Comune-info
17 02 2015
Dai fatti di Ayotzinapa, si è andata accentuando la polarizzazione tra messicani e messicane. Mentre uno schieramento, con la sua violenza impaziente, crea momenti di pericolo e ore funeste, l’altro va incontro ai dolori del parto. E’ ormai consapevolezza condivisa che “in alto” prevalgono corruzione, impunità e incompetenza. Senza risorse politiche, i governanti ricorrono sempre più spesso alla violenza e per governare estendono lo stile Atenco. La rivista conservatrice The Economist, che prima li incensava a ogni pie’ sospinto, ha da poco osservato che quelli del governo non capiscono di non capire.
Anche sulla bancarotta delle istituzioni c’è ormai ampio consenso. Quelle create nel 1917 erano ormai obsolete, ma invece di renderle più attuali e migliorarle, le classi politiche le hanno distrutte. La loro controrivoluzione violenta ha allontanato sempre più gli ambiti normativi e le pratiche istituzionali dalla realtà e dalle aspirazioni della maggioranza dei messicani e delle messicane. L’esperienza comune è che norme e pratiche sono sempre più inutili e controproducenti.
Nonostante queste consapevolezze, non riusciamo a evadere dal caos ingiusto e violento che sperimentiamo oggi, e che non piace a nessuno, perché non c’è un accordo sul da farsi.
Da un lato ci sono quelli che non capiscono di non capire e si aggrappano alle loro cariche e prebende, insieme ai loro soci e complici negli affari di governo, organizzati in mafie che a volte includono anche persone comuni che hanno scelto di dipendere da loro per la propria sopravvivenza. A questi si accompagnano coloro che non riescono a immaginare altro cambiamento che all’interno del contesto esistente, quelli che credono di poter trasformare da dentro le istituzioni e i meccanismi che sono diventati inservibili. Sono riusciti a convincere milioni di persone che questa è la sola opzione possibile; la vedono come l’unica alternativa alla rivolta armata, anche se questa alternativa è sempre più violenta. Sostengono, contro ogni evidenza, che le elezioni del 2015 e del 2018 saranno l’opportunità per trasformare il paese, senza rendersi conto della natura illusoria di questa opzione, tanto nelle urne quanto per le cosiddette riforme dall’interno.
Dall’altro lato ci sono le forze sociali che si sono formate e articolate dal basso, provenienti sia dalle resistenze e ribellioni organizzate da tempo, che da quelle che cominciano ora a cristallizzarsi. Ci sono comunità e movimenti che da tempo resistono alle spoliazioni e alle aggressioni del capitale e del governo, insieme a coloro che sono stati svegliati da Ayotzinapa e si affrettano a organizzarsi.
I due schieramenti che si sono formati sono instabili e pieni di contraddizioni. Alcune delle quali molto evidenti. La congiuntura ha posto dalla stessa parte Peña e Lopez Obrador, con tutto ciò che simboleggiano e con tutti i loro seguaci, ma la loro coesistenza all’interno del sistema del quale si disputano il comando non è scontata. Ci sono anche continui scompigli tra le grandi aziende e i loro impiegati del governo.
Anche nello schieramento opposto c’è confusione. Pur diffondendosi la convinzione che il capitale è il vero capo dell’altra schiera, come ha detto bene il subcomandante Moises nel primo Festival mondiale delle Resistenze e Ribellioni, non tutti condividono questa consapevolezza. Alcuni, nonostante abbiano inclinazioni anti-sistema, non sono sicuri che sia il momento di affrontare il capitale e neanche di cominciare a parlarne.
I genitori e i familiari dei 43 (di Ayotzinapa) hanno contribuito a sgomberare il campo dalla confusione di questo schieramento. Nel loro incontro con le resistenze e le ribellioni in tutto il paese, hanno contribuito a chiarire la natura di questa lotta. Sanno che i fatti di Iguala non sono limitati alle autorità locali, statali o criminali, e sanno anche che governi e partiti ballano alla musica suonata dai capitalisti. Sanno che questi ultimi, e non solo i governi e i gruppi criminali, hanno sequestrato la verità e la giustizia, e sanno che la loro lotta per la libertà non può fermarsi ai loro subalterni.
Mentre i governanti si sentono messi all’angolo, perdono le staffe e menano colpi alla cieca, la schiera di quelli in basso continua a rafforzare la sua organizzazione, le sue alleanze e le sue coalizioni. Si concentra sempre più nell’impegno per creare nuove relazioni sociali, che sono la sua più potente arma di lotta. Immagina modi efficaci di proteggere la transizione pacifica e democratica verso il nuovo ordine sociale, che le sue pratiche autonome stanno costruendo. Per concepire e rendere reale questo ordine, non aspetta una promessa costituzionale come quella del 1917. Arricchisce quotidianamente la sua capacità di trasformazione, con un cambiamento che si configura come emancipazione da tutte le forme di oppressione e sfruttamento messe in atto dalla mentalità patriarcale e capitalista dominante. In tal modo sembra che stia forgiando uno specchio caleidoscopico che potrebbe riflettere la piattaforma di idee e principi in cui potrà esprimersi la convivenza armoniosa tra diversi nella libertà.
