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Aiuto, i miei figli stanno diventando fascisti

  • Venerdì, 20 Marzo 2015 14:36 ,
  • Pubblicato in Flash news

l'Espresso
20 03 2015

Cara Rossini,
i miei figli stanno scivolando verso l’estremismo di destra. Io sostanzialmente di sinistra cerco di farli riflettere, cerco di mediare ma, confesso, con scarsi risultati. Ultimamente mio figlio ha subito il furto del motorino, poi ritrovato ma ovviamente danneggiato. Mia figlia ha osato parcheggiare troppo in prossimità di una entrata abusiva di un campo nomadi, in una zona non degradata, e la vecchia utilitaria è stata vandalizzata. Ha sporto denuncia contro ignoti e persino le forze dell’ordine la sconsigliavano vista l’inutilità. Mio figlio è stato multato mentre consegnava le pizze per una piccola scorrettezza, e mi sta bene, ma certo osserva sconfortato la disparità di trattamento.

Questi fatti innescano delle accese discussioni a tavola e le loro parole sono spaventose, irripetibili. Notano che le forze preposte al controllo del territorio non vanno dove l’illegalità è tanto palese. E’ chiaro che intervenire in certe aree è più impegnativo e rischioso, più facile fermare un diciottenne italiano. Aggiungete gli slogan xenofobi in salsa salviniana ed il gioco è fatto. Io mi sforzo di ricordare che i reati sono individuali, che non esistono discriminazioni, che davanti alla legge siamo tutti uguali, ma quando alle belle parole non seguono i fatti tutto appare illusorio per non dire falso. Che debbo fare per invertire questa deriva per me inaccettabile?

Marco Bernardi, Roma

Caro Bernardi, non si senta isolato, perché la reazione dei suoi ragazzi all'illegalità manifesta è piuttosto diffusa. Del resto è comprensibile che a quell'età si risponda così. E' il corto circuito dell'immaturità, che colpisce anche gli adulti (vedi Salvini e il suo seguito) e che su grande scala spesso governa il mondo.

Non ho formule da consigliarle, se non quella di continuare nella fatica immane di fare il genitore, aiutando i suoi figli a ragionare e a distinguere. Provi a spiegare che la destra, inculcando la xenofobia, nega la realtà del mondo globalizzato e si chiude in un ghetto, ma che la sinistra non ha ancora fatto i conti teorici e pratici con il problema della sicurezza. E che tocca anche a loro, ormai cittadini adulti, contribuire a trovare strade nuove e migliori.


Questo è un uomo

  • Giovedì, 05 Marzo 2015 09:51 ,
  • Pubblicato in LA STAMPA

La Stampa
05 03 2015

La cascina Raticosa è un rifugio sui monti sopra Foligno che durante la Resistenza ospitò il comando della quinta brigata Garibaldi. Nei giorni scorsi qualche nostalgico dello sbattimento di tacchi ha rubato la targa commemorativa e disegnato una svastica enorme sul muro. Forse non sapeva che nei pressi della cascina, in una notte di febbraio del 1944, ventiquattro partigiani appena usciti dall’adolescenza erano stati catturati dai nazisti, caricati su vagoni piombati e mandati a morire nei campi di concentramento del Centro Europa. O forse lo sapeva benissimo e la cosa gli avrà procurato ancora più gusto. Però non poteva immaginare che tra quegli adolescenti ce ne fosse uno scampato alla retata. Sopravvissuto fino a oggi per leggere sulle cronache locali il racconto dell’oltraggio.

Mentre tutto intorno le Autorità deprecavano e si indignavano a mani conserte, il signor Enrico Angelini non ha pronunciato una parola. Ha preso lo sverniciatore, il raschietto, le sue ossa acciaccate di novantenne ed è tornato al rifugio della giovinezza per rimettere le cose a posto. Con lo sverniciatore e il raschietto ha cancellato il simbolo nazista. E dove prima c’era la targa ha appoggiato una rosa.

Massimo Gramellini

Il turpiloquio come politica

Pare un imitatore di Grillo: per il turpiloquio, ancora più fastidioso, e i continui vaffa; per il collaudato schema "noi" contro "loro", basso contro alto, piccoli contro grandi, artigiani contro banchieri; per la commistione destra-sinistra, CasaPound-don Milani. [...] Il turpiloquio è ancora più fastidioso proprio perché Salvini non è Grillo, cioè un comico. Il suo tono, anche quando vorrebbe essere ironico, è greve, bieco, vagamente minaccioso. 
Aldo Cazzullo, Corriere della Sera ...

