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Violenza di genere, il piano sbagliato

  • Lunedì, 18 Maggio 2015 09:57 ,
  • Pubblicato in INGENERE

Ingenere.it
18 05 2015

ll 7 maggio è stato approvato il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, previsto dall’articolo 5 della legge n.119 del 2013 che recepiva la Convenzione di Istanbul. “È lo Stato a farsi carico dell’intero percorso di emancipazione dalla violenza delle donne che ne sono vittime e lo fa con politiche pubbliche che intervengono su più fronti rivoluzionando l’approccio politico e culturale del contrasto a questo fenomeno”, queste le parole di Giovanna Martelli, Consigliera del Presidente del Consiglio in materia di Pari Opportunità. Il documento, però, non ha ricevuto l'approvazione delle associazioni che da anni e quotidianamente lavorano a contatto con donne che subiscono violenze sessuali, psicologiche, fisiche ed economiche, attraverso la gestione, spesso volontaria, di sportelli di ascolto e centri antiviolenza disseminati su tutto il territorio nazionale.

"Il Governo Renzi perde un’occasione storica di combattere con azioni specifiche, coordinate ed efficaci la violenza maschile contro le donne attraverso un Piano che affronti le esigenze tassative poste dalla Convenzione di Istanbul per prevenire e combattere la violenza maschile" questo il commento delle associazioni D.i.Re (Donne in Rete contro la Violenza, che riunisce in Italia 70 centri antiviolenza e case delle donne), Telefono Rosa Onlus, Udi (Unione Donne Italiane), Fondazione Pangea e Maschile Plurale al testo appena approvato dal governo per recepire la Convenzione e contrastare la violenza di genere nel nostro paese. "Il ruolo dei centri antiviolenza risulta depotenziato in tutte le azioni del piano e vengono considerati alla stregua di qualsiasi altro soggetto del privato sociale senza alcun ruolo se non quello di meri esecutori di un servizio" spiegano le associazioni. Un nervo scoperto, questo, perché il supporto ai servizi di questo tipo è uno dei fattori centrali nell'attuazione di una efficace prevenzione alla violenza di genere, lo conferma anche l'EIGE nelle linee guida diffuse a marzo 2015.

Al centro delle critiche proprio il mancato coinvolgimento della società civile e di quegli attori che da anni tutti i giorni sono impegnati attivamente a fornire supporto alle donne che subiscono violenza: "le associazioni non hanno avuto parte alcuna nella elaborazione e nella stesura di questo documento – che, anzi, è stato comunicato loro senza possibilità di cambiamento. Questo piano non è stato nemmeno sottoposto alla task force governativa in materia, il cui lavoro di due anni, sia pure a volte discutibile, è stato in grande parte del tutto vanificato".

Le associazioni evidenziano, poi, problemi di coordinamento a livello locale tra le reti territoriali, con il rischio di creare sugli stessi territori più reti con gli stessi soggetti istituzionali che si sovrappongono tra loro (es. ASL, Procura, Prefettura). "La distribuzione delle risorse viene frammentata senza una regia organica e competente. Non avrà quindi alcuna ricaduta sul reale sostegno dei percorsi di autonomia delle donne" spiegano.

La distribuzione delle risorse è un altro punto dolente, le associazioni che firmano la nota la definiscono "assolutamente esigua per gli obiettivi del piano in ambito triennale, troppo sbilanciata sui percorsi di inclusione, in particolare quelli di inserimento lavorativo, a scapito dell’ascolto, dell’accoglienza, dell’ospitalità, dei percorsi di empowerment".

Inoltre, fanno notare, il linguaggio del piano è discriminatorio rispetto al genere: "non c’è la declinazione al femminile nemmeno quando si parla di figure professionali femminili".

Infine, la questione del ruolo svolto dall’Istat. "L’istituzione dello Stato che fino ad oggi ha raccolto, validato ed elaborato i dati sulla violenza di genere, è cancellata dal Piano. Viene istituita una 'Banca Dati' che sarà appaltata a privati. Con questa decisione scompare il progetto di rendere stabile e obbligatoria una periodica ricerca sulla violenza di genere. Senza queste ricerche periodiche non è pensabile – né verificabile – alcuna politica di prevenzione e di contrasto".

