Repubblica.it
17 06 2013

Presentato il Rapporto 2013. Le difficoltà dell'economia legale non colpiscono le attività criminali che sfruttano, ciclo dei rifiuti e abusivismo per continuare a prosperare. L'associazione: "Serve una stretta per aumentare la pressione sulle cosche"

ROMA - Strangolata dalla pressione fiscale, dalla burocrazia e dalla stretta creditizia, l'economia legale precipita. Quella ecomafiosa prospera: viaggia in nero, non ha problemi di liquidità e le decisioni sono rapide. Senza un netto cambio di rotta, che dia fiato a chi rispetta le leggi e aumenti la pressione contro le cosche, i segnali negativi rischiano di moltiplicarsi.

L'appello è stato lanciato alla presentazione del rapporto Ecomafia 2013, curato dalla Legambiente. I numeri sono impressionanti: 16,7 miliardi di euro di fatturato, 34.120 reati accertati, 28.132 persone denunciate, 8.286 sequestri effettuati. Aumentano i clan coinvolti (da 296 a 302), quadruplicano i Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose (da 6 a 25), salgono gli incendi boschi.

"Quella delle ecomafie", ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, "è l'unica economia che continua a proliferare anche in un contesto di crisi generale. Semplicemente perché conviene e, tutto sommato, si corrono pochi rischi. Le pene per i reati ambientali continuano ad essere quasi esclusivamente contravvenzioni, un po' come le multe per chi passa con il rosso, e di abbattimento degli edifici quasi sempre non si parla. Anzi, agli ultimi 18 tentativi di riaprire i termini del condono edilizio si è aggiunta la sciagurata idea di sottrarre alle procure il potere di demolire le costruzioni abusive".

EDILIZIA. Il caso più clamoroso che emerge dal rapporto è proprio quello dell'edilizia. Sotto la spinta della crisi, le nuove costruzioni legali sono crollate, passando da 305.000 a 122.000, quelle abusive se la sono cavata con una piccola flessione (da 30.000 a 26.000). Il mercato illegale tiene perché a fronte di un valore medio del costo di costruzione di un alloggio con le carte in regola pari a 155.000 euro, quello illegale si realizza con poco più di un terzo dell'investimento (66.000 euro). E il rischio della  demolizione è molto basso: tra il 2000 e il 2011 è stato eseguito appena il 10,6% delle 46.760 ordinanze di abbattimento emesse dai tribunali.

RIFIUTI. Un altro capitolo critico sono i rifiuti. I quantitativi di materiali sequestrati nei nostri porti nel corso del 2012 sono raddoppiati rispetto al 2011, passando da 7.000 a circa 14.000 tonnellate grazie soprattutto ai cosiddetti cascami, cioè materiali che dovrebbero essere destinati ad alimentare l'economia legale del riciclo e che invece finiscono in Corea del Sud (gomma), Cina e Hong Kong (materie plastiche), Indonesia e Cina (carta e cartone), Turchia e India (metalli).

Questi flussi garantiscono enormi guadagni ai trafficanti, che vendono un rifiuto invece di smaltirlo, e un doppio danno all'economia legale: si pagano contributi ecologici per attività di trattamento che non vengono effettuate e le imprese che operano nella legalità sono spesso costrette a chiudere per mancanza di materiali.

ANIMALI. Infine ci sono i reati contro gli animali e la fauna selvatica (+6,4% rispetto al 2011), contro il patrimonio naturale (gli incendi boschivi sono cresciuti del 4,6%), contro il patrimonio culturale (1.026 furti di opere d'arte, 17.338 oggetti trafugati ,93.253 reperti paleontologici e archeologici recuperati).

CORRUZIONE. E' un fenomeno in forte crescita. Secondo la Relazione al Parlamento della Dia, nel primo semestre del 2012 le persone denunciate e arrestate in Italia per i reati di corruzione sono più che raddoppiate rispetto al semestre precedente, passando da 323 a 704. Questo è un passaggio chiave della lotta alle ecomafie. Un tema su cui è in corso anche la campagna www. riparteilfuturo. it, organizzata da Libera e dal Gruppo Abele, che punta a far votare entro l'estate al Parlamento una legge contro il voto di scambio.