#EmilioResisti: Non tutti i "Charlie" sono "Emilio"

  • Mercoledì, 21 Gennaio 2015 14:36 ,
  • Pubblicato in Flash news

Abbatto i muri
21 01 2015

La strage alla sede di Charlie Hebdo a Parigi ha suscitato moltissimo sdegno in tutto il mondo. Le reazioni, le risposte e le analisi successive alla divulgazione della notizia sono state tra loro molto diverse. L’hashtag #jesuisCharlie (io sono Charlie) ha colpito i social network come un’epidemia sconfinando in strumentalizzazioni anti-islamiche di estrema destra e in usi assolutamente impropri. Nel giro di poche ore, tutto il mondo si è riscoperto paladino e difensore della libertà di espressione e di stampa. Come al solito, purtroppo, la solidarietà sincera di coloro che si sono sforzati di comprendere questa vicenda senza volerne dare interpretazioni superficiali è stata contaminata da un’ipocrisia diffusa.

Come in molti di questi casi sono stati tralasciati alcuni distinguo importanti. Charlie Hebdo è un settimanale satirico irriverente ed irresponsabile i cui vignettisti e redattori si identificano nei valori dell’antirazzismo e antifascismo. Ecco perché non siamo tutti Charlie. Ed ecco perché #Emilioresisti non si diffonderà così viralmente sui social. Emilio è il compagno che sta rischiando la vita a causa delle sprangate che gli sono state inferte durante l’assalto al csa Dordoni di Cremona. Alcuni di coloro che si sono dichiarati difensori della libertà di espressione non si sono sentiti altrettanto coinvolti nella difesa degli spazi collettivi e autogestiti.

Assurdo o rivelatore. Rivelatore dell’ipocrisia di quanti sono saliti sul carro del #jesuisCharlie solo per farne un simbolo del delirio fondamentalista come nemico esterno dell’Occidente. Perché, in realtà, nessuno dei capi di stato che hanno sfilato in parata a Parigi ha veramente a cuore la libertà. Essi sono scesi in strada per difendere l’ordine precostituito, lo status quo, il sistema. Per ognuno di loro il fascismo che prende d’assalto gli spazi autogestiti ed autorganizzati non rappresenta una minaccia. Addirittura c’è chi è capace di negare i presupposti ideologici di episodi come quello di Cremona, riconducendoli a sporadiche follie. In realtà i militanti dei covi neri che prendono a sprangate, 50 contro 10, i compagni del Dordoni sono una funzione del sistema capitalista.

È un ingranaggio del meccanismo di sradicamento di qualsiasi opposizione. E per questo, viene non soltanto combattuto, ma protetto, difeso, spalleggiato. Per questo, pochi tra coloro che sono stati Charlie saranno anche Emilio. Ma proprio per questo, molti o forse tutti gli antifascisti che sabato 24 scenderanno al corteo nazionale antifascista chiamato dal Dordoni per la chiusura immediata di tutte le sedi fasciste in Italia, sapranno di essere stati autenticamente Charlie davanti ad un altro tipo di oppressione.
Contro ogni fascismo: ora e sempre Resistenza.

#Emilioresisti

di Irina

La strada come unità di misura

  • Mercoledì, 17 Dicembre 2014 11:45 ,
  • Pubblicato in DINAMO PRESS
Dinamo Press
17 12 2014

In occasione della riedizione de "Il derby del bambino morto" da parte di Alegre Edizioni, arricchito da un aggiornamento di Claudio Dionesalvi e da un'introduzione di Wu Ming 5, proponiamo uno speciale su Valerio Marchi riproponendo diversi testi, alcuni dei quali oramai irreperibile in rete. Il libro sarà presentato sabato 20 alle 17 a Esc Atelier all'interno di L/IVRE con Valerio Mastandrea, Luca Pisapia, Claudio Dionesalvi e l'Atletico San Lorenzo.

Dove nascono gli ultras. Il calcio visto "dal basso" di Valerio Marchi San Lorenzo il magnifico di Valerio Marchi I buoni e i cattivissimi: recensione di “Cuori Neri” di Valerio Marchi Uno sport popolare o uno sport supermercato? di Valerio Marchi A lezione da Valerio di Giuliano Santoro

Valerio Marchi apparteneva a una sottocultura di strada. Da quella posizione, certamente di nicchia e orgogliosa di esserlo, aveva la capacità nient'affatto scontata di articolare ragionamenti e produrre discorsi che allargavano lo spettro del discorso e proiettavano i reietti della società, quella che lui definiva la teppa, al centro dell'osservazione. Molto prima che anche in Italia, col consueto ritardo, arrivasse l'ondata di studi postcoloniali e di riferimenti ai cultural studies della scuola di Birmingham, un sociologo di strada, skinhead e tifoso dello stadio, citava gli studi postgramsciani di Stuart Hall e dei suoi accoliti.

Valerio Marchi riusciva a mettere al centro della società quello che tutti gli altri, anche a sinistra e spesso anche nei movimenti, si sforzavano di nascondere sotto il tappeto. Riuscire a non farsi mettere all'angolo, mantenere la propria storia ma non farsi ridurre a nicchia culturale e politica: merce rara di questi tempi.

