×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 407

Famiglie omogenitoriali. Parte la campagna #FigliSenzaDiritti

  • Martedì, 17 Novembre 2015 14:13 ,
  • Pubblicato in INGENERE
InGenere
17 11 2015

In Italia non viene ancora riconosciuto il legame affettivo tra persone dello stesso sesso. Una discriminazione che riguarda anche i diritti dei figli delle coppie omogenitoriali. E dall'associazione Famiglie Arcobaleno parte la campagna

Tra le sei Nazioni fondatrici dell’Unione Europea, l’Italia è l’unica a non riconoscere né le unioni civili, né il matrimonio per coppie omosessuali. Ad oggi non è previsto alcun tipo di tutela in soli nove paesi europei: Italia, Grecia, Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Bulgaria e Romania.

Il mancato riconoscimento del legame affettivo tra due persone omosessuali porta a molteplici gradi di discriminazione che coinvolgono l’aspetto patrimoniale e sociale e che si estendono al diritto dell’infante.

Secondo la ricerca Modi-di condotta nel 2005 in Italia da Arcigay con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità, il 17,7% dei gay e il 20,5% delle lesbiche con più di 40 anni ha prole e il 49% delle coppie omosessuali vorrebbe dei figli. La stima è di circa 100.000 figli  con almeno un genitore gay o lesbica. In dieci anni, si ritiene che questo dato sia, con grande probabilità, cresciuto grazie a una sempre maggiore consapevolezza della possibilità, da parte degli omosessuali, di poter diventare genitori e grazie anche a una maggiore facilità di accesso, in paesi stranieri, a pratiche di fecondazione assistita e gestazione per altri (GPA).

A tutela delle famiglie omogenitoriali italiane, viene fondata, sempre nel 2005, Famiglie Arcobaleno, l’associazione di genitori e aspiranti genitori omosessuali.

L'associazione conta ad oggi circa 800 iscritti (dato raddoppiato dal gennaio 2013 all’ottobre 2015) e 470 bambini e si pone come scopo la lotta contro tutte le discriminazioni, affinché la genitorialità omosessuale sia riconosciuta nell'ordinamento giuridico e nella società italiana e i figli siano tutelati nei loro affetti e nei loro beni.  

Nelle famiglie italiane omogenitoriali, con figlie e figli concepiti, cresciuti ed accuditi da entrambi i genitori, solamente il genitore con legame biologico risulta genitore legale: per lo Stato Italiano, l’altro non ha alcun ruolo, diritto o dovere.

Le conseguenze pratiche della mancanza di riconoscimento del ruolo genitoriale al genitore cosiddetto “sociale”, accompagnano l’esistenza del bambino, dal concepimento in avanti.

Il genitore sociale non può decidere riguardo alla salute del figlio; non può prenderlo all’uscita dell’asilo o della scuola, così come non può viaggiare con lui senza una delega del genitore legale.

In caso di separazione non ha alcun dovere di mantenimento economico nei confronti della famiglia, né alcun diritto rispetto ad una continuità affettiva con il figlio. In assenza di specifico testamento, se venisse a mancare, l’eredità andrebbe totalmente ai parenti del defunto: nulla al compagno, tantomeno al figlio.

Il caso più grave si potrebbe verificare con la morte del genitore biologico poiché il bambino verrebbe affidato ai parenti più prossimi: nonni, zii, cugini e così via. Un giudice potrebbe decidere di affidarlo al genitore sociale ma, vista la mancanza di leggi a tutela del minore, la decisione risulterebbe totalmente arbitraria e soggettiva.

Questa, a grandi linee, la condizione in cui vivono le famiglie omogenitoriali italiane, in attesa del matrimonio egualitario o, per il momento, dell’approvazione del disegno di legge Cirinnà-bis che disciplina le unioni civili per le coppie omosessuali, con l’estensione della cosiddetta stepchild adoption. Qualora il ddl Cirinnà-bis divenisse legge, le coppie omosessuali avrebbero, nella sostanza, gli stessi diritti applicati alle coppie eterosessuali sposate ad esclusione dell’accesso alle adozioni. Attraverso la stepchild adoption invece, il genitore non biologico potrebbe adottare il figlio biologico del compagno o della compagna. Tra i tanti limiti di questa parziale ed ancora ipotetica estensione di diritti, c’è il mancato riconoscimento di un progetto genitoriale comune e condiviso nella coppia omosessuale e, fatto ancor più discriminante, l’esclusione dal legame parentale con la famiglia del genitore sociale. Ciò comporterebbe una parentela legale con i soli ascendenti e discendenti del genitore biologico.

