere nell’ Artico, che Gazprom comincerà nei primi mesi del 2014: una fuoriuscita dalla piattaforma Prirazlomnaya, nel mare di Barents, ammonisce, potrebbe danneggiare oltre 3000 miglia di costa russa.

Ma ora la battaglia è tutta legale. Greenpeace sostiene di aver agito in acque internazionali e respinge la ventilata accusa di pirateria, definendola infondata e di natura intimidatoria. Per adesso, comunque, secondo quanto ha appreso l’Ansa da fonti diplomatiche, sono state contestate solo violazioni del diritto amministrativo e nel giro di 48 ore saranno chiarite le singole posizioni dei 30 attivisti, provenienti da 18 Paesi. Quelli che rischiano di più sono i quattro che hanno tentato di scalare la piattaforma. Quanto al militante italiano, Cristian d’Alessandro, originario di Napoli, «sta bene, è in ottime condizioni fisiche e psicologiche», come ha riferito all’ANSA il console generale di San Pietroburgo Luigi Estero, dopo che il suo vice ha incontrato il giovane a bordo del Sunrise, al pari dei diplomatici e dei funzionari consolari dei Paesi cui appartengono gli attivisti.

Il giovane ha ribadito il carattere pacifico del blitz contro la piattaforma petrolifera e ha precisato di essersi imbarcato con un regolare contratto da marittimo, che scade a novembre. E mentre il Pd annuncia che vigilerà sulle indagini e chiederà al governo di riferire sui fatti in commissione esteri, la madre di D’Alessandro ha riferito di aver scritto al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, «perché mi sono resa conto che non si sa nulla di questa organizzazione». «Ho massima stima del ministro degli Esteri, Emma Bonino, so che si sta dando da fare - precisa - ma la questione principale è prestare maggiore attenzione a quello che succede, di questa vicenda non si è parlato molto, pare sia più interessante il matrimonio di Belen».

Progettare comportamenti

  • Martedì, 17 Settembre 2013 08:32 ,
  • Pubblicato in Flash news

Michela Murgia
17 09 2013


Il giornalista Francesco Giorgioni qualche giorno fa poneva sul suo blog alcune questioni di un certo rilievo sul tema del paesaggio e della sua tutela. Diceva di essere consapevole che le sue domande sono scomode, ma in realtà non è così: sono scomode solo per chi ha posizioni ostili alla tutela del paesaggio e coltiva l’idea passatista secondo la quale lo sviluppo economico necessita della consunzione ingente delle risorse naturali. Per chi sa come coniugare bellezza e ricchezza queste domande sono invece necessarie e ringrazio che ci siano ancora persone che si prendono la responsabilità di porle e di chiedere risposte a chi si sta candidando a domandare ai sardi la loro fiducia.

È possibile assimilare il bene comune “paesaggio” alle risorse del sottosuolo e applicargli lo stesso regime di tutela?

La risposta, in linea di massima, è no. Le risorse del sottosuolo sono fuori dal regime giuridico che norma la proprietà privata: appartengono all’interesse comune e quindi sono sottoposte a regole più restrittive il cui rispetto è in capo alle istituzioni, che in teoria dovrebbero finalizzare il loro utilizzo al benessere della comunità. In Sardegna però questo non è così vero; lo dimostrano i tentativi di sfruttamento a fini privati del gas nei casi di Arborea e del Medio Campidano, dell’acqua calda nel Montiferru e prima ancora dei beni minerari; tuttavia sappiamo che una classe politica consapevole dei suoi doveri avrebbe avuto in mano tutti gli strumenti giuridici per trasformare la teoria in pratica e impedire ai privati di far profitto indebito (che è altra cosa dallo sviluppo) su un bene di interesse pubblico.

