Il Fatto Quotidiano
29 09 2014
Un anno di reclusione, con sospensione condizionale, ed oltre mille euro di multa: questa la pena concordata con la Procura. I quattro sono accusati di prostituzione minorile. Proseguono gli accertamenti dei pm sugli altri indagati, tra i quali ci sono Mauro Floriani, marito di Alessandra Mussolini, e Nicola Bruno, figlio del parlamentare di Forza Italia
Un anno di reclusione, con sospensione condizionale, ed oltre mille euro di multa. La Procura di Roma ha dato il via libera a quattro patteggiamenti di clienti delle due minorenni che si prostituivano in un appartamento dei Parioli. Per i pm i quattro, tutti accusati di prostituzione minorile, non solo erano clienti delle due ragazzine, ma erano anche consapevoli che fossero minorenni.
La pena di un anno di reclusione, previa sospensione, concordata dagli inquirenti con i quattro clienti, è identica a quella inflitta a due clienti, Francesco Ferraro e Gianluca Sammarone, nel processo a Mirko Ieni, ritenuto il ‘dominus’ del giro di squillo che si prostituivano ai Parioli e condannato a dieci anni. Nello stesso processo sono stati condannati la madre di una delle due ragazzine (sei anni), Nunzio Pizzacalla (7 anni), Riccardo Sbarra (sei anni), Marco Galluzzo (tre anni e quattro mesi), Michael De Quattro (quattro anni).
Dopo il via libera ai quattro patteggiamenti, che consentirà agli indagati di evitare la scomoda pubblicità che sarebbe derivata da un dibattimento pubblico, gli inquirenti devono completare gli accertamenti sugli altri indagati. E sono una sessantina i clienti, presunti o tali, indagati dal procuratore aggiunto Maria Monteleone e dal pm Cristiana Macchiusi. Tra questi Mauro Floriani, dirigente di Trenitalia e marito della senatrice di Forza Italia Alessandra Mussolini, e Nicola Bruno, figlio di Donato, parlamentare di Forza Italia. Per un gruppo di clienti è stata chiesta la proroga degli accertamenti. Per coloro che risultassero non avere avuto rapporti con le due ragazzine o che fossero ignari della loro minore età si prospetterebbe l’archiviazione del procedimento.
Corriere della Sera
09 06 2014
Chiesti anche 6 anni per la madre di una delle minorenni che si vendevano a uomini. Nell’udienza con rito abbreviato, il pm insiste sulla gravità della posizione dell’uomo, considerato il principale gestore di un giro di prostituzione minorile
di Redazione Online Roma
ROMA - Sedici anni e mezzo di reclusione per Mirko Ieni: è la prima richiesta del pm al processo per il caso delle baby squillo dei Parioli. Nell’udienza di lunedì 9 giugno l’accusa ha chiesto di comminare una pena pesante all’uomo che la Procura di Roma ritiene il principale gestore del giro di prostituzione delle due ragazzine studentesse che incontravano i loro clienti in un appartamento del lussuoso quartiere della Capitale.
La scheda telefonica per contattare i clienti
A Ieni si contesta d’aver fornito alle ragazze una scheda telefonica per poter avvicinare i clienti e sempre lui aveva assunto il compito di fissare gli appuntamenti e di controllare la contabilitá delle prestazioni sessuali per ricavarne un utile. Considerato l’organizzatore degli incontri, risponde di ben 13 capi di imputazione: da qui l’entità della pena che è stata chiesta per lui. A giudizio anche i clienti Riccardo Sbarra, Marco Galluzzo, Francesco Ferraro e Gianluca Sammarone: Sbarra, noto commercialista era uno dei clienti delle giovani prostitute. Gli si contesta d’aver avuto rapporti a pagamento con le due ragazze nonchè la detenzione e cessione di materiale pedopornografico.
Otto rinvii a giudizio
Lo scorso 10 aprile la Procura aveva chiesto il rinvio a giudizio di 8 clienti e della madre di una delle ragazzine, cone le accuse - a seconda delle posizioni - di «sfruttamento della prostituzione minorile, cessione di droga, estorsione, detenzione di materiale pedopornografico». La richiesta di condanna per Ieni è stata avanzata dal procuratore aggiunto di Roma Maria Monteleone e dal pm Cristiana Macchiusi nell’udienza con rito abbreviato davanti al giudice Costantino De Robbio. Sei anni di reclusione, invece, sono stati sollecitati dall’accusa nei confronti della mamma di una delle due baby squillo. Otto mesi è la pena richiesta per uno dei clienti, Gianluca Sammarone.
Lipperatura
11 03 2014
So bene che l’argomento del giorno è la rappresentanza, ma su questo faccio al momento un passo indietro e mi concentro sulla rappresentazione. Non o non solo delle donne, in questo caso (anche se, guardando le fotografie delle deputate vestite di bianco, o con sciarpa bianca, per chiedere la parità di genere nella legge elettorale, mi sono ritrovata catapultata nei miei vent’anni, in un’aula della Sapienza piena di sole e di polvere, con Ida Magli che spiegava, pazientemente, che i simboli non si possono ignorare neppure nella più determinante delle battaglie politiche e sociali, perché i simboli ti inchiodano, e quel bianco-purezza mi ha richiamato anche la vecchia immagine della campagna contro la violenza sulle donne, con la rosa candida che si tinge di nero se immersa nel bicchiere sbagliato, e per associazione ancora il Rosa Mistica della Madonna, e così via).