Appare evidente la necessità di una lotta costante e tenace da parte delle "famiglie arcobaleno", impegnate a trovare alleati e sostenitori nella società civile anche grazie ad azioni politiche e mediatiche volte ad una maggiore visibilità e conoscenza. La più recente è la campagna #FigliSenzaDiritti: ogni tre giorni dalle pagine ufficiali Facebook e Twitter dell'associazione, vengono pubblicate fotografie delle famiglie arcobaleno, associate a una frase che sintetizza un diritto a loro negato.

L’insieme di questi diritti negati è la negazione stessa della presenza di intere famiglie che vivono, crescono, studiano e lavorano nel proprio paese.

Samuele Cafasso
Claudio Capocchi
Cristina Giammoro

Coppie gay, non uguaglianza ma parità di diritti

Pride-DirittiIl dibattito sulle unioni gay, sul futuro della famiglia, sulle adozioni si è acceso anche in Italia, prendendo toni estremi e soffocando il confronto delle idee.
Elena Loewenthal, La Stampa ...

Gli eterosessuali Lgbtqi e l'Italia che cambia

  • Giovedì, 18 Giugno 2015 15:40 ,
  • Pubblicato in L'Articolo
Adulti e bambiniEugenia Romanelli, Il Fatto Quotidiano
18 giugno 2015

Un fenomeno in netto aumento, dice Michele Coletta di Famiglie Arcobaleno, associazione di famiglie omogenitoriali (ossia composte da due genitori dello stesso sesso). Il "fenomeno" riguarda le persone eterosessuali impegnate nei diritti LGBTQI. "Su 1000 famiglie nostre iscritte, almeno 25 sono eterosessuali – continua.

Redattore Sociale
19 05 2015

Meno visibile di quella sul precariato e sulla riforma, è iniziata con la diffusione di testi sull’identità di genere e l’orientamento sessuale in attuazione di una strategia antidiscriminazioni. Tra accuse di censura e rifiuto della “teoria del gender”.

Da un po’ di tempo è in corso una battaglia dietro le quinte della scuola, meno visibile di quella sul precariato e la riforma, quella sui libri da leggere sin dall’infanzia. Apparsa come notizia di proteste e censure di singoli testi in asili e scuole sparsi per l’Italia, non si capisce se non se ne conosce l’origine: il Consiglio d’Europa sollecita (da anni) l’adozione di misure contro la discriminazione basate sull’identità di genere e l’orientamento sessuale, il dipartimento in Italia predisposto a questo scopo (l’Unar) elabora nel 2013 una strategia nazionale, dopo un lungo processo di consultazione e concertazione, da cui derivano un documento organico, opuscoli informativi da usare nelle scuole e consigli di lettura.

Così in classe, sotto forma di “progetto” come sempre avviene in una scuola che non riesce altrimenti ad affrontare la contemporaneità, compaiono fra il 2013 e il 2014 i primi segni di questa campagna di sensibilizzazione: si leggono libri in cui le famiglie hanno un solo genitore, si sentono storie in cui ad amarsi sono persone dello stesso esso, si discute di quanto uno si senta maschio o femmina al di là dell’anagrafe.


A questo punto scatta la contraerea: il Comitato Articolo 26 denuncia come intollerabile la relativizzazione della famiglia formata da mamma papà e figli e teme la “confusione sessuale” per storie di quel genere; un cartello di associazioni lancia una petizione contro la diffusione a scuola di quella che viene chiamata “teoria del gender” – che non esiste in letteratura; persino il Papa cade nell’equivoco di questa teoria anche se alla fine intende difendere il peso delle donne nella società; si diffondono ovunque gli appuntamenti delle “Sentinelle in piedi” in difesa della famiglia; il senatore Carlo Giovanardi lancia l’allarme in parlamento ecc. Ne consegue che alcune amministrazioni bocciano i progetti di sensibilizzazione, da qualche parte i libri e gli opuscoli vengono ritirati, alcuni insegnanti rinunciano a quelle letture, ma contemporaneamente le scelte di quei libri altrove sono sostenute, contro la censura intervengono bibliotecari e scrittori, se ne discute nelle librerie e nelle piazze, nascono contromovimenti come i “Sentinelli di Milano” contro la discriminazione Lgbt ecc.

Insulti

Chiunque frequenti i bambini della scuola primaria e i ragazzi della secondaria di primo grado avrà sentito il loro gergo, oggi “gay!” è uno dei primi insulti che ci si scambia da piccoli, esattamente come “finocchio” e “ricchione” lo era nella Milano di anni fa, e chissà cos’altro nelle varianti regionali e generazionali. Si usa – e si usava - per offendere, nell’ingenuità e nella crudeltà di quell’età, senza sapere e capire granché, così come da qualche mese è comparso “Isis!” nello slang dei bambini, per dire violenza, con ancora più incoscienza.

