Giornalettismo
11 09 2013
Mentre il mondo commemora il dodicesimo anniversario dell’attentato al World Trade Center di New York, il Cile ricorda il «suo» 11 settembre, il giorno del colpo di stato compiuto dal generale Augusto Pinochet al palazzo presidenziale di Santiago in cui trovò la morte il presidente Salvador Allende. Con lui finiva la «Unidad popular» cilena e iniziava una dittatura militare durata diciassette anni.
IL GOLPE CILENO - Dopo mesi di tensione e un fallito colpo di stato, all’alba dell’11 settembre i caccia bombardavano la Moneda di Santiago del Cile mentre, a Valparaiso, la marina si ammutinava e i carri armati di Pinochet, che poco dopo si sarebbe proclamato «Capo Supremo della Nazione» invasero la capitale. Nei diciassette anni di dittatura, sostenuta dal governo degli Stati Uniti che mal tollerava la sinistra al potere nei paesi dell’America Latina, vennero uccise migliaia di persone che si opponevano al regime. La repressione fu durissima, e culminò con il dramma dei «desaparecidos» migliaia di persone che, ufficialmente date per scomparse, venivano invece arrestate, torturate e poi uccise senza che nessuno ne sapesse più nulla.
LA DITTATURA - Un 11 settembre, quello vissuto dal Cile quarant’anni fa, spesso dimenticato dal resto del mondo. Ma non dai cileni e dal resto dell’America Latina, che oggi ricordano il sangue sparso dal regime pinochetista. El Mundo ha raccolto la testimonianza di Lelia Pérez, che nel 1973 aveva sedici anni, e che durante i primi anni della dittatura fu arrestata tre volte e portata a Villa Grimaldi, la famosa camera di tortura della DINA, la polizia politica del regime. Studentessa alla Facoltà di Storia della Universidad Técnica del Estado, Leila finì nel mirino degli uomini di Pinochet a causa del suo attivismo contro la dittatura. Fu torturata e usata come cavia da laboratorio in esperimenti medici.
Perdevano la nozione del tempo, perché le luci erano costantemente accese. Sapevamo che era giorno o notte soltanto perché vedevamo le guardie mangiare. Avevano costruito una specie di cabina, li si commettevano le peggiori torture.
Soltanto a Villa Grimaldi furono detenute più di 4.500 persone. Di molte non se ne è saputo più nulla, così come il resto dei 38.000 desaparecidos di quei 17 anni di dittatura.
UN DRAMMA DIMENTICATO? - Un dramma che viene accostato, e offuscato, dall’11 settembre 2001, e che proprio per questo viene ricordato dal regista britannico Ken Loach nel suo cortometraggio presente in 11 Settembre 2001, che racconta di un profugo cileno a Londra, esule dalla dittatura di Pinochet, che scrive una lettera alle famiglie delle vittime dell’11 settembre americano raccontando il dramma dimenticato di una nazione.
Rassegna.it
10 09 2013
Cominciò all'alba dell'11 settembre 1973 con i caccia che bombardavano il palazzo presidenziale della Moneda di Santiago e la marina che si ammutinava a Valparaiso. Poi l'assalto dei carri armati del generale Augusto Pinochet che terminò con l'uccisione di Salvador Allende. Finiva così nel sangue l'esperienza democratica di 'Unidad popular' che aveva portato le sinistre al governo in Cile.
Oggi a Santiago del Cile, in occasione dei 40 anni del golpe, A ricordare il colpo di stato e la morte di Allende ci sono due cerimonie separate, una col presidente Sebastian Pinera, l'altra con l'ex capo di Stato e candidata dell'opposizione alle elezioni di novembre, Michelle Bachelet.
A parlare per prima è stata quest'ultima, durante una cerimonia al museo della Moneda, non molto lontano dal palazzo presidenziale della Moneda, dove a prendere la parola è stato invece Pinera. Due cerimonie, quindi, parallele e separate, che confermano come il Cile sia ancora oggi un paese diviso dalle ferite non del tutto rimarginate del golpe del '73.
