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"Così dice la Bibbia". Con questa motivazione, un'associazione religiosa dell’università della città inglese ha stabilito che, d’ora in poi, nessuna persona di sesso femminile potrà più insegnare ai seminari o tenere discorsi in pubblico a meno che non sia sposata. Femministe e difensori dei diritti civili di tutto il Regno Unito sono già sulle barricate. “Questo è puro Medioevo nell’anno del Signore 2012”.

Zitte e giù dal palco. A meno che non siano sposate, “perché così la Bibbia dice”. La Bristol University Christian Union, un gruppo religioso dell’università della città inglese al confine con il Galles, ha bandito le donne dai propri incontri, lezioni e meeting. Così, d’ora in poi, nessuna persona di sesso femminile potrà più insegnare ai seminari o tenere discorsi in pubblico. “A meno che non siano accompagnate dal marito, in quel caso non ci sono problemi”, ha scritto in una e-mail agli iscritti dell’associazione il presidente del gruppo Matt Oliver. Intanto, la decisione, che ha già fatto dimettere per la sua contrarietà il segretario agli affari internazionali del movimento, manda su tutte le furie il gruppo di donne dell’Università di Bristol. Una delle dirigenti, Rebecca Reid, ha scritto su un forum: “Sono cattolica e per me tutto questo è osceno e ha dell’incredibile. È a dir poco oltraggioso nei confronti non solo delle donne, ma di tutti”.
I giornali inglesi, intanto, vanno a caccia delle reali ragioni della decisione, con l’Huffington Post Uk che è riuscito a rintracciare la versione originale dell’e-mail mandata da Oliver agli iscritti della Bristol University Christian Union. “Dopo una lunga riflessione su questo tema – ha scritto il presidente – e cercando la saggezza di Dio e discutendo su di essa con tutto il comitato, abbiamo preso questa decisione sull’insegnamento da parte delle donne. Noi tutti abbiamo le nostre idee su argomenti quali le donne e il loro ruolo di speaker, convinzioni che spesso trovano riscontro nell’organizzazione delle chiese che scegliamo di frequentare. È buono e giusto che noi tutti manteniamo le nostre idee che rispecchiano l’insegnamento della Bibbia”. Ma non è solo l’Huffington Post a lanciarsi sulla vicenda. Femministe e gruppi per la difesa dei diritti civili di tutto il Regno Unito sono già sulle barricate. E il principale gruppo femminista del Regno Unito, che ha sede proprio a Bristol, fa sapere: “Questo è puro sessismo, è una decisione ampiamente discriminatoria e profondamente offensiva”.
Il ruolo delle donne nelle chiese e nei gruppi cristiani non è mai stato così al centro del dibattito pubblico come in questo momento, dopo il voto della Chiesa anglicana che ha rigettato la proposta di concedere alle donne l’accesso alla “poltrona” di vescovo. La chiesa d’Inghilterra di è spaccata a metà e lo stesso Rowan Williams, arcivescovo uscente di Canterbury e quindi la principale figura della Chiesa anglicana dopo la regina, ha detto che ora “la comunità cristiana inglese ha molto da spiegare e ha delle decisioni da motivare”. Non è un caso, quindi, che la vicenda di Bristol faccia notizia proprio ora, con tutta una comunità, quella cristiana appunto, che si interroga sui diritti delle donne nella Chiesa e nella società.
Intanto, a Bristol, il gruppo universitario per l’uguaglianza e il welfare, un movimento aconfessionale, sta cercando di entrare a patti con la Bristol University Christian Union. Obiettivo, portare il gruppo a un ripensamento, anche secondo le indicazioni delle femministe. Che hanno detto: “Questo è puro Medioevo nell’anno del Signore 2012”.
I nuovi libri - volumi di inglese destinati alla scuola superiore pubblica - sono già in fase sperimentale ma l'autorizzazione finale attesa a fine anno scolastico.
Fotografie di donne nei libri di scuola in Arabia Saudita. Succede per la prima volta nel regno saudita, ma solo nei volumi di inglese destinati alla scuola superiore pubblica. Lo riporta il quotidiano al-Hayat, ricordando che dal 1926 il sistema scolastico saudita vietava la pubblicazione di fotografie che ritraevano donne nei libri di testo in dotazione delle scuole sia femminili, sia maschili. Nell'attuale anno scolastico, invece, per la prima volta saranno a disposizione volumi scolastici che contengono fotografie di donne. I nuovi libri sono gia' in fase sperimentale, ma l'autorizzazione finale e' attesa per la fine dell'anno scolastico. Le immagini di donne che appaiono nei libri di testo sono velate, ma non c'è dubbio che la loro pubblicazione rappresenta un seppur piccolissimo un passo in avanti rispetto alla precedente raffigurazione esclusivamente grafica dei soggetti femminili. Nel dettaglio, un libro di testo inglese per il terzo anno delle scuole superiori contiene la fotografia di un'infermiera con il capo velato e una maschera mentre prepara un'iniezione. A seguire viene pubblicata una fotografia di una ragazza in un laboratorio. Sembra che nell'immagine originale la donna avesse il capo scoperto e che solo in un secondo momento e' stato aggiunto il velo.
29 11 2012

