Ingenere
16 09 2015
Torna a Roma il 19 e il 20 settembre 2015 Educare alle Differenze, la rete nazionale - nata lo scorso anno dall’appello promosso da SCOSSE (Roma), Stonewall (Siracusa) e Progetto Alice (Bologna) - per "sostenere la scuola pubblica, plurale, inclusiva e democratica". 250 co-promotori tra associazioni, gruppi di ricerca, comitati genitori, 9 tavoli tematici paralleli, oltre 60 relatori/relatrici selezionati grazie a una call pubblica, oltre 500, le pre-iscrizioni individuali pervenute da ogni parte d’Italia per assistere ai workshop gratuiti: questi i numeri alla vigilia della due giorni dedicata all'educazione alle differenze e all’affettività.
I protagonisti? Insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, genitori, docenti universitari, esperti/e in studi umanistici e scienze sociali, in comunicazione e politiche europee, case editrici, attiviste/i lgbt, giornaliste/i, assistenti sociali, artisti/e e rappresentanti delle istituzioni. Tutti in diversi modi attivi all'interno di laboratori, scambio di buone pratiche, condivisione orizzontale di metodologie e strumenti didattici incentrati sulla valorizzazione delle differenze, il contrasto alla violenza di genere e al bullismo omofobico dentro e fuori la scuola.
Un programma ricco, quello dell'edizione 2015, che prevede anche dei tavoli di discussione con istituzioni ed enti locali. "In un clima inquinato da violente polemiche e gravi mistificazioni sui contenuti, le metodologie e gli obiettivi dei progetti di educazione sentimentale e sessuale nelle scuole" scrivono le associazioni promotrici "Educare alle differenze è l’occasione giusta per conoscere che cosa davvero si fa nelle aule italiane per promuovere parità e rispetto e costruire una società aperta e inclusiva".
Il Fatto Quotidiano
17 06 2015
Su WhatsApp imperversa la diffusione di un volantino che sta terrorizzando le mamme di tutta Italia. Qualcuno afferma che la fantomatica e inesistente ideologia gender sarebbe il primo passo per l’inferno, consentirebbe l’infiltrazione dell’ateismo negli animi dei bambini, e guai a pensare che dei bimbi possano comunque essere liberi di scegliere la propria religione da grandi, quando sono consapevoli. Il gender poi provocherebbe un’altra serie di cose apocalittiche, inclusi terremoti, tsunami, la pioggia acida, l’invasione delle cavallette e l’atterraggio degli alieni in navigazione per l’universo su una navicella spaziale chiamata gay.
Che altro è scritto sul volantino? Ah si, ecco, è scritto che l’Oms, che viene erroneamente definita come organizzazione mondiale della salute (è della sanità) avrebbe rilasciato, in relazione ai corsi di educazione di genere, le seguenti linee guida:
– da zero a quattro anni, masturbazione infantile precoce.
– dai 4 ai 6 anni, masturbazione, significato della sessualità, il mio corpo mi appartiene. Amore tra persone dello stesso sesso, scoperta del proprio corpo e dei propri genitali.
– dai 6 ai 9 anni, masturbazione, autostimolazione, relazione sessuale, amore verso il proprio sesso, metodi contraccettivi.
– dai 9 ai 12 anni, masturbazione, eiaculazione, uso di preservativi. La prima esperienza sessuale. Come fare l’amore con il partner dello stesso sesso.
– dai 12 ai 15 anni, riconoscere i segni della gravidanza, procurarsi contraccettivi dal personale sanitario, fare coming out.
– a partire dai 15 anni, diritto all’aborto, pornografia, omosessualità, bisessualità, asessualità.
C’è dell’altro: si insiste con la balla che i bambini sarebbero obbligati a frequentare corsi di educazione al rispetto dei generi, quelli che in realtà non solo sono facoltativi, se ne esiste traccia nella programmazione scolastica, ma servono a prevenire il bullismo. Naturalmente si dice anche che i bambini sarebbero obbligati a fare le cose deliranti e assurde descritte nel volantino.