Sempre alla richiesta di strumenti più efficaci si collega la proposta, rilanciata oggi da Enrico Fontana, responsabile dell'Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente, dell'introduzione dei delitti ambientali nel nostro codice penale, con l'approvazione  del disegno di legge già licenziato dal governo Prodi nel 2007 e ripresentato in questa legislatura dal presidente della commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci.

Il clima ostaggio del mercato

  • Mercoledì, 12 Giugno 2013 11:03 ,
  • Pubblicato in L'Intervento
Elena Gerebizza, Re:Common
12 giugno 2013

In Italia sembra che sia difficile parlare di cambiamenti climatici senza banalizzare o senza essere troppo tecnicisti. Forse invece di parlare di clima in astratto, si potrebbe discutere in concreto di quelle attività umane che sono state riconosciute come causa dell'aumento della CO2 in atmosfera - che ha raggiunto a maggio il tanto temuto punto di non ritorno delle 400 parti per milione di CO2[1] - ...

Corriere della Sera
15 05 2013

Il presidente della Provincia di Taranto, Giovanni Florido, è stato arrestato dai militari della Guardia di Finanza nell'ambito dell'inchiesta su presunti favori all'Ilva denominata «Ambiente svenduto». L'accusa è di concussione in relazione alla gestione da parte dell'Ilva della discarica Mater Gratiae. Insieme a Florido sono stati eseguiti altri tre arresti.
ARRESTATI - Gli altri tre arrestati sono l'ex assessore provinciale di Taranto all'Ambiente, Michele Conserva, l'ex dirigente dell'Ilva, Girolamo Archinà, e l'ex segretario della Provincia di Taranto, Vincenzo Specchia. Quest'ultimo ha beneficiato dei domiciliari. Anche Conserva è stato trasferito in carcere mentre ad Archinà l'ordinanza di custodia cautelare è stata notificata nella stessa casa circondariale dove l'ex dirigente Ilva è detenuto da alcuni mesi.

LE ACCUSE - Sono accusati di concussione anche Conserva e l'ex segretario generale della Provincia Vincenzo Specchia, che è finito invece ai domiciliari. Archinà, che era già detenuto dal novembre 2012, è accusato di concorso nel reato contestato ai pubblici ufficiali. Florido e Conserva sono accusati di aver indotto, dal 2006 al 2011, dirigenti del settore ecologia e ambiente della Provincia di Taranto a rilasciare autorizzazioni per la discarica gestita dall'Ilva «in carenza dei requisiti tecnico-giuridici».

Malati d'ambiente, inquinato e contaminato. Ci si ammala in Italia, non solo a Salto di Quirra, in Sardegna, e a Taranto, dove cè l'Ilva, ma anche a Cerano (Brindisi) dove c'è la centrale termoelettrica a carbone più grande d'Europa, il posto più inquinato d'Italia. ...

Bancarotta
02 05 2013

Primo Maggio a Bagnoli, la messa è finita: chi ha inquinato deve pagare!
Precarietà, devastazione ambientale, ingiustizia: la realtà che i sindacati non volevano vedere.