In tasca, sui loro smartphone, che hanno quasi tutti i bambini e le bambine dagli 11 o 12 anni, c’è tutta la pornografia che un tempo e a fatica toccava sbirciare in edicola. Quegli stessi bambini e quelle stesse bambine, fuori dalla scuola primaria almeno nelle grandi città, sono attese assai più da nonni e colf che da mamme e papà, mentre le organizzazioni scolastiche vanno in tilt nel raccogliere le deleghe di tutti gli adulti autorizzati ad andare a prendere ogni singolo alunno, nel terrore degli sconosciuti ma anche del genitore separato che preleva all’insaputa dell’altro. Ricordo la prima riunione all’asilo nido dei miei figli, su 15 bambini le coppie erano pochissime, così che le educatrici un po’ in difficoltà si trovavano a spiegare il programma pedagogico a single, nonni e colf di varie nazionalità.

Questi pochi indizi fra i tanti possibili ci restituiscono non tanto la “teoria del gender” ma quella del funzionamento della quotidianità: le cose ai figli non arrivano dal setaccio dei genitori ma dal mondo, perché sono figli del loro tempo almeno quanto di quei genitori, il filtro protegge a malapena l’ambiente domestico, ma il flusso degli incontri e dei discorsi è inevitabilmente esposto e i bambini hanno le antenne, implacabilmente captano i segnali nuovi. L’altro principio è quello della deformità: l’autoapprendimento, nobile per spirito e inevitabile nei fatti, non produce di per sé l’esito migliore, l’esposizione alla violenza abbassa l’empatia, quella alla pornografia sconcerta e disorienta, il conflitto fra i genitori spaventa se non si sa a cosa approda, ecc. Non resta, da adulti, che provare a dare una forma al mondo, ovvero spiegare lo spiegabile, rassicurare su ciò che fa paura, aprire all’immaginazione, prendere le distanze dall’intollerabile ecc. Ma se c’è una cosa perdente, è tacere.

Le parole e i regimi

Possono le parole cambiare la realtà, incidere sul mondo? Intendo oggi, nell’ipertrofia dei mezzi di comunicazione, nel regno delle immagini, nella proliferazione delle fonti e nella rottura delle regole sulla loro autorevolezza? Il filologo tedesco Victor Klemperer, all’indomani della seconda guerra mondiale, decide di analizzare puntigliosamente il linguaggio del Terso Reich per spiegare come funziona il dominio attraverso la parola, e racconta di averlo deciso dopo aver parlato con una donna di Berlino, reclusa in quel periodo “per delle parole” contrarie a Hitler e al nazismo. Nei suoi taccuini Klemperer ci spiega che il regime agisce non con l’introduzione di nuovi concetti, ma riducendo il lessico, forzando il significato di alcune parole e ripetendo all’infinito, fino a normalizzare le sue idee chiave. La neolingua di cui parla George Orwell è simile, riduce, semplifica, banalizza, fino a rendere impossibile l’espressione di concetti complessi, o diversi da quelli diffusi. Come a dire che tutte le volte che notiamo la reiterazione di parole, l’insistenza del messaggio, la ricorsività dei contenuti, la semplificazione rispetto alla varietà del reale dovremmo stare attenti.

Di più. Sappiamo che nelle carriere devianti di molti ragazzi c’entra il rapporto con il linguaggio, ovvero a minor patrimonio lessicale acquisito corrisponde il rischio di “finire nel penale”. Perché se non hai parole per dirlo – il tuo malessere, il tuo senso di ingiustizia, il tuo dolore o il tuo amore – fai fatica ad elaborarlo, a fartene una ragione, a dargli un senso e un posto nel mondo, a trovare consolazione. Sarà più facile “passare all’agito”, fare qualcosa che dia sfogo o risarcimento, e se così accade farai poi fatica di fronte ad un’autorità a dare spiegazioni, a dire le tue ragioni, a difenderti.

Non resta che dar nome alle cose, raccontare le differenze, ridurre l’enfasi del “normale” per non innescare sensi di inadeguatezza o non favorire la crudeltà fra ragazzi, anche attraverso i libri, perché si sa che le storie aiutano a costruirsi rappresentazioni del mondo. Si racconta che Hitler contattò Disney per averlo dalla sua parte, ma che questi, per fortuna, rifiutò.

Due mamme per Leon, anche in Italia

Huffingtonpost
09 02 2015

Mercoledì 4 febbraio, le due madri di Leon hanno finalmente avuto la gioia di vedere l'atto di nascita argentino del loro figlio trascritto nei registri dello stato civile italiano del comune di Roma. Leon ha sempre avuto due mamme e sicuramente capisce poco di ciò che succede davvero. Ma Sofia e Alejandra hanno ben chiaro che anche in Italia e non solo nel resto del mondo occidentale, Leon ha due mamme. Una bella e grande soddisfazione specie per Sofia, cittadina italiana che aveva a cuore di trasmettere al figlio la sua cittadinanza. È cosa fatta ormai.