Mi chiedo quale delirante e morbosa mente abbia concepito una simile distorsione. Come fanno le mamme a credere a tante e tali idiozie? Come si fa a pensare anche solo lontanamente che a scuola si possa consentire la masturbazione, gli approcci sessuali e via dicendo?
Questa è una vera e propria caccia alle streghe ed è condita di tutti gli elementi che sono soliti in ogni zona inquisitoria che si rispetti. Presunzione di colpevolezza, fabbricazione prove false per condannare la strega e diffusione del timore attraverso il terrore psicologico per fare restare le pecorelle tutte all’interno dello stesso gregge e dunque averne ancora il pieno controllo.
Vorrei seriamente capire quale sia l’adulto che immagina che queste calunnie siano vere. È una allucinazione collettiva. Si tratta di qualcosa che non dovrebbe esistere nel 2015. Invece siamo in pieno oscurantismo e questo, a me, personalmente, fa molta paura.
Davvero si ritiene che cercare di difendere i diritti delle persone di altro genere costituisca un pericolo per le persone etero? C’è mai stata una persona etero aggredita da un gay, da una lesbica? Quante sono le persone glbt aggredite da persone etero e anche piuttosto e solitamente naziste?
Il vero pericolo sociale è la violenza che si scaglia contro persone inermi, contro chi tenta di fare evolvere la cultura in direzione di una maggiore tolleranza per la diversità. Il vero pericolo sociale siete voi che inventate queste stronzate e le diffondete a chi, per pregiudizio o ignoranza, finisce perfino per crederci.
L’associazione Scosse, a ragione, parla di una campagna diffamatoria contro la scuola pubblica. Ricorda che la scuola è fatta di inclusione e non di esclusione. È fatta di rispetto per l’altr@ e non di istigazione all’odio, e questa crociata portata avanti a suon di bufale, per generare confusione e legittimare l’omofobia quando c’è, non è che il segno tangibile di una sempre più precaria capacità di praticare coerentemente democrazia.
Ricordate cosa? Quella in cui tutti valgono uguale. Ma proprio tutti. E su questo non si discute.
Abbatto i muri
15 06 2015
Vi ricordate i libretti su Educare alla diversità a Scuola? Quelli stampati e messi a disposizione con il bollino del Miur (ministero istruzione università ricerca)? Ecco: dopo numerose opposizioni, i mal di pancia preteschi, il giro di volta cardinalizio con tutti i vari deliri sull’esistenza di una fantomatica “ideologia gender”, il Miur ha abbandonato la strategia nazionale di contrasto contro le discriminazioni basate sul genere e l’orientamento sessuale.
I prossimi casi di bullismo omofobico nelle scuole, legittimato anche da chi immagina che la prevenzione alla violenza sia un modo per colonizzare le menti dei bambini, ché, capisco, devono continuare ad avere la testa colonizzata di ogni tipo di cazzata che viene detta loro in nome della difesa dell’ideologia Etero/Cattolica/Omofobica, li addebiteremo agli alieni, o agli stessi genitori di questi bambini che non hanno avuto il buon gusto di annegarli da piccoli o di non consegnarli alle terapie “riparative” allo scopo di condurli, dritti dritti, alla disistima di sé, alla depressione, e, perché no, anche al suicidio.
Alla fine la Chiesa vince sullo Stato Laico, grazie a un governo e a ministri codardi e che, ultimi nella storia dell’occidente, ancora insistono nel considerare altre culture, quelle che ispirano le impiccagioni o le incarcerazioni dei gay, retrograde. Invece noi, che culo!, non li impicchiamo in pubblica piazza, non vietiamo loro di parlare ed esprimersi, ma giochiamo tutte le nostre carte per farli sentire in colpa, isolarli, indurli a condurre una vita ritirata, a fare certe cose in privato e mai in pubblico, e che la smettano di pensare di poter costruire famiglia, con figli e tutto, perché in quel caso la chiesa si finge femminista volendo ordinare alle donne di fare figli solo entro famiglie etero. Se sei lesbica invece non va bene e ancora di più non va bene se presti l’utero per fare un figlio per una coppia gay.