Forse è questo il segreto: riuscire a dialogare e a rispettare gli altri, a guardarli sempre come semplici esseri umani, al di là della loro religione o in altri casi la fazione politica o il paese d'origine.    

di Carlotta De Leo

Minuta, graziosa e ancora frastornata per il successo inaspettato. Hadas Yaron, 22enne di Tel Aviv, ha vinto la Coppa Volpi all’ultima mostra di Venezia e ora arriva a Roma per accompagnare l’uscita del film-sorpresa che ha convinto giuria, pubblico e critica della Laguna: «La sposa promessa» di Rama Buhrstein (attualmente nelle sale, distribuito dalla Lucky Red). Una pellicola che racconta, in maniera semplice e oggettiva, i principi della comunità ebrea ultra ortodossa chassidica di cui fa parte la stessa regista. Una comunità chiusa a a qualsiasi forma di modernità, niente tv, niente cinema. E anche le donne, immerse in una cultura così patriarcale, vivono secondo rigidi precetti di separazione dei sessi e i loro matrimoni spesso vengono combinati.  «Anche Shira, la protagonista del film, fa parte di questo mondo e il suo futuro sarà scelto dalla famiglia. E per me, da laica, era difficile entrare in questa prospettiva. Ho chiesto alla regista di darmi i compiti a casa, di indicarmi dei libri da studiare. Lei però mi ha detto solo di leggere attentamente la sceneggiatura e di non riempirmi la testa di queste cose. Dovevo solo leggere la sceneggiatura e cercare di provare le stesse sensazioni di Shira».
Shira ha 18 anni ed è promessa sposa ad un giovane della sua stessa età: un matrimonio combinato che però le fa battere il cuore. Il suo sogno d’amore, però, va in frantumi quando durante la festa del Purim la sorella maggiore Esther, muore di parto mettendo al mondo il suo primogenito. Poco dopo a Yochay, il marito di Esther, viene proposto di unirsi ad una vedova belga. Per evitare che l’uomo lasci Tel Aviv e porti con sé il suo unico nipote, la mamma propone un’unione tra la giovane Shira e Yochay. Shira dovrà dunque scegliere se ascoltare il suo cuore o seguire la volontà della famiglia. «Shira  è una ragazzina che  durante il film diventa donna. In questo senso mi sento anche io molto vicina perchè sono in un’età di passaggio- racconta Hadas – Tra noi, però, c’è una grande differenza: quello che Shira vive nel film, le emozioni travolgenti, la storia d’amore e il matrimonio sono tutte cose che lei vede e sperimenta per la prima volta. Un esempio banale: lei non ha mai visto nemmeno un film d’amore e non sa cosa voglia dire innamorarsi. Io ho visto la mia prima commedia a nove anni… ».