Una villa sottratta alla criminalità organizzata, nel cuore verde dell'Eur, dove le donne vittime di violenza potranno ricominciare a vivere. Parte da un atto, promosso dalla Commissione Legalità del I municipio e approvato all'unanimità - in collaborazione con l'assessorato comunale alla Legalità guidato da Alfonso Sabella e con quello al Sociale, diretto da Francesca Danese -, il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie nella Capitale
Camilla Mozzetti, Il Messaggero ...

Redattore Sociale
06 03 2015

8 marzo. Dal nord al sud della penisola sono una trentina le strutture, gli sportelli e i servizi, ma quasi un terzo si concentra tra Roma e Milano. La mappa in uno studio pubblicato da Ediesse. “Oggi guardare agli uomini che compiono violenza è un modo per chiudere il cerchio”

Sono 29 i centri dedicati agli uomini rei di maltrattamenti contro le donne presenti sul territorio italiano. A delineare la mappa delle strutture, sportelli e servizi che dal Nord al Sud della penisola si occupano in vario modo dei cosiddetti uomini maltrattanti un volume pubblicato alla fine dello scorso anno da Ediesse intitolato “Il lato oscuro degli uomini. La violenza maschile contro le donne: modelli culturali di intervento”. Realizzato da Alessandra Bozzoli, Maria Merelli e Maria Grazia Ruggerini lo studio aggiorna una precedente ricerca effettuata nel 2012 attraverso una rilevazione condotta tra marzo e maggio 2014. Il numero maggiore di centri si trova nel centro nord del paese, di cui 5 nella sola Milano, 4 a Roma e altri 5 sparsi tra le varie province della regione Emilia Romagna. Ma la presenza dei centri si registra anche in Sardegna dove se ne contano tre e in Campania con due realtà censite, di cui una a Napoli e l’altra a Santa Maria Capua Vetere in provincia di Caserta.

Diversi per data di nascita, modalità di sviluppo e caratteristiche all’interno delle diverse realtà locali, i centri hanno vissuto una stagione particolarmente fortunata negli ultimi due anni, lasso di tempo in cui ne sono nati ben 12, ovvero un terzo del totale di quelli esistenti. Il primo a nascere è stato il Cipm-Presidio criminologico territoriale di Milano seguito, seguito 5 anni dopo dal Centro di ascolto uomini maltrattanti di Firenze sorto nella sede della Asl. Ma solo a partire dal 2010 si assiste a un vero e proprio exploit, che vede la diffusione di queste strutture su tutto il territorio nazionale.

Quanto alla genesi, alcuni centri nascono dall’iniziativa di operatrici di lunga esperienza all’interno del centri anti violenza, che considerano centrale affrontare il nodo degli autori di reato nella lotta contro la violenza di genere. Ma non mancano i centri nati dalle associazioni di uomini, Maschile Plurale in particolar modo, che avvertono la necessità di aprire nuovi percorsi di identità maschile. In altri poi viene affrontato il tema delle relazioni familiari, soprattutto attraverso l’ascolto di uomini in difficoltà a partire dai conflitti tra le mura domestiche. Infine le esperienze all’interno degli istituti di pena che hanno aperto un filone di intervento sui sex offenders e sugli uomini maltrattanti.

Quanto ai destinatari, aumenta con il passare del tempo il numero degli uomini che si rivolgono ai centri per chiedere aiuto. Un andamento positivo non solo per i centri più consolidati come quelli Firenze (208 interventi in 5 anni e un aumento dai 9 nel 2009 ai 78 del 2013) e Torino (160 interventi in tutto), ma anche di quelli più recenti come il servizio di Modena, dove sono stati avviati 83 interventi in 3 anni. “La questione è semplice, anche se complessa – afferma Maria Grazia Ruggerini –. Oggi guardare agli uomini che agiscono violenza sulle donne è un modo per chiudere il cerchio. E ciò non significa cambiare lo sguardo, ma allargarlo e completarlo. Ammettendo che quello della violenza di genere non è un problema delle donne, ma degli uomini.

Bisogna mettere in evidenza la situazione di crisi degli uomini e della cultura patriarcale in genere. È fondamentale avere delle strutture che prendono in considerazione non solo le patologie, ma anche i valori culturali spesso introiettati dalle stesse donne. Ma – conclude – è necessario anche portare avanti delle azioni di sensibilizzazione e prevenzione tra le giovani generazioni. Bisogna lavorare sulle culture maschili per vedere quali sono i meccanismi che determinano comportamenti di possesso, di arroganza e di negazione della volontà delle donne”.