Abbiamo poi tante preghiere destinate alla salvezza di froci, trans, lesbiche, tutta quella gente molto confusa, che dovrebbe smetterla di sentirsi superiore agli etero. Non sono forse gli etero la componente sociale sulla quale si regge l’equilibrio, normativo, dell’intera società? Allora tutti in piazza a sentinellare. Io sentinello, tu sentinelli, egli/ella sentinella, noi sentinelliamo, voi sentinellate, essi sentinellano. Ovunque. Fuori. Dentro la scuola che dovrebbe essere pubblica ma non lo è.
Oh, come prossimo libro di testo che ne dite se scegliamo una raccolta di discorsi a caso presi dal repertorio di qualche cardinale omofobo? Vedrete come aumenteranno le iscrizioni…
Ed è l’ultimo post amorevole e amoroso che scrivo prima del fermo chirurgico. State bene. Ci risentiamo tra un po’ di tempo. E buona lotta e buona resistenza a tutt*.
Corriere della Sera
23 11 2014
Per superare violenza e stereotipi può bastare l'educazione di genere? Gli interventi nelle scuole, i progetti e i linguaggi
di Antonella De Gregorio
Pochi giorni fa l’Ocse ha reso nota un’analisi che dice che un 15enne bollato come “ignorante” dai test che valutano le competenze degli studenti a livello planetario, non ha chance di recuperare il terreno perduto: chi ha lacune nelle competenze di base – dalla lettura al far di conto – se “misurato” una decina di anni dopo o più, non ottiene risultati migliori. Il discorso vale anche per l’alfabeto delle emozioni, l’aritmetica degli affetti, l’analisi grammaticale del rispetto. Ci sono momenti in cui conoscenza e individualità sono massimamente plasmabili. Poi, le difficoltà mettono radici, i modelli si cristallizzano, gli stereotipi prendono il sopravvento. Lo si è ben compreso, nelle riflessioni che hanno portato alla Convenzione di Istanbul e che accompagnano la “Giornata” indicata dalle Nazioni Unite come simbolo della lotta globale alla violenza sulle donne: non basta denunciare e combattere i numeri dolorosissimi (80 vittime di amori malati, nell’anno ancora in corso; 128 nel 2013; milioni di gesti violenti). O mostrare sondaggi tremendi che raccontano che per un italiano su 5 gli sfottò a sfondo sessuale rivolti a una donna sono accettabili; per uno su tre la violenza interna a una coppia è una vicenda privata; che gli abiti provocanti chiamano violenza; e che una donna che resta con un marito che la picchia “se le va a cercare”.
Solidarietà, tolleranza, accettazione sono pillole da somministrare prima possibile. Strumenti da maneggiare fin da bambini, per prevenire e soffocare le peggiori forme di discriminazione. Eliminare la violenza di genere, insegnare il rispetto tra uomini e donne. Per incidere, non bastano manifestazioni, spettacoli e flash mob, ma bisogna parlare ai bambini e ai ragazzi. Usare la loro lingua. «Presto, prestissimo, prima che sia troppo tardi», dice Silvia Carboni, psicologa, responsabile del servizio minori della Casa delle donne di Bologna. «Gli stereotipi incominciano quando, in culla, si dice che la bambina è bella e il maschietto è forte». L’educazione al genere? «Dovrebbe partire dalla materna, dalla scuola primaria, insieme ai diritti dei bambini e al rispetto di tutti». Possibilmente coinvolgendo anche educatori uomini, proponendo modelli alternativi. «Nelle scuole medie bisogna lavorare sull’educazione alla differenza. Alle superiori, analizzare le relazioni tra adolescenti, capire quale percezione hanno della violenza, aiutarli a comprendere che la prevaricazione è una questione culturale, non psicopatologica». La strada più efficace che abbiamo sperimentato – dice ancora Carboni – è stata quella di formare i ragazzi più grandi perché intervenissero e aiutassero nel percorso i più piccoli. Peer education: il messaggio veicolato dai pari è ancora più potente».