La forza straordinaria del film è che a prima vista sembra non contestare in alcun modo i precetti religiosi, anche quando impongono a una ragazzina di sacrificare il suo futuro e i suoi sentimenti. Eppure, dietro questo sguardo di accettazione, i silenzi, le esitazioni e i comportamenti dei protagonisti compongono un ritratto meno schematico e semplicistico. Insinuano dubbi, insomma, su ciò che sia veramente giusto. E questo è merito della regista – nata a New York e diventata molto religiosa solo dopo il diploma – che usa il cinema proprio per far conoscere la comunità ultra ortodossa al mondo. «Conoscere Rama è stato conoscere l’intera comunità – dice Hadas -  Tutti i venerdì sera durante la lavorazione del film andavamo a cena a casa sua, abbiamo assistito di persona a tutte le cerimonie che si vedono nel film: un matrimonio, una circoncisione e abbiamo parlato con un importante rabbino di Gerusalemme. Tutto quello che si vede nel film noi lo abbiamo vissuto per cercare di calarci nei nostri personaggi e nella storia».
Ma lei Hadas, giovane e laica, cosa ne pensa di questo mondo di femmine remissive in una società che non tiene conto dell’evolvere dei tempi?
  
«Chi guarda da fuori la comunità chassidica pensa che le donne siano messe in un’angolo, che non abbiano diritto di parola. Ma quello che ho imparato dalla regista Rama e dalle altre  ortodosse che ho conosicuto sul set è che queste donne sono molto forti, prendono decisioni e scelgono».
In effetti le donne hanno un ruolo predominante come madri (quindi anche trasmettitrici dell’ortodossia) e consigliere. Ma, va ricordato, il matrimonio è quasi un obbligo e spesso è combinato dalla famiglia. Inoltre, le donne non possono studiare la Torah nelle yeshivah (scuole religiose) e  dall’ infanzia fino, in età adulta, vivono competamente separate dagli uomini proprio perchè è vietato ogni contatto fisico prima delle nozze. «Grazie a questo filma ho scoperto che esiste una grande comunità di ultra otrodossi a Tel Aviv di cui io non sapevo quasi nulla – ammette la protagonista – Vivono in centro, in una zona molto frequentata, piena zeppa  di centri commerciali, negozi e locali. Dopo le riprese, un giorno stavo passeggiando per la strada principale con indosso i vestiti di tutti i giorni e ho incontrato la figlia della regista, una ragazzina molto bella che fa parte della comunità. Lei mi aveva conosciuto solo con gli abiti di scena, simili a quelli che portava lei. Ci siamo salutate, ma l’incontro è stato davvero strano e interessante. Adesso che so dell’esistenza di questa comunità ci farò molto più caso e la guarderò con occhi diversi».
La cronaca di questi giorni impone una riflessione più ampia. Il film racconta una minoranza ma è anche un esempio di convivenza, sottolinea principi e valori che a prima vista si contraddicono e poi trovano una sintesi. E’ questa la chiave del dialogo tra Israele e Palestina? «Non so, mi piacerebbe poter avere la risposta. Quello che è accaduto sul set è che persone diverse, laiche e religiose, hanno lavorato insieme e si sono rispettate a vicenda. Nessuno ha cercato di indottrinare gli altri. Abbiamo capito che ci trovavamo di fronte esseri umani come noi e c’è stato un dialogo profondo» ricorda Hadas.
  
«Forse è questo il segreto: riuscire a dialogare e a rispettare gli altri, a guardarli sempre come semplici esseri umani, al di là della loro religione o in altri casi la fazione politica o il paese d’origine. Se questo succedesse ovunque, se noi guardassimo il prossimo come un essere umano degno del nostro rispetto, forse riusciremo cambiare le cose per davvero. Almeno è quello che spero».

Un normale tracollo di pressione

  • Lunedì, 26 Novembre 2012 10:02 ,
  • Pubblicato in Flash news
Lipperatura
26 11 2012

Non so se la storia proceda per salti o scelga percorsi sotterranei, se sia abbia le molle o le ali degli angeli che guardano alle proprie spalle. Credo però che sia giusto l’ammonimento che sabato pomeriggio, durante la discussione su Donne, media e società a Lugano, la storica Nelly Valsangiacomo ci ha rivolto: leviamoci dalla testa l’idea secondo la quale stiamo procedendo in modo lineare, seguendo  sorti magnifiche, progressive ed evolutive. Le donne, per esempio, credevano di aver raggiunto i propri obiettivi già altre volte, dalla Rivoluzione francese in poi: invece, si torna indietro e di nuovo si procede e di nuovo si torna indietro.

Mentre si discuteva nell’Auditorium dell’Università, in decine di città italiane si preparavano le manifestazioni contro il femminicidio che si sono svolte ieri: e sono state tante, e sono state importanti, e i giornali hanno pubblicato fotoracconti e inchieste e statistiche, e speriamo che non sia solo per un giorno.