Donne che contano. Dove vanno a finire i soldi contro la violenza

  • Martedì, 23 Dicembre 2014 09:22 ,
  • Pubblicato in INGENERE

Ingenere.it
23 12 2014

I fondi messi a disposizione dal governo per contrastare la violenza sulle donne sono da poco arrivati alle regioni. Al momento non è possibile sapere come concretamente gli enti locali li stiano spendendo. A questo punto è evidente la necessità di monitorare l'efficacia delle inziative finanziate, per esempio con strumenti di budget-tracking. Perché è proprio questa la fase più delicata, in cui è necessario sapere in modo dettagliato l'uso delle risorse disponibili.

“Donne che contano” è una piattaforma opendata creata da ActionAid allo scopo di rendere facilmente consultabili le informazioni disponibili sull’uso dei fondi per prevenire e contrastare la violenza sulle donne.

Oggetto dell’analisi sono i 16,5 milioni di euro stanziati dal governo per il 2013-2014 attraverso il decreto legge n° 93 dell’agosto 2013 (convertito nella legge 119/2013) a cui si aggiungeranno - se confermate dalla Legge di stabilità - altre risorse per il triennio 2015-2017.

La mappa mostra le risorse a disposizione di regioni e province autonome e i criteri utilizzati (oltre alla popolazione) per la ripartizione geografica dei fondi: centri antiviolenza e case rifugio esistenti e nuovi centri da creare. La piattaforma si arricchirà mano a mano con le informazioni che reperiremo sull’utilizzo dei fondi nelle varie regioni - che secondo le indicazioni governative dovranno integrare gli stanziamenti centrali con risorse aggiuntive - e su eventuali ulteriori piani di intervento dal parte del governo.

Compito non facile se le istituzioni non prevedranno criteri di trasparenza nella pubblicazione e diffusione delle informazioni. Per questo in parallelo ActionAid ha lanciato la petizione #donnechecontano per chiedere ai Presidenti di Regione di pubblicare in formato aperto i dati relativi alla spesa per la lotta alla violenza sul loro territorio.

Solo in questo modo interventi, strategie e risultati raggiunti potranno essere monitorati e valutati da cittadine e cittadini, che potranno avere informazioni complete sull’impegno di governo, amministrazioni locali e regionali per prevenire e contrastare la violenza di genere.

In attesa che questo avvenga, invitiamo cittadine e cittadini a unirsi a questa ricerca di trasparenza firmando la petizione #donnechecontano e segnalandoci notizie e informazioni sull’uso dei fondi nel loro territorio.

Diciamo NO alla finta democrazia partecipata del governo Renzi

  • Martedì, 16 Dicembre 2014 13:21 ,
  • Pubblicato in Flash news

D.i.Re
16 12 2014

Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere

Il Dipartimento per le Pari Opportunità ha aperto lo scorso 10 dicembre una pubblica consultazione sul Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere. L’associazione nazionale D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza con i suoi oltre 70 centri antiviolenza non parteciperà a questa concertazione ed invita la cittadinanza ad ignorare questa sollecitazione.

Non é collezionando opinioni e commenti, critiche e suggerimenti, viziati dal pericolo serio della banalizzazione e dello svilimento del fenomeno della violenza alle donne che si affronta il tema dei diritti violati. Troppi stereotipi e pregiudizi nutrono la percezione sociale e culturale del fenomeno. I Centri antiviolenza D.i.Re, distribuiti sul territorio nazionale, lavorano su questo da oltre un ventennio anche per costruire una cultura, volta al superamento di clichè e di modelli, attraverso iniziative di sensibilizzazione e di formazione.

La nostra esperienza, i nostri saperi sono stati messi a disposizione del Governo con la partecipazione attiva ai Tavoli di lavoro della Task force interministeriale contro la violenza alle donne, coordinati dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio.

Un percorso difficile, discontinuo e poco lineare dai cui esiti abbiamo preso le distanze anche pubblicamente.

Il Governo ha perso un’occasione per fare tesoro dell’esperienza preziosa di chi con le donne lavora da decenni, mettendo a disposizione della collettività analisi, metodi e pratiche. Diciamo no a questo tipo di consultazione sul Piano!

La libertà delle donne, la prevenzione e il contrasto della violenza alle donne si costruiscono con le donne e con l’autentica partecipazione e il coinvolgimento delle associazioni.

Roma, 15 dicembre 2014

Scarica il comunicato stampa (pdf)

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