Nadia Muscialini, autrice del manuale Di pari passo – usato dal 2011 per accompagnare interventi in un’ottantina di scuole secondarie di primo e secondo grado, che hanno coinvolto 1.800 ragazzi e 1.700 adulti – spiega cos’ha spinto Soccorso Rosa – centro antiviolenza dell’ospedale San Carlo di Milano di cui è responsabile – insieme a Terre des Hommes, nelle scuole: «Vediamo in nove mesi 420 donne vittime di violenza, l’80% ha figli che crescono con modelli e in una cultura in cui si trovano giustificazioni di ogni tipo alla violenza. Questi bambini non riusciamo a vederli, non abbiamo gli strumenti». Solo entrando nelle scuole riusciamo a parlare loro di abusi e prepotenze, di come si possono gestire i conflitti, quali nomi si possono dare alle emozioni. I corsi gratuiti che l’associazione tiene un po’ in tutta Italia, insegnano a “decodificare gli stereotipi” e scoprire modelli nuovi:
«decostruire non basta: vogliamo che siano loro a dirci come può essere una ragazza, altrimenti che velina, maestra e casalinga; e un ragazzo, altro che calciatore o manager».
Seimila ragazzi ascolteranno gli esperti nei tre incontri previsti per ogni classe, impareranno a riconoscere comportamenti errati, vedere gli stereotipi nel linguaggio dei libri, dei giornali, dei programmi tv. «In ogni scuola si costruisce un percorso diverso: in un istituto tecnico abbiamo parlato non di donne ma di motocicliste, in una primaria analizzeremo pagine di letteratura per l’infanzia: perché la protagonista femminile può essere solo strega, maestra o mamma e quello maschile tutto, dal panettiere all’astronauta?» Insegnanti e genitori saranno invitati a conversazioni che spiegheranno l’importanza della prevenzione. Comune e associazioni private aiutano. «C’è molta attenzione, fortunatamente», dice. Però le istituzioni devono fare scelte forti, portare questi interventi a sistema, «se no siamo un paese dominato dalla barbarie».
Anche secondo Terre des Hommes, da anni impegnata su questo fronte, serve un percorso condiviso: all’interno di una materia come Educazione alla cittadinanza, bisogna instillare il rispetto degli altri, oltre al rispetto delle regole; mettere a sistema «le relazioni, le differenze di genere, l’educazione ai sentimenti, alle emozioni, l’educazione sessuale, che è ancora un argomento tabù». E c’è un grande bisogno di preparare gli insegnanti: «Non credo che funzioni un sistema che vede esperti in visita», sostiene Paolo Ferrara, responsabile del progetto. «E i progetti migliori sono quelli in cui i genitori partecipano agli interventi e si crea una rete di bambini, insegnanti e famiglie». L’associazione è da anni nelle scuole con incontri e un libro Mimì fiore di cactus e il suo porcospino, best seller educativo, che va dritto al cuore del problema, con i fumetti e video in pillole. E poi corsi sulla violenza di genere che hanno raggiunto 1.300 ragazzi in due anni a Milano e provincia, insegnanti e genitori.
Non crede invece nell’”ora di…” il ministero. «Violenza e discriminazione devono essere messe al bando da tutti», dice Pierro, dirigente Miur. L’approccio deve essere trasversale. La settimana dal 24 al 30 novembre è «mediaticamente importante per attrarre attenzione collettiva sulle azioni contro la discriminazione». Tutte le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado sono sensibilizzate nella promozione di eventi e progetti sul tema. Il Miur e l’Unar hanno emanato un bando, che prevede un finanziamento di 500mila euro da distribuire alle scuole che organizzeranno progetti – con associazioni del territorio – destinati a prevenire e contrastare l’intolleranza e la violenza legate a ogni genere di discriminazione. Attingendo alla dote di 10 milioni di euro stanziati con il decreto Carrozza (dal nome del precedente ministro dell’Istruzione) per la formazione dei docenti – destinato a incrementare le competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità, insieme ad altre competenze relative a disabilità, cyberbullismo e competenze digitali – si sono destinati fondi a formare figure “apicali” di Ministero e Uffici scolastici regionali; e insegnanti, nell’ambito della formazione obbligatoria, anche attraverso un portale per la formazione a distanza. Su www.noisiamopari.it, inoltre, sono state raccolte le migliori esperienze delle scuole, che confluiranno anche nel piano nazionale elaborato in accordo tra direzione generale dello studente del Miur e dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Donneuropa
13 05 2014
La violenza contro le donne non è un’emergenza occasionale ma una tragedia sociale cronica, ormai strutturale: è una questione politica che riguarda tutti. Ecco perché occorre agire a livello di sistema, modificando le condizioni strutturali del lavoro e culturali in cui donne e uomini convivono.