Un Primo Maggio difficile da mandare giù per i sindacati confederali che, ancora una volta, preferiscono far finta di non vedere ciò che la crisi e il teatrino della politica rendono invece sempre più evidente.
Sindacati che alla fine hanno preferito interrompere, dopo minuti di tensione, il concerto della manifestazione ufficiale del Primo Maggio, che si svolgeva a Città della Scienza, piuttosto che dare la parola, come richiesto, a un centinaio di manifestanti, arrivati a Città della Scienza a gruppetti dopo un corteo di centinaia di persone a Bagnoli, dopo che i blindati della polizia avevano impedito il transito su via Coroglio.
Non sono mancate le aggressioni da parte del servizio d’ordine del sindacato, che hanno trovato dall’altra parte la determinazione a voler prendere la parola, esercitando un diritto al dissenso che organizzazioni che si dicono democratiche dovrebbero conoscere bene e rispettare.
Questa la risposta a chi provava a prendere parola ad una messa in scena che sembrava essere quasi un sfottò per i giovani e i precari della città. Un concerto per la festa del lavoro, lavoro che come il futuro dei giovani e i precari è inesistente. Ma oggi i sindacati confederali piuttosto che preoccuparsi dei veri problemi che affliggono Bagnoli, hanno ben pensato di speculare sulla tragedia dell’incendio di Città della Scienza e sulle sue conseguenze, che ricadono ancora una volta sui lavoratori e sui cittadini.
Forse perchè gli interrogativi che negli ultimi giorni hanno attraversato le mobilitazioni seguite al sequestro di Bancarotta e dell’ex area Italsider, e la “settimana della rabbia di Bagnoli”, non interessano gli organizzatori del concerto – CGIL CISL e UIL – che infatti oggi chiedono a gran voce la ricostruzione di Città della Scienza, in modo autistico e incondizionato, ignorando tutto ciò che interessa l’area circostante, e allo stesso tempo glissando, in maniera preoccupante, di fronte alla legittima pretesa di conoscere gli autori dell’incendio, i loro mandanti, e il movente che li ha spinti.

Si badi bene: oggi, come nelle settimane precedenti, nessuno tra i centri sociali e i comitati territoriali ha mai messo in discussione la ricostruzione di Città della Scienza: tutt’altro, il messaggio è: vogliamo città della scienza, ma anche la bonifica, la spiaggia pubblica, gli spazi sociali, un’idea differente di sviluppo di quell’area che allontani per sempre la speculazione, la morte, la precarietà, la disoccupazione e l’emigrazione forzata che da 30 anni affliggono Napoli ed in particolare Bagnoli. E forse proprio qui si spiegano le rigidità dei sindacati confederali che in questo mese non hanno mai accettato la richiesta di ricostruire città della Scienza sulla sponda opposta di Via Coroglio, restituendo al sogno (previsto anche dal piano urbanistico..) di una vera bonifica e della prima spiaggia pubblica della città!
Una rigidità, ammantata dalla solita retorica ricattatoria sulla salvaguardia dei posti di lavoro (salvo dimenticarsi che a Città della Scienza non si pagano stipendi da mesi e mesi prima dell’incendio) che oggi si è espressa fino alle estreme conseguenze: alla richiesta di un intervento sul palco, la risposte sono state spintoni ed insulti, fino a far esplodere la rabbia di chi in questa città non vede più alcuna prospettiva e non si sente rappresentato da nessuno.

Una noncuranza e un’assenza di disponibilità all’ascolto tanto più preoccupante se si pensa agli interessi speculativi che da decenni investono la zona, e che si sono già ampiamente concretizzati, dopo la chiusura della fabbrica, nella “rapina” privatistica del litorale, e nel disastro ambientale fotografato dall’ultima inchiesta della magistratura con centinaia di tonnellate di rifiuti seppelliti lì dove dovevano sorgere il Parco Verde e il Parco dello Sport.
Interessi e processi di cui Bagnoli e Napoli tutta continuano a pagare il prezzo, innanzitutto in termini di salute pubblica, con tassi di incidenza tumorale altissimi; con un piano urbanistico totalmente stralciato, e con il dramma sociale della disoccupazione e dell’assenza di un progetto di sviluppo che tenga conto dei bisogni e desideri collettivi delle comunità.
Interessi privati e oscuri, contro i quali negli ultimi due anni si sono intensificate campagne di partecipazione e sensibilizzazione, che hanno portato anche oggi interessanti risultati, che sono un esempio virtuoso per la città: come la delibera comunale che prevede la realizzazione della spiaggia pubblica sul litorale Coroglio-Pozzuoli o il progetto comunitario di riqualificazione della collina di San Laise, adiacente alla base NATO attualmente in dismissione.
Oggi la vicenda di Città della Scienza e della sua ricostruzione ci dice che quella realtà oscilla tra un’esperienza potenzialmente positiva per un piano di rilancio basato sulle istanze e sui bisogni sociali sul piano dell’innovazione e dello sviluppo, e un’ambigua compatibilità invece col mantenimento dello status quo del mancato sviluppo dell’area, delle speculazioni e degli abusi, fungendo da “oasi” e immacolata concezione della gestione privatistica e clientelare che ha caratterizzato la politica del centro-sinistra Bassoliniano sulla vicenda di Bagnoli dagli anni ’90. Ambiguità che in primis i lavoratori dovrebbero preoccuparsi di sciogliere se non vogliono essere ritenuti complici del disastro che attorno a loro, geograficamente e socialmente, si è prodotto.