Una bella vittoria per loro tre e per tutte le famiglie arcobaleno che vedono un'altra breccia nel muro che tra poco, speriamo, crollerà sulla testa di tutti gli omofobi nostrani.

Sofia è originaria di Salerno e proprio perché viene spesso a trovare i suoi genitori, ho avuto la fortuna di conoscerla quasi 7 anni fa. Le sere d'estate insieme a Alejandra parlavamo ore intere del desiderio di diventare mamme e della paura di fare il passo. La loro più grossa paura era in effetti non potere essere riconosciute entrambe come genitori e di vivere sempre in balia del caso, delle emozioni anche negative, dei rischi di vedersi un giorno allontanata dal figlio. Alejandra aveva già vissuto una storia precedente dolorosa dove la separazione dalla compagna. La separazioni infatti aveva significato anche l'allontanamento dai figli di lei che Alejandra aveva contribuito a crescere. In quel caso i figli c'erano prima di lei ma nel progetto che maturava in loro, il o i figli erano un progetto di coppia e l'impegno emotivo, personale richiesto era ancora più importante. Perciò erano legittime le paure e i dubbi.

Nel frattempo, estate dopo estate, noi continuavamo a vederci e discutere e sognare e vedere anche realizzati i nostri sogni. Lisa Marie, nostra primogenita, aveva già 5 anni quando Sofia e Alejandra sono diventate nostre amiche e ricordo come erano attente con lei e anche rassicurate nel vederla crescere serena e felice con due mamme.

In Argentina accedere alle Pma per le single e coppie lesbiche era già possibile e cosi un'estate Sofia arrivò col pancione. E poi nacque Leon e poi l'Argentina votò la legge sul matrimonio ugualitario e poi finalmente Leon divenne legalmente figlio di entrambe in Argentina.

Nel frattempo io e Raphaelle ci chiedevamo se a 48 anni era giusto mettere al mondo un secondo figlio e se fisicamente ce l'avremo fatta e passammo un'altra estate in giardino a discutere con Alejandra e Sofia se farlo o no. E devo dire che fu facile convincerci di si vedendo Ale a 56 anni correre dietro a Leon giornate intere. Così nacque Andrea, il nostro secondogenito.

E anche in Francia fu votata la legge sul matrimonio ugualitario. E io e Raphaelle ci sposammo e alcuni mesi dopo i nostri due figli hanno finalmente avuto anche loro due genitori legali. Così come noi sono centinaia le famiglie oggi che hanno figli con due madri o due padri legali all'estero. Famiglie riconosciute ovunque nel mondo occidentale tranne che in Italia. Perciò siamo pronti a fare valere il diritto dei nostri figli a non perdere un genitore passando un confine e presto ci saranno altri bimbi iscritti all'anagrafe italiana con due mamme o due papà.

Gli omofobi si chiedono se possono dirsi contro senza incorrere nei peggiori epiteti. Io rispondo decisa no. Se uno è contro non si deve stupire di essere tacciato come omofobo, reazionario, chiuso di mente, ma soprattutto irresponsabile.

Perché uno dovrebbe essere "contro"? Contro cosa esattamente? Contro il fatto che in questo caso il bimbo, figlio di italiana, sia diventato cittadino italiano? Contro il fatto che non perda una mamma entrando in italia? Contro il fatto che l'Argentina e quasi tutto il mondo occidentale abbiano legiferato a tutela dei minori figli di genitori omosessuali? Contro il fatto che il piccolo sia finalmente tutelato? Contro il fatto che nessuno mai potrà adesso togliergli una madre? Contro il fatto che sia sereno per sempre e abbia garantito la continuità dei suoi affetti e dei suoi beni? O infine contro il fatto che potrà ereditare dai 4 nonni anche senza fare testamento?

Chiunque è contro dice chiaramente di essere contro il benessere e la serenità di un bimbo nato dall'amore di due donne, cresciuto dall'impegno loro, quotidiano e continuo.

Non si può essere contro. Qualche mente ottusa può non gradire. Pazienza. Molti possono interrogarsi ed è giusto. Ma dirsi contro è soltanto fare prova di totale chiusura e cecità nei confronti dell'interesse di un minore. Nessuno può con decenza sostenere che sarebbe stato meglio per Leon, per Lisa e Andrea e per migliaia di altri bambini e ragazzi non vedere riconosciuto dalla legge il legame di filiazione che li colleghi per sempre al genitore intenzionale e alla sua parentela. Questo legame desiderato da noi genitori omosessuali testimonia essenzialmente la responsabilità che vogliamo assumerci di fronte alle scelte compiute e dà ai nostri figli la garanzia di potere contare sul sostegno, la presenza, l'affetto, la cura dei loro due genitori per sempre. E questo sarebbe male verso cui essere "contro"?

facebook