Occorre agire per finanziare i centri antiviolenza, per inasprire pene e controlli, per valutare l’impatto di genere della politiche pubbliche, ma soprattutto per produrre un cambiamento profondo di contesto culturale, mentalità, abitudini e sistemi di potere che sono oggi maschilisti e discriminatori. Dobbiamo agire per migliorare le effettive condizioni di vita e di lavoro delle donne per consentire davvero libertà, autonomia e autodeterminazione facilitando l’accesso a lavoro e carriera, ridisegnando il welfare, partendo dalle persone, e dalle persone che lavorano, agendo quindi su servizi, conciliazione e condivisione dei tempi privati e di lavoro.
In questo senso il percorso iniziato a novembre del 2013 con la presentazione da parte di Intervita di “Quanto costa il Silenzio”, prima ricerca nazionale sui costi della violenza di genere, proseguito con il tour nei territori e conclusosi ora con il report finale “Quali investimenti per le strategie di contrasto alla violenza sulle donne?”, si pone con merito all’interno del percorso di cambiamento avviato con la ratifica della Convenzione di Istanbul nel giugno dello scorso anno.
La Convenzione è infatti il punto più avanzato del diritto internazionale: il primo trattato che riconosce la violenza sulle donne come violazione dei diritti umani e invita ad agire a tutto campo per fermarla. La conoscenza dei costi economici e sociali della violenza è il primo passo per rendere concreta l’azione, oltre che un fattore di consapevolezza e responsabilizzazione che può aiutare ad allargare il fronte di chi si batte per il cambiamento.
Occorre, in primo luogo, superare l’idea che la lotta alla violenza contro le donne sia un tema da donne e una battaglia solo al femminile: i dati sul costo della violenza indicano come sia tutto il paese a rimetterci.
A fronte dei costi della violenza ci sono i possibili valori positivi che un paese a misura di donne porterebbe in dote a tutte le persone, in termini di benessere economico e sociale.
Il cambiamento deve partire da tre punti: linguaggio, stereotipi, educazione.
Il linguaggio è l’insieme dei modi con cui diamo senso alla realtà e comunichiamo. Nel linguaggio si formano e risiedono gli stereotipi, che sono le immagini mentali con cui rappresentiamo la realtà.
Gli stereotipi non hanno nulla di naturale, ma presentano il vantaggio di categorizzare, di rendere semplice ciò che è complesso. Sono una forzatura cognitiva, che elimina profondità e differenze. Perché nel terzo millennio è così difficile adeguare al genere il linguaggio? Si tratta di una questione di potere. Il mondo parla e si rappresenta visivamente al maschile, perché maschile è stata da sempre la storia della società. In Italia in particolare c’è forte resistenza nel superare un modello culturale maschilista, che non concepisce le donne in posizioni di pari potere. Una responsabilità in questo senso ce l’ha il sistema mediatico e dell’informazione, che tranne poche eccezioni non ha saputo in questi anni fronteggiare il decadimento culturale che ha accentuato il peso degli stereotipi e delle discriminazioni di genere.
L’intervento educativo è l’unico strumento che abbiamo per contrastare gli stereotipi restituendo alla nostra rappresentazione del mondo e dei generi profondità e complessità, uguaglianza e differenza. L’educazione, ancor più se attenta a superare stereotipi e ad usare un linguaggio rispettoso di identità e differenze, è il mezzo più potente per cambiare il mondo e per produrre una società più giusta e con meno violenza.
Servono regole, serve condivisione, e cambiamento culturale perché la parola “femminicidio” sia contrastata dal profondo dei comportamenti degli uomini, per avere nuove donne, nuovi uomini e una società più umana e civile.
@valeriafedeli