Che la voce di chi subisce quotidianamente il dramma dello sfruttamento, della precarietà, della disoccupazione, gli effetti della malapolitica – devastazione ambientale, corruzione, assenza di prospettive – dava fastidio alle rituali celebrazioni del Primo Maggio lo si era capito già dal primo pomeriggio, con un quartiere totalmente militarizzato.
Una blindatura assolutamente fuori luogo a fronte di una manifestazione pacifica che nasceva con l’intento primario di comunicare col quartiere e di far prendere parola i soggetti che realmente subiscono la crisi.
Oltre 500 persone hanno attraversato in corteo le strade di Bagnoli: studenti, precari, lavoratori in cassa integrazione, disoccupati, attivisti dei comitati cittadini e degli spazi sociali, cittadini del quartiere e da tutta la città.
Una manifestazione fin dall’inizio fuori dal coro rituale e un po’ sbiadito dei festeggiamenti del Primo Maggio, non a caso a Bagnoli, luogo simbolo delle contraddizioni che attraversano il paese, territorio da decenni vittima del disastro politico, ambientale e sociale.
“Bonifichiamo Bagnoli – Chi ha inquinato deve pagare” così recitava infatti lo striscione di apertura: uno slogan, ma anche un principio, sul quale si sta costituendo da due settimane un Comitato cittadino di lotta per la bonifica, con l’obbiettivo di costituirsi come parte civile nel processo (come ha fatto il Comune di Napoli ma dalla parte dei cittadini), di mandare a casa i responsabili del disastro di Bagnoli, costringendoli a risarcire il quartiere, di riappropriarsi degli spazi sociali e dei processi democratici, di istituire un centro di monitoraggio sanitario che faccia luce sul rapporto tra inquinamento e incidenza tumorale, un osservatorio popolare di vigilanza democratica sulla bonifica.
Bonifica che Bagnoli aspetta da vent’anni, e che non è mai stata compiuta nonostante i fiumi di denaro pubblico che la Bagnoli Futura – società di trasformazione urbana a partecipazione pubblica – ha gestito drenandoli verso ben altri canali: basta vedere gli stipendi dei suoi dirigenti e consulenti.

Le bugie, i veleni, e le reazioni di coloro che oggi rifiutano di ascoltare chi lotta e partecipa, e prova a immaginare e costruire dal basso una città diversa dallo schifo che vediamo, sono un argine ben più pesante delle transenne divelte oggi davanti al palco di Città della Scienza.
Consapevoli o inconsapevoli essi sono complici del disastro a Bagnoli, come sono, volenti o nolenti, corresponsabili del dramma della precarietà, dei licenziamenti, della disoccupazione, della disperazione sociale, e del nuovo autoritarismo lavorativo, che nella crisi sotto la spinta dei governi dell’austerity si sono abbattuti sulle spalle dei più poveri. Que se vayan todos!
Loro possono auto-blindarsi se lo vogliono, ma la dignità e la lotta di chi prova a trasformare il presente e a riprendersi il futuro non può essere rinchiusa dentro alcun recinto o rituale!

Video dei tafferugli a Città della Scienza su Repubblica.it CLICCA QUI

GIOVEDì 2 MAGGIO, ALLE 11.00, ALLA ZONA PEDONALE DI VIALE CAMPI FLEGREI (adiac. staz. Cumana Bagnoli): CONFERENZA STAMPA DEL PRIMO MAGGIO DI BAGNOLI

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