Donne e dolore, un binomio da cancellare

  • Giovedì, 13 Dicembre 2012 09:11 ,
  • Pubblicato in INGENERE
In genere
13 12 2012

La ricerca non riesce ancora a spiegare alcune delle sindromi dolorose più diffuse. Forse perché solo recentemente ha aperto gli occhi sulle differenze di genere. Che, anche se sono evidenti nell'osservazione quotidiana, sono state a lungo ignorate o sottovalutate
L'esperienza comune ce lo dice: in generale, rispetto agli uomini, le donne hanno una soglia più bassa e una minore tolleranza al dolore. In altre parole, se vengono pizzicate o punte se ne lamentano prima di quanto fanno i maschi. Non solo: le donne denunciano livelli di dolore cronico più severi, attacchi più frequenti e di maggiore durata degli uomini. Inoltre, sono anche capaci di descrivere meglio la sensazione dolorosa, con parole più appropriate e riconoscendo le differenze tra i molteplici tipi di dolore. Eppure queste differenze, testimoniate anche dai medici nella loro pratica quotidiana, sono state a lungo considerate ininfluenti da chi conduceva la ricerca sui meccanismi del dolore. È forse questa una delle ragioni che spiegano come mai, sebbene questo campo di indagine medica abbia prodotto negli ultimi decenni notevoli risultati, a oggi molte patologie dolorose croniche non sono ancora comprese, e un numero troppo elevato di queste rimangono non adeguatamente curate.

Anche in questo campo, come in molti altri settori della medicina, infatti, i soggetti sperimentali di sesso femminile sono stati raramente studiati a causa degli accorgimenti necessari, certamente non richiesti per il maschio. Uno per tutti: si deve valutare l’età riproduttiva del soggetto e la fase del ciclo in cui lo stiamo testando. Difficoltà che valgono tanto nei modelli animali quanto nelle donne, per le quali è determinante sapere se il soggetto è ancora in età riproduttiva oppure in menopausa, se ha avuto figli o alterazioni del ciclo mestruale. Tutte queste condizioni hanno fatto in modo che le femmine venissero quasi automaticamente escluse dai test sperimentali e clinici, fatto che ha certamente influito sul ritardo che stiamo soffrendo nella comprensione del dolore, e in particolare del dolore cronico.
Infatti, nonostante la scarsa attenzione che ricevono dal mondo della ricerca, sono proprio le donne a soffrire maggiormente di molte sindromi dolorose croniche. L’elenco è lungo. Ci sono prima di tutto le sindromi che colpiscono l’apparato riproduttivo femminile come l’endometriosi o la vulvodinia: malattie molto frequenti e incurabili nella maggior parte dei casi. Oltre a queste sindromi, esistono patologie come la fibromialgia, l’emicrania, la sindrome da fatica cronica, il mal di schiena, la cistite interstiziale che colpiscono in percentuale più le donne che gli uomini.

Se consideriamo in che modo queste malattie colpiscono donne e uomini nell’arco della vita, appare chiaro che per le donne esistono due spartiacque: la pubertà e la menopausa. Durante il periodo fertile le sindromi dolorose si presentano nelle donne in maniera maggiore, prima e dopo, invece, colpiscono le donne in misura paragonabile agli uomini. Queste modificazioni sono scarse o assenti negli uomini. È questo un chiaro segno del ruolo fondamentale degli ormoni gonadici nell’influenzare la presenza del dolore cronico nella donna.
Le differenze di genere nella percezione e risposta al dolore sono quindi da ascriversi alla sola azione degli ormoni? Il dibattito è aperto. Da una parte numerosi studi dimostrano che gli ormoni gonadici non risultano chiaramente coinvolti nella modulazione del dolore sperimentale, specialmente se acuto, cioè di breve durata, come è di solito quello sperimentale; per esempio le fluttuazioni ormonali che si registrano durante il ciclo mestruale non sembrano cambiare la sensibilità a stimoli dolorosi di vario genere sia termici, chimici o meccanici applicati di solito sulla cute dei soggetti. Dall’altra rimane il fatto, clinicamente rilevante, che le donne sofferenti di mal di testa o di altri dolori cronici sentono in maniera importante le variazioni tra le varie fasi del ciclo. Questa discordanza tra i dati sperimentali e quelli clinici ha fatto sì che si sia una inadeguata attenzione verso la funzione svolta dagli ormoni.

