Dinamo Press
02 02 2015
La notizia della liberazione non ci ha colti di sorpresa, ma sicuramente ci ha fatto sobbalzare dalla gioia, così ci siamo catapultati di nuovo sul confine turco-siriano nella speranza di poter raccontare dal di là cosa sta succedendo. Ci speravamo ieri, appena arrivati, ma tutti tra Suruç e Mehser, ci hanno messo in guardia: sono molte le difficoltà per entrare, dall'ottusità del governo turco nell'aprire la frontiera alla presenza di molte persone in cerca solamente di uno scoop. Per noi, invece, entrare a Kobane dopo questi mesi di staffette e iniziative ha un altro significato: lo facciamo perché crediamo in questa rivoluzione e nel progetto politico della Rojava, che abbatte con coraggio i confini nelle nostre menti, oltre a quelli geografici.
Non è stato facile entrare, è stata una di quelle occasioni che si prendono o si perdono. Siamo andati a Suruç alla ricerca di un'autorizzazione governativa, che fino a ieri sera era negata a chiunque, tramite le preziose relazioni che abbiamo costruito in questo tempo. Abbiamo poi rincorso funzionari governativi tra la sede del DBP, il centro culturale Amara e i campi di rifugiati, finendo per ritrovarci in coda alla frontiera insieme ad altri 50 giornalisti. Tutto questo proprio mentre, durante una conferenza stampa nella sede del Comune, si diceva che la frontiera sarebbe stata chiusa ancora a lungo. E' stato tutto talmente veloce e confusionario che non ci siamo praticamente resi conto di essere entrati a Kobane liberata.
La città, presidiata da un gran numero di combattenti Ypg/Ypj, è totalmente distrutta e devastata. Camminando per le vie della città nel silenzio più totale, ci rendiamo conto che servirà uno sforzo enorme per riportare a casa le migliaia di sfollati - 300mila a oggi secondo le fonti del Comune, di cui solo il 10% gestito dal governo turco - perché ogni singolo edificio presenta segni inconfondibili della battaglia: piani crollati, fori di proiettili sui muri, vetrine esplose, crateri nelle strade. Non si è trattato solo di una battaglia per difendere una città: è evidente come l'Isis abbia, deliberatamente, tentato di radere al suolo Kobane per cancellare così l'esperienza politica della Rojava.
Avanzando tra le macerie - secondo il Comune di Suruc, l'80% della città è stata rasa al suolo - si possono scorgere i resti di quella che doveva essere una città di confine abitata e vivace: i numerosi negozi hanno oggi le vetrine rotte, ma i prodotti in vendita, ricoperti di polvere, sono rimasti dove erano, a immagine di una Kobane viva. Il silenzio, rotto da colpi di kalashnikov, di artiglieria e i proiettili di mortaio inesplosi a centinaia, ci ricorda che qui - e in altri 15 villaggi - la battaglia è vinta, ma che tutt'intorno la guerra continua.
In Piazza della Resistenza incrociamo alcuni automezzi dello Ypg che portano i combattenti al fronte, ci offrono un passaggio a est, e noi decidiamo di accettarlo. Ci fidiamo di loro, sono nostri fratelli e compagni, combattono il peggior nemico del mondo e hanno tutto il nostro supporto. Ci accompagnano ai piedi della collina di Mistenur, da dove sventola alta la bandiera della Rojava, e ci mostrano le posizioni occupate appena qualche giorno fa. Offriamo sigarette e dispensiamo strette di mano, mentre loro imbracciano l'Ak-47 e a gesti ci dicono che vanno in prima linea. Scegliamo di tornare velocemente, perché in vicinanza sentiamo colpi di mitragliatrice e, attraversando nuovamente quartieri totalmente distrutti, ci riportiamo in centro città. Lì incontriamo il ministro della Difesa del cantone di Kobane: racconta della battaglia e spiega che la maggior parte dei miliziani dell'Isis in città era di origine cecena, informandoci anche del fatto che, questa sera, avrebbero riconsegnato alla Turchia il cadavere di un combattente con il passaporto turco.
Su queste macerie, a partire dalla speranza che dà l'esperienza della Rojava, deve ora cominciare la ricostruzione, come ha anche affermato in conferenza stampa Ibrahim Ayhan, parlamentare curdo del HDP. “Chiediamo aiuti internazionali - sia finanziari che militari - per permettere la ricostruzione di Kobane e consentire ai suoi abitanti di rientrare”, ha dichiarato.