Penso alla rappresentazione delle ragazze e dei ragazzi, semmai: come è forse noto, da quattro giorni si fa un gran parlare degli articoli di Beatrice Borromeo per Il fatto quotidiano, fin qui due puntate dove una ragazza e un ragazzo raccontano le proprie coetanee, ossessionate dal sesso e ansiose di perdere lo status di rosa mistica. Le reazioni sono state numerose e praticamente univoche: basta con il racconto dell’adolescenza privo di rispetto e approfondimento, basta con la narrazione delle ragazze come ciniche, indifferenti all’emotività, votate alla mala educación. Ne hanno parlato, fra le altre e gli altri, l’ottima Margherita Ferrari su Softrevolutionzine, Lorella Zanardo, Zauberei, Eretica, Nadia Somma, Un altro genere di comunicazione, La filosofia maschia.
Tutta questa cagnara per un’inchiesta, diranno i miei piccoli lettori. In effetti il punto non è tanto l’inchiesta nè l’autrice della medesima nè i toni utilizzati. E’ una generale tendenza, che sembra rafforzarsi, nella rappresentazione delle giovanissime donne (e dei giovani uomini) come generazione perduta, zoccole le ragazzine, bulli e alcolisti i ragazzini. La fascinazione giornalistica e televisiva e della società dello spettacolo tutta verso il mondo degenerante (a loro modo di vedere) ha avuto il suo picco nello scandalo delle “baby squillo“. E non sembra volersi fermare. Mi chiedo perché.
Sette anni fa, scrivendo “Ancora dalla parte delle bambine”, riflettevo sulla crescente propensione alla semplificazione nella rappresentazione: invece di cercare i contrasti, gli approfondimenti, i chiaroscuri, le cause, i contesti, tutto quello che comporterebbero le parole “analisi” e “inchiesta”, insomma, si ripropone, ogni volta ancora più smussata, la stessa immagine. Se tre mesi fa facevano notizia le “baby squillo”, ora si passa al “sono tutte puttane”. Se l’alcolismo giovanile ha destato curiosità, si rafforza il concetto: bulli, ubriachi, drogati.
Semplificare, banalizzare, appianare, rendere digeribile.
Per paradosso, mi è balzato incontro un altro ricordo di anni lontani. Kyoko Date, il primo Aidoru, o idol virtuale. Venne creata nel 1996, aveva sedici anni ed era, naturalmente, bellissima: aveva persino una storia familiare, degli hobby (pattinare sul ghiaccio, leggere manga) e dei ricordi. Come i replicanti di Blade Runner. Incise un disco, condusse un programma, recitò in alcuni spot pubblicitari, venne molto amata: ma non esisteva.
Poco prima che Kyoko Date vedesse la luce, lo scrittore William Gibson aveva raccontato la storia d’amore fra un essere umano e un’Aidoru nel romanzo omonimo. Ma la sua Aidoru era diversa: era, scrisse Gibson, pura “architettura dei desideri”, summa di conoscenza perfetta più che sex simbol. All’epoca – il 1997 – ebbi uno scambio di mail con lui. Che mi raccontò di essere stato profondamente deluso da Kyoko: “Mia moglie mi ha fatto notare che le proporzioni fra le sue gambe e il suo busto sono idealizzate al limite dell’ impossibile. Ha ragione: è come se Kyoko fosse non soltanto una creazione esclusiva degli uomini, ma di uomini che conoscono molto male le donne. E’ stata costruita pensando a quel tipo femminile che in America chiamano bubblegum. E’ feticismo del banale”. Eppure, già allora, Gibson aveva capito che le potenzialità che avevano portato alla nascita di Kyoko schiudevano prospettive impensabili fino a quel momento: “Sa qual è l’ aspetto più interessante di tutto questo? E’ che le tecnologie relative al personal computer, al Web e alla Realtà Virtuale riescono ad esternare i sogni dell’ individuale. E dunque sono portatrici di una nuova, radicale potenzialità per la democratizzazione del ruolo dell’ artista. Voglio dire che offrono a tutti noi non soltanto i mezzi di produzione (in senso marxista), ma anche i mezzi di realizzazione artistica. Ogni immagine, letteralmente, ha bisogno soltanto di un certo numero di clic del mouse per esistere”.
Gli architetti dei desideri maschili, dunque, utilizzarono allora quel che avevano a disposizione nel modo più spiccio possibile: hanno dato corpo (virtuale) a sogni piccoli. Come bere sciroppo alla fragola in una coppa di cristallo tempestata di diamanti, avrebbe detto l’Alex di A Clockwork Orange.
Gli architetti dell’informazione, inconsapevoli e smemorati, oggi stanno facendo la stessa cosa. E non è solo una questione di etica, bensì di trasmissione di conoscenza e sapere. Per questo è un bene che le ragazze e i ragazzi abbiano parlato e protestato. Ed è bene che lo facciano il più possibile.
But girls they want to have fun era una canzone piena di speranza, non dimentichiamolo.