Un altro fattore di particolare interesse introdotto negli studi degli ultimi anni sono le interazioni sociali. Si è dimostrato con animali da esperimento come le femmine abbiano comportamenti di ‘attenzione’ verso altri soggetti sofferenti di dolore presenti nella loro gabbia, mentre i maschi non sembrano essere coinvolti. La vicinanza dei soggetti femminili ai loro simili con dolore ha un effetto analgesico, cioè diminuisce i comportamenti di dolore. Una dimostrazione del fatto che la reazione al dolore è davvero una questione di genere, una questione cioè che va al di là delle differenze sessuali e che affonda le sue radici anche nella cultura e nell’educazione. Proprio le diverse sfaccettature nella percezione del dolore - dal comportamento spontaneo e quello alimentare, sociale, sessuale, ecc – ha giocato a sfavore della ricerca delle differenze di genere nel dolore: troppe variabili, troppo complesso lo studio.

Un atteggiamento troppo semplicistico. L’inclusione delle donne negli studi clinici e l’analisi delle loro peculiarità sono essenziali se vogliamo realmente comprendere i meccanismi fisiologici del dolore.

 

Bibliografia

Meriggiola MC, Nanni M, Bachiocco V, Vodo S, Aloisi AM.Menopause affects pain depending on pain type and characteristics. Menopause. 2012, 19: 519-523.

Aloisi AM, Buonocore M, Merlo L, Galandra C, Sotgiu A, Bacchella L, Ungaretti M, Demartini L, Bonezzi C. Chronic pain therapy and hypothalamic-pituitary-adrenal axis impairment. Psychoneuroendocrinology. 2011 36:1032-9

Aloisi AM., Bachiocco V., Costantino A., Stefani R., Ceccarelli I., Bertaccini A., Meriggiola MG. (2007) Cross-Sex hormone administration changes pain in transsexual women and men. Pain 132: S60-67

Aloisi AM. and Bonifazi M. (2006) Sex hormones, central nervous system and pain. Hormones and Behavior, 50:1-7

Aloisi AM. Sorda G. (2011) Relationship of female sex hormones with pain perception: focus on estrogens. Pain Management, Vol. 1: 229-238.

“Le donne sono uccise ogni due o tre giorni e potremmo persino fare una previsione, augurandoci che sia per eccesso: entro la fine dell’anno potrebbero essere uccise altre ventitré donne. ….” Lo scrivevo il 21 ottobre scorso, il giorno in cui l’associazione nazionale D.i.Re – donne in rete contro al violenza, pubblicava sul web e sulle pagine del Fatto quotidiano, l’appello Mai più violenza sulle donne.

Una petizione per dire basta alla mattanza dopo che Carmela Petrucci era stata uccisa a Palermo dall’ex fidanzato della sorella. Una raccolta di firme che i centri antiviolenza avevano fatto per richiamare il governo italiano ad impegnarsi con politiche efficaci che spezzassero questa catena di violenze con l’attuazione del Piano Nazionale contro la violenza sulle donne, la ratifica della Convenzione di Istanbul ed il sostegno ai centri antiviolenza. La scorsa settimana D.i.Re ha scritto una lettera aperta alla ministra Elsa Fornero rinnovando le richieste dell’appello e consegnandole quasi 24mila firme.