Da domani la nostra staffetta riparte da qui, forte del progetto dedicato all'educazione e allo sport che abbiamo iniziato a discutere in Italia con i compagni curdi, e che andremo a discutere con i rappresentanti della municipalità di Suruç.
Chiara, Fano, Marco e Momo (Centri sociali del Nord est - Rojava Calling)
Dinamopress
27 01 2015
Kobane è finalmente libera. Dopo mesi di combattimenti contro l'ISIS la resistenza esemplare del popolo curdo ha finalmente vinto. Le comunità curde festeggiano in tutto il mondo.
Dopo mesi di eroica resistenza agli attacchi dell'ISIS, stasera finalmente le forze dell'YPG/YPJ hanno annunciato che la città di Kobanê è stata completamente liberata. La popolazione di Kobanê sta festeggiando, così come le comunità curde in tutta Europa. L'Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia scrive:
questo è il risultato dell’eroica resistenza che ha visto la partecipazione di tutta la popolazione curda, donne, giovani, vecchi, bambini, e di volontari giunti a dare il loro contributo da tutte le parti del mondo. Le YPG/YPJ, in collaborazione con Burkan Al Firat e un contingente di peshmerga, non ha arretrato di un passo nonostante la grande disparità di armi e rifornimenti che vedevano l’ISIS in vantaggio: questo dimostra che quando un popolo si difende per la propria vita e per quello in cui crede, non è possibile sconfiggerlo.
Aggiornamento ore 13:00: L'Osservatorio per i diritti umani in Siria, in un nuovo aggiornamento riporta che le YPG hanno preso il totale controllo della collina strategica che permetteva il transito dei rifornimenti all'ISIS. Gli scontri continuano nel quartiere di Maqtala, dove le forze curde continuano ad avanzare nonostante l'area sia stata minata dalle milizie dello stato islamico.
Aggiornamento ore 11: dopo oltre 130 giorni le forze curde delle YPG/JPG stanno finalmente per rompere l’assedio delle truppe dell’ISIS. Nelle scorse ore si è diffusa sui social network la notizia della liberazione della città di Kobane, le forze curde starebbero avanzando e le forze dello Stato Islamico controllerebbero ormai una porzione minima della città. Nel frattempo sulla collina che sovrasta kobane, divenuta simbolo del lungo assedio, sventola da stamani una bandiera curda lunga 75 metri, in segno di vittoria.
Secondo quanto riporta l’Osservatorio Siriano per i diritti umani le forze curde controllerebbero attualmente il 90% della città. L’osservatorio riporta che le YPG, sotto il comando di Mahmoud Barkhadan, sono avanzate in diversi quartieri di Kobane mentre i militanti dell’ISIS sono stati costretti a ritirarsi nella parte orientale della città.
A testimonianza della difficile situazione militare in cui versano i miliziani dell’ISIS, un battaglione di circa 140 membri, composto in gran parte da reclute minorenni e con scarso addestramento, sarebbe stato inviato sul fronte di Kobane nel tentativo di mantenere il controllo di una parte della città.
Dinamo Press
07 01 2015
Tra il nove e il 10 gennaio del 2013, all’interno del Centro di Documentazione per il Kurdistan di Parigi, venivano assassinate a colpi di pistola tre attiviste curde.
Una di loro, Sakine Cansiz, di 54 anni, era una vera e propria leggenda per gli attivisti per i curdi di tutto il mondo. Nata nel 1958 Sakine Cansız fu attiva nel movimento giovanile studentesco di Elazığ. Si unì al movimento rivoluzionario curdo nel 1976 e partecipò assieme ad Abdullah Ocalan alla fondazione del PKK. Arrestata poco tempo dopo e sottoposta sistematicamente a tortura nelle carceri turche, rimarrà in carcere fino al 1991.
Nel 1998 Sakine ottenne l’asilo politico in Francia, per poi essere attiva politicamente sulla questione curda e sui temi delle donne in diversi paesi europei inclusa la Germania. Era membro del Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK) con sede a Bruxelles. Sakine Cansız rappresenta tutt’ora un’icona della lotta di liberazione delle donne curde. Assieme a lei vennero uccise Fidan Doğan, 31 anni, rappresentante del Congresso Nazionale Kurdo a Bruxelles e un’altra giovane attivista curda, Leyla Soleymez, di venticinque anni.