Contropiano
03 02 2015
“Il nostro governo non ci ha dato nemmeno un rapporto. Per questo andiamo alle Nazioni Unite”. I genitori degli studenti della Escuela Normal di Ayotzinapa, scomparsi o assassinati il 26 settembre scorso dai narcos e dai poliziotti agli ordini di politici corrotti, sono arrivati nei giorni scorsi a Ginevra da dove si sono rivolti all’Onu chiedendo “giustizia” per i loro ragazzi.
Appena arrivati i due portavoce Bernabé Abraham e Hilda Legideño avevano annunciato ai media l’intenzione di sollecitare il “Comitato contro le sparizioni forzate” affinché faccia pressione sul governo del Messico, e così ieri hanno consegnato nella sede svizzera dell’ente internazionale una petizione in tal senso: “Vogliamo la verità, vogliamo che ci restituiscano i nostri figli” ha detto Legideño, esprimendo la rabbia e la frustrazione dei parenti all’annuncio del procuratore generale Jesús Murillo Karam, secondo cui i 43 sono stati tutti assassinati e i loro resti dati alle fiamme e fatti sparire. Una versione di comodo che esclude ulteriori inchieste anche sulle responsabilità politiche e dell’esercito e che si basa esclusivamente sulle confessioni di alcuni narcos tra l’altro sottoposti a torture dalle forze di sicurezza messicane.
In base alla versione ufficiale ad eseguire materialmente l’eccidio dei ragazzi sarebbe stato i cartello della droga locale dello stato del Guerrero, i “Guerreros Unidos”, stando a quanto dichiarato da uno dei sicari del gruppo criminale, Felipe Rodríguez Salgado, alias ‘El Cepillo’, arrestato a metà gennaio.
Per i genitori invece è impensabile chiudere l’inchiesta, a fronte delle “molte irregolarità mai chiarite”, e sono andati a Ginevra per chiedere che anzi si vada a fondo, denunciando ad esempio che le indagini sul caso “sono iniziate con ben otto giorni di ritardo” e che i numerosi arrestati sono imputati “solo di sequestro e crimine organizzato, ma non di ‘sparizione forzata’”, il che dimostra che “lo Stato Messicano è incapace di sradicare il fenomeno delle sparizioni forzate”.
I rappresentanti dei genitori e dei comitati del Guerrero a Ginevra hanno anche deplorato il fatto che l’inchiesta ufficiale coordinata dal procuratore generale Jesùs Murillo Karam sia stata chiusa prima che giungessero i risultati delle analisi realizzate da un team argentino di Antropologi forensi commissionate dalle famiglie dei desaparecidos sui presunti resti di alcuni dei rapiti, o quelli delle analisi compiute da cinque esperti di Cile, Colombia, Guatemala e Spagna incaricati dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH).
In Messico “non c’è giustizia per i poveri. Per questo chiediamo di venire ascoltati, che si faccia giustizia. Io rivoglio mio figlio, vivo” ha insistito Legideño.
Dopo la tappa svizzera, i genitori degli adolescenti ‘desaparecidos’ della scuola Isidro Burgos di Ayotzinapa andranno a Bruxelles per interpellare anche le istituzioni dell’Unione Europea.
Infoaut
27 01 2015
A quattro mesi dalla scomparsa forzata di 43 studenti della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa (stato del Guerrero, Messico), ieri si è svolta l’ottava giornata globale di azioni per chiedere il rilascio dei ragazzi e in solidarietà alle 43 famiglie in mobilitazione. In oltre 40 città del Messico e del mondo ci sono stati presidi, cortei, e azioni. In Italia, a Milano attivisti del centro sociale Soy Mendel hanno scritto sui muri d’ingresso del Consolato Messicano di via Matteotti nos faltan 43, ci mancano 43 persone, mentre a Torino, in piazza Castello, si è svolto un presidio. A Città del Messico, le tre grandi università cittadine (Uam, Unam e Politecnico) sono state le protagoniste di quattro cortei, partiti da diversi punti della città e confluiti nello Zócalo.
Dopo mesi di ricerche non si hanno ancora certezze sulla sorte dei 43 studenti. Il governo messicano ha cercato più volte di avvalorare il ritrovamento di alcuni resti di questi ragazzi nelle tante fosse comuni che in Guerrero stanno venendo alla luce. E ha provato a dare la responsabilità dell’accaduto al crimine organizzato.