Il conteggio delle vittime, dopo Carmela è arrivato a 121, altre sedici. E’ amaro pensarlo, ma questo 2012 si concluderà con un numero di femminicidi che non si discosterà molto da quelle 128 vittime che avevo ipotizzato due mesi fa. Questa la sequenza di violenze dall’inizio del mese di dicembre: tre donne uccise a Genova, Caserta ed Udine e poi ci sono le altre cinque donne ricoverate in gravi condizioni all’ospedale, quattro per essere state accoltellate, una per essere stata data alle fiamme dal marito. Sono aggressioni che solo per sorte non si sono concluse con la morte delle vittime e sono avvenute a Roma, Vicenza, Barletta, Macerata e l’ultima stanotte a Milano.

Intanto su molti quotidiani e telegiornali, i giornalisti e le giornaliste che non riescono a rinunciare al linguaggio che occulta la violenza sulle donne, invece di parlare di femminicidio continuano a scrivere o a parlare di raptus, di liti, di gelosie, quando invece sappiamo che si tratta di eventi che concludono anni di maltrattamenti e violenze familiari. Cronache di morti annunciate che potrebbero essere fermate o perlomeno potrebbero diminuire se vivessimo in un Paese con un governo ed un parlamento che attuassero politiche per rafforzare le donne e difenderne i diritti. Ci tocca invece una classe politica che la parola ‘donna’ la nomina e la mette in cartellone solo per gli slogan e gli spot in propaganda elettorale.

Nel frattempo le donne muoiono per la violenza di uomini incapaci di gestire rabbia, sentimenti e frustrazioni, e muoiono per l’assenza o l’ inefficacia di risposte dopo che hanno chiesto aiuto.

Nadia Somma

India, un villaggio vieta i telefonini alle donne nubili

Le giovani nubili che vivono nel villaggio di Sunderbari, nello Stato di Bihar, uno dei più poveri dell’India, dalla scorsa settimana non possono più usare i telefoni cellulari. Secondo il Consiglio degli Anziani (Panchayat), che ha deciso il bando, la tecnologia incoraggia un comportamento immorale e sessualmente improprio. Le ragazze che verranno colte in flagranza di reato dovranno pagare una multa di 10mila rupie (circa 143 euro), una bella somma per un villaggio il cui introito medio annuale è di 300 euro a persona. Il divieto vale in parte anche per le donne sposate che avranno un accesso limitato ai telefonini: potranno usarli solo dentro casa e sotto la supervisione del marito o di un altro membro maschile della famiglia.

Manwar Alam, il capo del Consiglio composto unicamente da uomini, ha spiegato che l’uso del telefonino “corrode il tessuto morale della società, promuove i rapporti pre-matrimoniali e quelli extra-coniugali, facilita la distruzione del matrimonio”. Di più. Secondo lui mandare un messaggio aumenterebbe anche gli stupri e le molestie sessuali.

Ma, invece, è vero il contrario. Il cellulare è una grande arma in mano alle donne. Le aiuta a trovare lavoro, le rende indipendenti ed è uno strumento prezioso per lanciare l’allarme se si è molestate o attaccate. Le organizzazioni femminili sono insorte in blocco contro il provvedimento. “Le ragazze – ha spiegato al Times Jagmati Sangwan, dell’Associazione delle Donne Democratiche – usano la tecnologia per venire allo scoperto e acquisire la propria indipendenza”.