È anche per questo stile, per questo metodo che ancora ha molto da insegnarci, che casca a fagiolo la ristampa de «Il derby del bambino morto», fuori per i tipi di Alegre nella collana Quinto Tipo, diretta da Wu Ming 1. Qualche anno fa, il direttore del Centro studi sulla sicurezza pubblica della polizia, mostrò di scoprire l'acqua calda e prese atto di una cosa che molti osservatori del fenomeno ultrà, in primis Valerio, avevano sollevato: «Molti gruppi storici si sono sciolti si sono sciolti perché gli ultrà con l'inasprimento dei controlli e delle pene non vogliono più essere identificati o identificabili».

Come a dire: abbiamo ottenuto il solo effetto di sbaragliare chi agiva alla luce del sole. Magari non erano stinchi di santo, si parla di gruppi di tifosi non di comitive di boy scout, ma almeno erano interlocutori e controparti riconoscibili. Secondo l'Osservatorio, invece, le curve erano diventate «un piatto ricco per chi è coinvolto in attività di vario tipo». Inoltre, si leggeva nel dossier, «il tifo è quasi scomparso». Ne parla Claudio Dionesalvi, ultrà-scrittore nel suo “aggiornamento” al volume, introducendo la categoria di Ultrà Geneticamente Modificato. Se ne discuterà il 20 dicembre alle 17.30 a Esc in occasione del Festival L'Ivre: assieme a Dionesalvi ci saranno Luca Pisapia del Fatto Quotidiano, l'attore Valerio Mastandrea e un rappresentante del calcio popolare dell'Atletico San Lorenzo.

«Il derby del bambino morto» prende le mosse dal caso della partita Roma-Lazio che non si giocò a furor di popolo dopo che una leggenda si diffuse tra le due curve circa la morte di un piccolo tifoso nel corso degli scontri fuori dallo stadio. Dalla spontanea diffusione della leggenda metropolitana emerge un dato materiale: le misure repressive non hanno fatto altro che alimentare una spirale di violenza e incomprensione.

Ogni volta che si risaliva un gradino dell'escalation della cosiddetta «emergenza tifo violento» si procedeva verso l'abisso. Potremmo far partire tutto dalla grande speculazione dei mondiali di Italia ‘90, quando i carabinieri abbandonarono la divisa verde militare per scegliere il blu, più accomodante e meno militaresco. È negli stadi che sono stati collaudati i lacrimogeni al Cs ed i manganelli «tonfa».

La caserma Bolzaneto di Genova era nota tra gli ultrà italiani da prima del G8 del 2001 come luogo di reclusione e tortura. È negli stadi che i celerini hanno imparato a «calcare la mano», sicuri che i superiori chiudessero un occhio e che in fondo nessuno avrebbe mai protestato in nome dei «diritti civili» per difendere la teppa delle gradinate. Un gruppo di celerini toscani del Siulp, in un documento diffuso alla vigilia del G8, si diceva allarmato non da «manifestanti sovversivi», ma dalla «nuova barbarie, la strada».

Il legislatore ha consegnato a colpi di provvedimenti bipartisan gran parte delle curve ai pochi gruppi che sono organizzati militarmente (resistono solo quelli che mostrano di saper «difendere» le curve) e spinto il tifo verso la clandestinità (resistono solo i gruppi informali), magari vietando le trasferte (cioè rendendole incontrollabili) o impedendo che vengano esposti striscioni. Valerio Marchi traccia un appassionante itinerario della relazione tra ordine pubblico, polizia e società, spiegando come negli anni settanta i celerini si formavano la rappresentazione del nemico nelle manifestazioni di piazza.

Da qualche anno, diceva Valerio, il nemico è tornato a essere il tifoso. O meglio, l'ultrà è il metro di giudizio della brutalità della polizia, che ormai agisce sempre ha imparato a fare con folk devil dai comportamenti indecifrabili. Ne deriva che le cosiddette “forze dell'ordine” spesso vivono i conflitti sociali come una guerra tra bande in cui gli uomini blu con casco e manganello sono una delle parti in causa, che cova vendette e dispensa odio con la frustrazione tipica di una banda di periferia e qualche arma in più.

Il modo migliore per ricordare Valerio Marchi, è riproporre alcuni dei suoi scritti, come nel caso di questa ristampa (che segue la riproposizione di “Teppa” ad opera di Red Star Press). Noi abbiamo ripescato gli articoli che aveva scritto per il settimanale Carta nel corso degli Anni Zero. Facevano parte, assieme al testo che introduce la collezione, di un piccolo speciale a lui dedicato messo insieme il 22 luglio del 2006, a poche ore dalla sua scomparsa.

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