“Nessuna riconciliazione è possibile se manca la verità e la giustizia”, ha sottolineato la Bachelet. Anche Pinera ha condannato, con determinazione, "le violazioni dei diritti umani. Non ci sono soluzioni davanti a tanto dolore. Sfortunatamente non possiamo resuscitare i morti né ritrovare i desaparecidos, ma dobbiamo fare quanto possibile per la riconciliazione". "Quello del '73 è stato un golpe che ha spezzato la nostra democrazia e che ha aperto la strada al regime. Ma non e' stato un golpe improvviso, bensi l'esito prevedibile di una lunga agonia e deterioramento della nostra convivenza civile", ha sottolineato, dando cosi' un'interpretazione diversa da quella della Bachelet.
Il ricordo di Allende, che secondo la versione ufficiale è morto suicida il giorno del golpe, è stato al centro degli slogan e di molti dei murales che sono stati dipinti in nove punti diversi del percorso della grande manifestazione che ieri ha attraversato le strade di Santiago. I testi facevano riferimento tra l'altro agli scomparsi ("Dove sono i desaparecidos?"), alla impunità e al 'patto del silenzio'.
"Il Cile non crede alla storia raccontata per anni. La giustizia, la verità e la memoria sono fondamentali per la costruzione di un Paese che si guardi in faccia", ha sottolineato la leader dei "Familiari dei prigionieri-desaparecidos", Lorena Pizarro. "Il perdono non vuol dire impunità. Non sappiamo - ha precisato Pizarro - dove siano i desaparecidos, così come non sappiamo chi siano i militari e i civili coinvolti nei crimini della dittatura". La marcia è stata pacifica, anche se alla fine della manifestazione ci sono stati degli scontri.
La Stampa
10 09 2013
Dopo quasi 40 anni i murales nel centro di Santiago parlano ancora di quella ferita indelebile che il Cile intero fa fatica a rimarginare. La memoria del golpe dell’11 settembre 1973 del generale Augusto Pinochet Ugarte è riaccesa dai colori gialli, rossi verdi che animano questi disegni urbani, sotto gli occhi di chiunque voglia vederli. È raffigurata la società multiculturale del Cile - dallo studente, al minatore, agli indios Mapuche - e i loro visi giganti campeggiano sui murales che misurano una media di una ventina di metri di larghezza e di tre metri di altezza.
Gli autori di queste opere sono gli artisti della Brigada Ramona Parra, un collettivo storico di intellettuali fondato nel 1968 e attivissimo durante gli anni bui della dittatura. Il nome era stato preso in prestito da quello di Ramona, una ragazza di appena 19 anni uccisa dalla polizia durante una manifestazione nel 1946. Come Ramona anche molti di questi giovani pagarono il prezzo più alto. Brillanti e pieni di talento furono arrestati, torturati, uccisi per aver appoggiato il governo di Salvador Allende attraverso la forza della loro arte. Tantissimi furono i desaparecidos. Chi è sopravvissuto non ha mai smesso di ricordare. “Lavoravamo da clandestini - racconta oggi Juan Tralma, uno dei fondatori - all’epoca non ci permettevano di fare murales così dipingevamo solo una lettera ‘R’, circondata da un cerchio con una stella dentro.” La R stava per resistenza mentre il cerchio indicava l’unione e la solidarietà. Quanto alla stella era, invece, il simbolo del collettivo. Del giorno del golpe Juan ha un ricordo nitido e preciso. “Uscimmo in strada – spiega - e cominciammo a parlare con i militari ma non credo che si rendessero davvero conto di quello che stava accadendo”. Un punto di vista speciale dunque quello di questi ragazzi, oggi adulti, su una delle pagine più dolorose della storia del Cile.