Un provvedimento surreale. “Più o meno è come vietare di mangiare – ha scritto sul Guardian Kavitha Rao, una giornalista che abita a Bangalore -, se vivi in India non puoi fare a meno del cellulare”. Chiunque dal venditore di verdure, al lattaio, al vicino che saluti ogni giorno lo userà per comunicare con te: “Scrivimi un sms o dammi uno squillo è diventato una sorta di leitmotiv. Qui il business dei telefonini è in espansione come in nessun’altra parte del mondo”.
Oggi in India un apparecchio si può acquistare con 500 rupie (circa 7,5 euro). Ormai anche gli anziani ne posseggono uno. Una rivoluzione che sta aiutando i poveri, gli esclusi, quelli che vivono nelle regioni più remote, nei villaggi tagliati fuori da tutto. In alcune zone dell’India i telefonini vengono usati per distribuire informazioni sanitarie alle donne che vivono in campagna.
“Io – dice ancora Kavitha Rao – ho trovato la donna delle pulizie attraverso un sito internet che ha mandato la mia richiesta al suo cellulare. Gli anziani del villaggio parlano di moralità ma in verità hanno paura che le donne guadagnino dei soldi e che riescano meglio degli uomini. Sono terrorizzati dalla rivoluzione silenziosa che questo comporta”.

E’ difficile che la nuova legge imposta agli 8mila abitanti di Sunderbari, a ben dodici ore di macchina da Patna, la capitale dello Stato, possa fermare la tecnologia. E’ vero l”India è un Paese in cui milioni di neonate vengono uccise alla nascita solo perché femmine ma è anche un luogo che sta crescendo in fretta dove sempre più ragazze studiano e lavorano. Quel telefonino rappresenta un’emancipazione, è un’onda lunga e potente che prima o poi travolgerà anche il bando degli anziani uomini di Sunderbari.
Frontiere news
12 12 2012

Nella mattinata dello scorso 10 dicembre è stata uccisa Nadia Sidiqi, responsabile del dipartimento per le questioni femminili della provincia di Laghman in Afghanistan. La donna è stata assassinata a colpi d’arma da fuoco, mentre si recava a lavoro proprio nella giornata internazionale dedicata ai diritti umani. A dir poco inquietante è che, pressappoco 5 mesi prima, nel luglio 2012 la stessa sorte ebbe la sua predecessora Hanifa Safi, che invece subì un attentato dinamitardo.

Immediate le risposte soprattutto degli enti umanitari, che vedono nell’attentato violati diritti delle donne, oltre che un grave atto d’arresto per la cultura e la società afgana. “Non si è trattato di un atto di violenza isolato. Il fatto che la predecessora di Nadia Sidiqi sia stata assassinata appena pochi mesi fa è indice del fallimento delle autorità afgane, che non hanno saputo fornire adeguata protezione ad Hanifa Safi, a Nadia Sidiqi e ad altre donne impegnate in favore dei diritti umani” – afferma Horia Mosadiq, ricercatrice di Amnesty International sull’Afghanistan- “l’impunità nei confronti della violenza contro le donne è un fatto endemico in Afghanistan. Il governo afgano deve avviare immediatamente un’inchiesta indipendente sull’uccisione di Nadia Sidiqi e aumentare il livello di protezione per le funzionarie del ministero delle questioni femminili. Il governo dell’Afghanistan deve inoltre dare uniforme attuazione alla Legge sull’eliminazione della violenza contro le donne. Entrata in vigore nell’agosto 2009, criminalizza i matrimoni forzati, lo stupro e altri atti di violenza contro le donne ma viene applicata sporadicamente”.

Sulla stessa linea è anche Irina Bokova, direttore generale dell’UNESCO, che trova “l’assassinio inaccettabile”- dice – “L’Afghanistan sta lottando per diventare una società pacifica e giusta. Non possiamo lasciare che la violenza faccia deragliare questo compito vitale”.

Pinkstinks…ma non per Repub(bl)ica!

  • Mercoledì, 12 Dicembre 2012 09:30 ,
  • Pubblicato in Flash news
Tempo fa avevamo parlato di una bella campagna britannica dal nome evocativo di Pinkstinks, il cui claim suona più o meno così ‘c’è più di un modo di essere ragazze…’ . Pinkstinks, secondo le intenzioni dei promotori, ha come obbiettivo tutti quei prodotti, media e marketing che stabiliscono ruoli fortemente limitanti e stereotipati alle bambine (e di conseguenza anche ai bambini). Per fare questo la campagna denuncia la ‘pinkificazione’ delle ragazzine e promuove invece valori positivi – quali nuovi e più stimolanti modelli femminili, un approccio positivo alle questioni relative all’immagine corporea, un accento a tutti quegli stimoli culturali necessari che vanno oltre a ‘moda e trucchi’.