Dopo due anni i responsabili di questo massacro ancora venuti alla luce, nonostante il clamore suscitato dall’attentato avvenuto in piena Parigi. Venerdì 9 gennaio alle ore 13 a piazza Farnese, davanti l’ambasciata francese, la comunità curda di Roma darà vita ad un presidio per chiedere verità e giustizia per Sakine, Fidan e Leyla.
Di seguito l'appello di lancio dell'iniziativa
Il silenzio è dei complici!
La prossima settimana, nel secondo anniversario dell’assassinio delle militanti curde Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Soleymez, la comunità curda marcerà a Parigi per continuare a denunciare la complicità di Francia e Turchia in queste atroci uccisioni. Lo slogan che raccoglierà la giornata di lotta sarà “Il vostro silenzio è dovuto al vostro essere complici”.
Tra il 9 e il 10 gennaio 2013, all’interno dell’Ufficio di Informazione del Kurdistan nel cuore di Parigi, furono uccise a colpi di pistola tre militanti curde impegnate anche dall’esilio a costruire la pace per il loro popolo: Sakine Cansiz era tra le fondatrici del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, ancora considerato un’organizzazione terrorista dalla Turchia, dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea. Fidan Dogan era impegnata a livello diplomatico in Europa nel processo di soluzione democratica della questione curda. Leyla Saylemez era una giovane militante che aveva deciso di dedicare tutto il suo tempo alle attività dei giovani. Tutte e tre avevano dovuto sperimentare l’esilio, e sono state colpite perchè rappresentavano la forza delle donne nel movimento curdo.
Con la dichiarazione finale della prima conferenza delle donne del Medio Oriente si è deciso di fare del 9 gennaio la giornata contro i femminicidi politici.
Anche a Roma è importante mobilitarsi per rompere il silenzio, ricordando le compagne uccise con una giornata di lotta che dimostri la nostra solidarietà concreta con chi oggi sta combattendo una dura guerra contro l’Isis, per difendere il progetto dell’autonomia democratica che è contro il sistema capitalista e patriarcale, un progetto di rivoluzione sociale sulle proprie terre e un modello per tutto il Medio Oriente e oltre.
Numerosi gruppi di compagne e compagni stanno incontrando abitanti e rifugiati da Suruç al Rojava, i preziosi incontri di questi ultimi mesi non possono altro che spingerci a scendere in strada.
Venerdì 9 gennaio
dalle ore 13 alle ore 18
appuntamento davanti l’Ambasciata francese
piazza Farnese
Per chiedere che la Francia collabori a fare piena luce e a individuare tutti i responsabili, materiali e politici, dell’assassinio di Sakine, Fidan e Leyla.
Rete romana di solidarietà con il popolo kurdo
Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia (UIKI)
centro socio-culturale Ararat
Coalizione popolare internazionale contro l’ISIS
Dinamo Press
25 11 2014
Una raccolta di articoli dalla "Staffetta Romana per Kobane", un gruppo di attivisti romani in viaggio al confine turco con la Rojava [...] , per comprendere e raccontare la straordinaria resistenza del popolo curdo …
Dinamo Press
19 11 2014
Nel mezzo del conflitto siriano, nelle tre principali aree curde del nord della Siria, uno straordinario esperimento di democrazia ha folgorato tutti gli amanti della libertà. Dopo aver espulso gli emissari di Assad, e nonostante l’inimicizia di gran parte dei vicini, la Rojava non solo sta mantenendo la sua indipendenza, ma sta portando avanti la sua rivoluzione segreta. I corpi titolari del potere decisionale sono le assemblee popolari, in ogni governatorato le cariche vengono assegnate con il rispetto tanto delle diverse etnie quanto dei generi, ci sono consigli dei giovani e delle donne. Proprio le donne, unite nelle brigate delle YPG, stanno guidando l’eroica resistenza di Kobane contro l’avanzata dello Stato Islamico. Al califfo Al-Baghdadi non deve andare giù che a fermare il suo esercito siano proprio le donne che lui vorrebbe vendere come merci nei mercati di Raqqa. Non deve andar giù nemmeno che una città ribelle, con un esercito popolare e male armato, stia resistendo da oramai due mesi, quando grandi città come Raqqa e Mosul sono cadute in meno di 24 ore. Abbiamo l’impressione che Kobane da sola stia scompigliando le carte dei grandi attori internazionali nella regione, in una partita che va ben al di là della sua sopravvivenza.