Ma mentre si discuteva, a me sono venuti in mente alcuni passaggi del libro di Guido Crainz, Il paese reale, che vi invito a leggere. Raccontando l’inizio degli anni Ottanta, e quello scivolamento dal noi all’io che oggi gli psicoanalisti chiamano - con giusta preoccupazione - narcisismo di massa,  e che il Censis, guarda caso, aveva predetto fin nel 1968 registrando una “intensificazione degli egoismi soggettivi”, Crainz riporta, semplicemente, brani di articoli. “Sposarsi in bianco torna ad essere felicità”, titola il Corriere della Sera nel 1982. Un anno prima, Adriana Mulassano firma sullo stesso quotidiano un articolo che si chiama “Perché il raso è rivoluzionario”, dove spiega che “grazie al femminismo le donne si sono talmente liberate da non aver più bisogno di travestirsi da uomini e da suffraggette per avere una credibilità”. Peccato, le risponderà Marina Luraghi, caposervizio moda di Annabella, che il rilancio del raso sia “frutto di una perfetta operazione commerciale”.

Sembrano discorsi dell’altro ieri, e invece risalgono a una trentina d’anni fa (basterebbe sostituire l’incolpevole raso con la copertina di un romanzo della James e il gioco di specchi sarebbe perfetto). A volte ritornano, certo: ma l’enfasi sui ritorni non è sempre spontanea. Sempre Crainz riporta parte di un documento della Rizzoli riservato allo staff direttivo del gruppo. Il testo era del 1977, si chiamava Scenario e diceva:
“Dal 1979 al 1981 crescerà la disaffezione per la politica e per i partiti, con i suoi contorni di calo della partecipazione e di ritorno al privato. Questi fenomeni hanno e avranno molte cause: un normale tracollo di pressione dopo anni di effervescenza collettiva; la frequente contestazione delle leadership esistenti…I partiti ne usciranno indeboliti: specie il partito comunista, verso il quale maggiori e più recenti erano state le attese”.

Ognun sa com’è andata. Però la storia dovrebbe essere letta e studiata, anche per cercare di non infilarsi nello stesso errore.
E vengo al secondo ammonimento, ancor più prezioso, ricevuto da Nelly Valsangiacomo. Pensare di isolare la questione della disuguglianza femminile dalle altre disuguaglianze non porta lontano. “Siamo tutti d’accordo nel condannare la disparità di genere”, ha detto (d’accordo a parole, ho pensato io). “Ma sicuramente se pronunciassi il termine “classi” cominceremmo a litigare”.

Allora, all’indomani di una giornata importante, sarebbe altrettanto importante - anzi, vitale - riflettere su questo punto: la questione femminile spalanca le porte su altre disuguaglianze, non solo di genere. Pensare di affrontare la prima mettendo da parte le altre condanna, a mio parere, alla sconfitta.

Buon lunedì.

DONNA E FAMIGLIA

  • Giovedì, 08 Marzo 2012 08:02 ,
  • Pubblicato in Diritti
di Simona Napolitani
8 marzo 2012

L’8 marzo – festa della donna - è l’occasione per verificare il percorso della donna nel diritto di famiglia, cosa è cambiato rispetto alla sua posizione, quali sono oggi i suoi diritti, quali i suoi doveri.

La Riforma del Diritto di Famiglia del 1975 è stata un traguardo raggiunto con fati-ca, le norme antecedenti contenute nel codice del 1942 avevano recepito l‘imma-gine di una forte famiglia in un forte Stato, già fermamente voluta nel codice Napo-leonico, si tratta della famiglia retta sul principio di autorità del marito padre, al quale spettavano poteri quasi assoluti di indirizzo e di governo, rispetto ai quali la moglie ed i figli si trovavano in una posizione di totale dipendenza e di assoluta soggezione, sia sul piano personale, sia sul piano patrimoniale.

Solo con la Riforma del 1975 si realizza una ridistribuzione dei poteri all’interno della famiglia, a vantaggio dei soggetti tradizionalmente deboli: la moglie e i figli, con un fondamentale passaggio dalla famiglia come istituzione, nella quale il pa-dre riveste la qualità di “capo” a quella della famiglia come formazione sociale, che nasce dalla libera scelta della persone, che si basa su vincoli di affetto e di so-lidarietà.  Le nuove norme producono modifiche sostanziali al descritto assetto au-toritario: il marito non ha più il governo della famiglia, si dà voce alle donne ed ai figli minori, in passato relegati ad una condizione di mera soggezione.