Non sicuramente una tendenza italian questa, dove lo stereotipo va fortissimo e la genderizzazione mette al sicuro il ‘vero’ maschio e la vera ‘femmina’ da tutte quelle identità fluttuanti e in trasformazione che assediano il fortino della ‘normalità’. E così, anche la sezione di Torino di Repub(bl)ica ha deciso fosse tempo di scendere in campo con l’innovativa rubrica PinkTurin, descritta in questi termini: “Una nuova sezione dell’edizione torinese di repubblica.it, tutta in rosa. Si chiama Pink Turin ed è online da oggi: quattro parole-chiave (people, lifestyle, spazi liberi, noi&loro), un ventaglio di temi che spazierà dalla moda alla vita con i figli, dai personaggi ai consumi, dal fitness alla bellezza, il tutto in chiave torinese.”

Wow, proprio quello che mancava! A proposito di stereotipi ecco il piatto ricco di tutto ciò che una donna trova imperdibile nella vita: moda, fitness e bellezza, perché la prima (e spesso unica) qualità intrinseca di una donna è l’apparenza, la vita coi figli, per l’equivalenza donna=madre (odierna o futura, non c’è scampo) e perché il ruolo di cura ce lo siamo vinte all’enalotto qualche migliaio di anni fa e ce lo teniamo, personaggi, perché si sa la donna è pettegola e smania di sapere tutto dei divi e delle dive che popolano il suo immaginario e per finire l’immancabile consumi, dal momento che prima che persone siamo consumatrici, ed è perciò bene tenerci ferrate sul tema.
 
E per chiudere in bellezza, poteva mancare una rubrica dal titolo Visto da lui, corredata da una immagine niente affatto casuale (Humphrey Bogart circondato da due bellissime donne, una Lauren Bacall che resta sullo sfondo e una Marilyn Monroe tutta sorrisi, nel cui decolletè Bogart tuffa gli occhi in maniera totalmente esplicita), nella quale troviamo una sorta di ‘pagella maschile’ sulle armi di seduzione utilizzate dalle donne – nel primo numero pollice verso per i push up e plauso per gli smalti neri, che oggi la femmina ci piace trasgressiva – Lisbeth Salander style viene suggerito…(non troppo, però! Non si sa mai che una oltre che l’aspetto venga ispirata anche dal carattere della suddetta! No, per carità, deve essere solo una somiglianza epidermica… buona solo per portare un pò di brio alle fantasie rachitiche dell’autore dell’articolo!)
Niente di nuovo sotto al sole, su questo non v’è dubbio! A quando una bella rubrica dal nome, che so, PurpleTurin, con i seguenti temi: Bondage, questo sconosciuto, riflessioni su testo yonqui di B.Preciado, autocostruzione di dildi (nella sezione fai da te & bricolage)… e poi critica al consumismo, politiche dei corpi, teorie e pratiche ecofemministe, vegan lifestyle, ritratti di donne che si sono mosse al di fuori degli stereotipi (e nella storia ce ne sono veramente tantissime, ma non se ne parla mai), artiste, attiviste, donne che non vogliono essere madri, donne che amano le donne, ecc.ecc.ecc.
I temi non mancano, manca tutto il resto: la fantasia, il coraggio, la volontà.
Fantascienza. Ebbene, continuate pure a tingere di rosa inutili rubrichette che non leggeremo mai, noi continueremo a spingere la nostra curiosità fuori dagli angusti limiti imposti dal vostro conformismo e dalla vostra paura. Pinkstinks!

 

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