Se fino all’attacco dell’ISIS sul monte Sinjar il mondo aveva ignorato la Rojava, la notizia dell’eroico salvataggio di migliaia di yazidi intrappolati in Iraq (il 3 Agosto) è stata celebrata in tutto il Medio Oriente, mentre è stata taciuta o mistificata dai media occidentali. In seguito, quando gli aerei da guerra americani hanno cominciato lentamente ad intervenire lo hanno fatto con occasionali e simbolici bombardamenti. Sappiamo però che per fermare l’ISIS sarà necessario che le popolazioni locali inizino a sognare di poter prendere in mano il loro futuro: la storia irakena degli ultimi dieci anni ci insegna che non serviranno nuove crociate a stelle e strisce per portare democrazia.
In un Medio Oriente in cui la geopolitica occidentale traccia da secoli confini sulle mappe geografiche basandosi su divisioni etniche, linguistiche e religiose, considerate a torto irriducibili, si scopre che proprio in questa terra, dove per definizione i popoli saprebbero vivere solo sotto l’egida di regimi autoritari, donne e uomini possono cooperare dal basso per una democrazia radicale, egualitaria, laica e anticapitalista. Una democrazia in cui lo sfruttamento dell’uomo sull’altro uomo e la padronanza dell’uomo sulla donna e sulla natura sono abbandonati per cercare di spezzare il circolo della violenza creato dai diversi nazionalismi in competizione per il controllo dello stato-nazione. Scopriamo che se in una società il più forte coopera con il più debole per fare rete e non per dominare l’altro possiamo intravedere “il regno della libertà”. Con la Carta della Rojava si sta mettendo in discussione un modello di civilizzazione vecchio di millenni, fondato ben prima della nascita del capitalismo. La Rojava è un esperimento pericoloso perché potenzialmente universale.
Il confederalismo democratico contiene diverse innovazioni teoriche molto interessanti, prima fra tutte il federalismo bottom-up, la possibilità dei commons di organizzarsi dal basso. Il PKK ha infatti dichiarato di non perseguire più la creazione di uno Stato-nazione kurdo indipendente. Inspirato dall’utopia insita nell’ecologismo sociale, in Rojava sono sorte comunità auto-governate basate sui principi della democrazia diretta e capaci di mettere in comune anche al di là dei confini dello Stato-nazione. Nella visione di Ocalan, il movimento curdo potrà diventare un modello per un movimento mondiale verso la democrazia diretta, la cooperazione economica e la dissoluzione delle burocrazie statali.
Nella Rojava ci siamo riconosciuti, abbiamo ritrovato quel filo che unisce esperienze lontane e non, la Comune di Parigi, le comunità zapatiste, le piazze del 15M e Occupy. Abbiamo riascoltato le voci di quei visionari palestinesi per cui la terza intifada sarà globale o non sarà affatto. Per tutte queste ragioni abbiamo deciso di andare a Suruç, la città gemella di Kobane oltre il confine turco-siriano, per cercare le connessioni con la nostra storia e costruire un’opposizione comune all’austerity ed alla guerra. Sappiamo bene che la solidarietà internazionalista è inutile se non lottiamo nei nostri territori per liberare noi stessi dal sistema di sfruttamento e di dominio.
Guerra e crisi: mettere in discussione questo binomio significa reinventare modelli di coesistenza differenti, di integrazione non unilaterale, significa chiudere i tanti ghetti in cui finiscono i migranti in fuga dalla guerra quando sopravvivono alle tragiche traversate del Mediterraneo.
Andiamo anche per capire come viene affrontato l’arrivo di migliaia di profughi in un sistema di accoglienza autogestito ed in assenza della cooperazione internazionale. Andiamo alle porte dell’Europa per cercare di creare nuove connessioni e nuove prospettive con i movimenti euro mediterranei. Andiamo immaginando un nuovo movimento no war e lo vogliamo fare insieme alle tante delegazioni di cui si compone la staffetta.
Partiamo per Suruç con un gran desiderio di formazione politica e per continuare ad agire e sognare insieme a loro. Partiamo per rompere l'isolamento in cui il PKK è stretto da anni, per costringere le istituzioni europee a togliere il Partito dei lavoratori curdi dalle liste del terrorismo internazionale e ottenere il riconoscimento politico dei Cantoni della Rojava.
Viva la resistenza di Kobane!