La nuova legge valorizza la persona, l’individualità di ciascun componente e nei rapporti tra coniugi, il principio di uguaglianza e la regola dell’accordo costitui-scono gli assi portanti della nuova disciplina;  si dà valore ad una gestione parita-ria degli affetti e degli affari familiari.
Viene dato ancora rilievo al lavoro casalingo, con l’introduzione del famoso istituto della comunione familiare, secondo cui – come principio generale - gli acquisti compiuti durante il matrimonio diventano di proprietà comune e si disciplina l’impresa familiare. Le nuove norme nascono dalla necessità di compensare il la-voro casalingo delle donne, per cui l’equazione alle mogli il lavoro di cura e agli uomini il lavoro professionale trova una risposta  nella condivisione del patrimonio economico e si è evitata così quella soggezione economica, cui la donna era sot-toposta.

Questo, per estremo riassunto, il contesto normativo, ma l’attuale legge non riesce a eliminare una posizione di inferiorità della donna che, nonostante l’evoluzione della coscienza sociale, delle strutture economiche e del mondo del lavoro, pur-troppo non muta. La nuova situazione di parità necessita anche di una diversa or-ganizzazione dello Stato sociale (asili nido, scuole, assistenza medica, assistenza per i genitori anziani, ecc.ecc) e di una nuova e diversa disciplina del mondo del lavoro; senza tali innovazioni si continuerà sempre a registrare nei fatti la persi-stenza di molteplici ostacoli alla realizzazione della parità sostanziale tra uomo e donna.

Nella sostanza, con la separazione si assiste ad una situazione di grave conflitto, nel quale la donna ritiene di uscirne sconfitta e l’uomo, per la maggior parte dei casi, privato dei suoi mezzi fondamentali di sostentamento.
Hanno ragione entrambi.
In realtà, la separazione, nonostante il positivo sviluppo della posizione della don-na all’interno della famiglia e della sempre maggiore considerazione della figura di moglie e di madre che il diritto ha recepito e fatta propria, obbliga ad una riorga-nizzazione delle relazioni familiari che penalizza tutti i componenti il nucleo, ma-dre, padre e figli.

Nei fatti, è vero che la donna è in genere destinataria del collocamento dei figli, dell’assegnazione della casa coniugale e dell’assegno di mantenimento per i figli e talora anche per sè, ma in concreto diviene il centro di riferimento della crescita dei figli, che tolgono e assorbono spazio rispetto all’attività professionale e alla possibilità di carriera della donna; l’assegno di mantenimento per i figli, quand’anche la donna abbia un suo reddito, non è assolutamente sufficiente per affrontare tutte le spese che via via si rendono necessarie. Infine, è difficile che si realizzi un’intesa per la gestione dei figli, che viceversa porta spesso notevoli in-comprensioni tra padre e madre, i quali invece di essere collaborativi e di ricono-scere l’uno il ruolo dell’altro, tentano disperatamente di prevaricare e di creare al-leanze più o meno nocive con i figli, per cancellare l’altro genitore.

Non è vero che la donna che si separa mantiene lo stesso tenore di vita, goduto in costanza di matrimonio, d’altro canto i mariti e i padri che si separano sono spes-so ridotti in una situazione di grave difficoltà economica e spesso sono costretti a vivere in condizioni di disagio. D’altronde, basta un semplice calcolo aritmetico: se con uno o due redditi da lavoro vive una famiglia, è ovvio che se con quello stesso importo devono vivere due nuclei familiari (due affitti, doppie utenze, ecc.ecc.), ognuno di questi avrà una somma mensile  a disposizione di gran lunga inferiore a quella di cui disponeva prima, in costanza di matrimonio.

La separazione è un lusso che – se da una parte consente ai coniugi di vivere se-paratamente, dall’altro crea grossi squilibri nelle relazioni familiari ed esistenziali – necessiterebbe di un importante presenza e di un consistente sostegno da parte dello Stato.
Aspettiamo fiduciosi un intervento del Legislatore.

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