La cosiddetta «guerra al narco-traffico», iniziata con il governo Calderón nel 2006, e che sta proseguendo con Peña Nieto, conta almeno 30.000 desaparecidos, oltre a una serie sterminata di morti e giornalisti scomparsi o uccisi. Ieri, nello stato di Veracruz è stato ritrovato il corpo del giornalista Moisés Sánchez Cerezo, rapito tre settimane fa. La guerra al narco-traffico è stata una grande occasione per reprimere i movimenti sociali e le voci fuori dal coro, come dimostra il caso Ayotzinapa. L’esplosione del caso Ayotzinapa e la successiva lotta della Scuola Normale Rurale e delle famiglie, ha acceso una miccia sociale: dal 26 settembre (giorno della sparizione forzata) si è aperta la più profonda crisi politica e sociale nel Messico del nuovo secolo, e si è vista la nascita del più grande movimento messicano, paragonabile solo all’irruzione dell’Ezln nel 1994.
Le famiglie degli studenti hanno rifiutato le fantasiose ipotesi governative del ritrovamento di alcuni frammenti di corpi che proverebbero la morte di alcuni di loro. In assenza dei corpi, i genitori e gli altri ragazzi della Normale Rurale si rifiutano di considerare morti gli scomparsi. Gli studenti presenti la notte della scomparsa dei loro compagni raccontano della partecipazione congiunta di esercito messicano, polizia municipale e gruppi del narcotraffico. Per questo, parte delle mobilitazioni di questi mesi hanno puntato ad aprire un’inchiesta nei confronti dell’esercito. Omar Garcia, uno dei portavoce della Rurale Normale, alcuni giorni dopo il tentativo da parte di studenti e genitori di entrare nella base militare del 27° battaglione di fanteria nella città di Iguala, ovvero la città dove la notte tra il 26 e 27 settembre sono scomparsi e morti gli studenti, ci ha detto: «Abbiamo molti indizi e prove che dicono che i 43 possono essere detenuti dall’esercito messicano. Qui in Messico conosciamo la storia nera delle Forze Castrensi in materia di sparizioni forzate, alcuni cellulari dei compagni, seguendo le tracce del gprs, indicano che l’ultimo punto di contatto prima di essere spenti è stato dentro il 27°battaglione di Iguala, abbiamo una ragione fondata di sospettare dell’esercito».
altLa Procura Generale della Repubblica messicana, dopo i duri scontri tra esercito e attivisti di Ayotzinapa lunedì 12 dicembre, all’interno e fuori del 27° battaglione di fanteria di Iguala, si è resa disponibile ad aprire la base per verificare la presenza degli studenti. In risposta a questo possibile nuovo filone d’indagine, la Procura Federale dello stato di Guerrero ha negato l’ordine di carcerazione sollecitato dalla procura nei confronti dell’ex-sindaco di Iguala (del Prd), José Luis Abarca Velázquez, e di sua moglie per il delitto di sequestro di persona. La motivazione addotta è che i 43 potrebbero essere morti e quindi non si può parlare di sequestro di persona. José Luis Abarca Velázquez e la moglie María de los Ángeles Pineda, erano stati arrestati ad ottobre come possibili responsabili della sparizione e omicidio degli studenti, perché era stata scoperta e denunciata la loro collaborazione storica con i gruppi del crimine organizzato. Intanto, domenica 25 gennaio ad Iguala alcuni personaggi politici, vicini al gruppo narcotrafficante dei “Guerreros Unidos”, hanno indetto una manifestazione contro gli “Ayotzinapos”.
La continuità tra politica e crimine organizzato in ampie zone del paese latinoamericano è esplicita. Crimine organizzato, politica , esercito e polizie convivono nella scomparsa dei 43 studenti. Anche per questo “E’ stato lo stato” è uno degli slogan di questi mesi. Lo scontro istituzionale tra le Procure è aperto e si inserisce a pieno titolo nella crisi politica messicana. Enrique Peña Nieto è il presidente della Repubblica meno popolare degli ultimi vent’anni, ogni sua uscita pubblica è accompagnata da proteste e scontri, come avvenuto a Puebla la settimana scorsa. Perché non si è ancora aperta un’inchiesta su esercito e polizia federale? Perché Peña Nieto sta pagando politicamente i quattro mesi di non risposte sulla sparizione forzata dei 43? Queste sono due domande a cui genitori e compagni degli studenti della Normale Rurale di Ayotzinapa, supportati dalla solidarietà nazionale ed internazionale, vogliono trovare risposte lottando, per arrivare finalmente alla verità.
di Andrea Cegna per Il Manifesto
Dinamo Press
29 12 2014
Ad Ayotzinapa non c’è natale nè anno nuovo, la lotta non ha vacanze” questo il testo di uno degli striscioni in corteo per le vie di Città del Messico. Il 26 di dicembre in Messico non è giorno di festa ma è uno dei giorni dentro alle ferie di Natale e per l’ultimo dell’anno.