La giurisprudenza sulla tutela del paesaggio è invece molto più recente, perchè recente è l’acquisizione del concetto di paesaggio come bene comune. La convenzione europea sul paesaggio è del 2000 e l’Italia l’ha ratificata nel 2006, impegnandosi solo allora a riconoscere il paesaggio come “componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità”. Questa bellissima frase ha la stessa funzione di molte espressioni che si trovano nei documenti europei: nella sua genericità può voler dire qualunque cosa, lasciando di fatto a chi amministra la libertà di declinarne il senso come crede, nei limiti della legalità o eventualmente creando leggi apposite, come sta cercando di fare la giunta Cappellacci nel colpo di coda della sua dimenticabile amministrazione. Al variare delle sensibilità politiche si possono così tenere immutati per anni migliaia di ettari di terreno non antropizzato oppure permettere che in sei mesi gli stazzi di Gallura possano diventare altrettante ville di lusso per gli emiri; secondo quel principio si possono far impiantare decine di pale eoliche su decine di monti sardi e allo stesso tempo imporre vincoli strettissimi anche per cambiare un infisso.

Il PPR della giunta Soru è stato un tentativo (imperfetto ma importante) di porre dei limiti a questa anarchia di interpretazione, ma il centro sinistra non ha saputo né voluto difendere lo spirito di quella legge dalla pressione degli interessi economici di chi invece senza regole ci stava benissimo. Soru si è dimesso perchè la sua maggioranza lo ha sfiduciato proprio sulle questioni di tutela paesaggistica e sappiamo tutti che i voti per Cappellacci che sono usciti dall’urna non erano certo solo quelli del centrodestra.

In questi anni di impegno civico sul territorio a supporto dei comitati sorti contro progetti totalmente scellerati ho avuto decine di conferme del fatto che l’interesse a stemperare o azzerare i vincoli di tutela del paesaggio è comune a tutto l’arco politico. La trivellazione Saras del paradiso naturalistico di S’Ena Arrubia non è stata forse appoggiata da una mozione del PD? L’ultima prova, casomai ne servissero di ulteriori, è il colpo di spugna sugli usi civici approvato a fine luglio in consiglio regionale con 50 voti a favore, 4 astenuti e 3 contrari, che di fatto permette ai comuni di sclassificare a loro discrezione le terre pubbliche e cederle a privati. Sorvolo su Tentizzos e su quel che si sta cercando di fare alla costa bosana, peraltro già ampiamente cementificata, e non per marginalità, ma perchè in questi anni ho scritto contro decine di esempi come quello, dallo scempio di Santa Lucia di Siniscola alle speculazioni a Capo Malfatano.

La sfida di Sardegna Possibile in questo senso è chiara e lo si capirà molto bene dal programma che pubblicheremo in autunno. Non intendiamo più permettere che siano delegati agli interessi privati i processi, anche necessari, di trasformazione del paesaggio. La scelta della politica – tutta la politica – di farsi complice di quel falso modello di sviluppo ha prodotto in questi anni enormi costi sociali e soprattutto l’impoverimento di quel che avrebbe dovuto arricchire, lasciandoci un degrado che è sotto gli occhi di tutti: dissesto idrogeologico, inquinamento, contesti ambientali naturali compromessi, distruzione delle aree agricole, incontrollato allargamento dei confini urbani, degrado di contesti storico artistici, patrimonio immobiliare inutilizzato o sotto utilizzato e anche, nel caso delle realtà urbane, la nascita di nuovi quartieri privi di servizi e di qualità urbanistica, con perdita di identità sociale e culturale dei centri e delle periferie.

Lo spazio, non solo il paesaggio, è un bene primario della costruzione sociale, perchè chi progetta spazi progetta comportamenti. Non si tratta quindi soltanto di chiedersi quale paesaggio vogliamo proteggere o generare, ma anche quali comportamenti sociali vogliamo contribuire a costruire. Per rispondere a questa domanda ci vuole uno sguardo politico molto più lungimirante di quello a cui ci hanno abituati PD e PdL negli ultimi anni.

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