Le università sono chiuse, e si sente. Il corteo è formato da diverse migliaia di persone, certamente non le stesse diverse decine di migliaia che hanno riempito lo Zocalo nelle altre mobilitazioni di questi mesi. Manca quasi del tutto la componente universitaria, vera protagonista nella capitale in questi mesi. Il corteo è comunque molto partecipato, diciamo che se in Italia nei giorni di natale si facesse un corteo con questi numeri cammineremmo a 2 metri da terra.
Gli spezzoni non mandano musica, ci sono diversi interventi e tantissimi cori. Storie e biografie differenti in piazza, dal black block al doppio petto, un pò a dimostrare la trasversalità della mobilitazione in questi mesi. Era dal 1994, esplosione della lotta zapatista, che il Messico non viveva una fase così. Certo il mondo è cambiato e certamente questa non è l’anticamera di una rivoluzione, ma allo stesso tempo è una cosa inedita ed è forte, costante, desbordante. Cosa succederà è la vera domanda!
Quando si saprà qualcosa dei 43? Cosa farà Nieto? Ci sarà una svolta autoritaria nel paese? Il grido “Fuera Nieto” e la richiesta di sospendere la tornata elettorale del 2015 perchè con questa classe politica non si può pensare di andare ad elezioni si trasformerà in qualcos’altro?
Intanto anche nei giorni delle feste più importanti in questo paese la mobilitazione non si ferma, non ci sono vacanze che tengano e per i genitori, amici e parenti dei 43 di Ayotzinapa la retorica illegale/legale ha un altro significato rispetto a quello che media e politica vorrebbero tratteggiare: illegale è l’operato del governo, non qualche azione diretta che la politica istituzionale o normalizzata vorrebbe tacciare di “nemica” del processo di verità e giustizia per i Normalisti.
La Jornada parla di 4000 persone in piazza, ma dobbiamo ricordare che nei giorni della più grande manifestazione per Ayotzinapa mentre i movimenti dichiaravano oltre 150mila persone il giornale scriveva 15mila.
I numeri però non contano, contano la perseveranza, la dimensione nazionale e spontanea delle manifestazione. Tanto che con i cortei di oggi si è evidenziato come mai nessun governo Messicano è stato tanto impopolare nel paese, mai come in questi giorni non c’è fiducia nelle istituzioni e si respira un senso di insicurezza molto forte.
Una crisi politica alimentata creata dai movimenti, creata dalla risposta degna e coraggiosa dei Normalisti di Ayotzinapa e dai genitori e parenti dei desaparacidos. La scuola politica delle normali rurali si vede e si sente.
La lucha sigue
*In viaggio in Messico per partecipare al Festival delle Resistenze e delle Ribellioni promosso dall'Ezln
Il Fatto Quotidiano
24 11 2014
Padre Alejandro Solalinde è il sacerdote messicano che nell’ottobre 2014 ha denunciato la responsabilità del governo e delle istituzioni nel caso dei 43 studenti scomparsi ad Ayotzinapa in Messico. Un’accusa basata su fonti riservate che nel corso delle settimane è diventata concreta con l’arresto del sindaco di Iguala colluso con il narcotraffico.
Fino a quel momento, le autorità ufficiali messicane avevano minimizzato il caso riducendolo ad uno scontro tra gruppi criminali rivali. Oggi il sacerdote messicano, ospite della Carovana per i Migranti che ha fatto tappa a Lampedusa, ha lanciato una nuova accusa contro l’esercito: “Un’ipotesi possibile è che i corpi degli studenti di Ayotzinapa siano stati bruciati nei forni dell’esercito – spiega Solalinde – ci sono diverse prove a questo proposito tra cui la connessione tra la famiglia Abarca (n.d.a. il sindaco di Iguala è tutt’ora in carcere con l’accusa di aver ordinato il massacro insieme alla moglie) e le forze armate”.
Nelle scorse settimane, si sono intensificate le minacce nei confronti del sacerdote, da anni impegnato nel campo della tutela dei migranti. L’ultima della lista è la falsa notizia della sua morte pubblicata in un tweet anonimo. Ma Solalinde insieme ai familiari degli studenti scomparsi continua a chiedere verità denunciando quello che sta accadendo nel paese: “Il Messico sta diventano una macchina perfetta per far sparire le persone. Negli ultimi anni sono oltre 140mila le persone scomparse senza contare gli oltre 10mila migranti morti nell’attraversare il deserto”