La 27 Ora
04 06 2015
Abbiamo provato a immaginare la figlia tredicenne di Loredana, uccisa da suo marito (poi suicida) due giorni fa ad Albenga. La ragazzina era in casa, ha assistito a parte del litigio, poi è corsa sul balcone a urlare chiedendo aiuto. Sua madre aveva firmato più denunce contro il marito (suo padre) che la tomentava da quando a dicembre lo aveva lasciato andando via di casa. A gennaio l’uomo era stato arrestato per maltrattamenti dopo averla infastidita tante volte e averle messo le mani al collo durate una lite. Due anni di condanna, poche settimane di carcere e poi di nuovo libero.
Ecco il discorso immaginario fra l’adolescente e lo Stato che avrebbe dovuto proteggere sua madre.
Caro Stato,
ti scrivo ma è difficile per me dire chi potresti essere. Forse quel giudice che l’altro giorno ha deciso che mio padre non era più pericoloso e quindi poteva stare fuori dalla prigione anche se si era fatto in cella solo poche settimane dei due anni a cui lo avevi condannato per maltrattamenti. O magari sei il carabiniere che ha raccolto una denuncia dietro l’altra di mia madre. Potresti essere anche l’altro giudice, quello che ha deciso di togliere a mia madre anche quella labilissima protezione del divieto di avvicinamento. Cento metri, avevi detto all’inizio, caro Stato. Ma poi ti sei rimangiato anche quello e hai stabilito che mio padre in fondo poteva tornare a essere un buon padre. Così l’hai lasciato libero di fare e di andare. L’hai fatto per dare a lui una possibilità, lo capisco. Perché tu sei anche il Legislatore e quindi hai creato gli strumenti per intervenire, la magistratura non fa che eseguire, è vero. Ma è anche vero che c’è sempre un margine per usare i tuoi strumenti in modo più severo oppure no, più garantista oppure no.
Caro Stato, io non lo so qual è la strada giusta ma ti chiedo: con chi dovrei prendermela, secondo te? Se devo cercare di risalire all’anello della catena che non ha tenuto, quale scelgo? Chi devo ringraziare da oggi in poi per il fatto che mio padre ha potutto uccidere mia madre, che anche lui è morto e che nessuno ha potuto fare niente anche se mia madre viveva con la morte accanto da mesi?
Vedi, caro Stato, io sono soltanto una ragazzina. Sarà complicato per te convincermi che sono stati tutti bravi, attenti, buoni, ragionevoli. E che però la storia è finita tragicamente lo stesso. Perché io proprio non lo capisco. Non capisco come mai nonostante tutto questo gran parlare di stalking, di femminicidi, di donne ammazzate e di uomini violenti, mia madre sia dovuta morire accoltellata. Se fosse stata zitta, se avesse subito senza fiatare…. potrei pensare che proprio quel silenzio, alla fine, è stata la sua condanna. E invece no. Lei ha chiesto, chiesto, chiesto… ha firmato carte su carte, in caserma. E che cos’era quella se non una richiesta di aiuto?
E’ vero. Se qualcuno è determinato, se proprio vuole, fortissimamente vuole ucciderti prima o poi ce la fa. Mio padre ce l’ha fatta. Ma se le regole della protezione di una persona che si ritiene perseguitata non valgono nemmeno dopo tutto quello che ho sentito sulla violenza contro le donne che cosa ne abbiamo parlato a fare? mi chiedo. Perché si parla di vittime “annunciate” sempre dopo che sono diventate vittime? E vogliamo parlare della certezza della pena?
Ecco, caro Stato. Magari mi sbaglio ma sono quasi sicura che non hai una risposta alle mie domande. Così come sono certa che la mia vita è azzerata. Ho perso in pochi minuti mia madre e mio padre, i miei sogni non saranno più gli stessi, la mia vita sarà sempre in salita. E chissà quante altre ragazzine come me finiranno schiacciate da drammi assoluti, mentre i tuoi apparati fisseranno regole nuove, sposteranno equilibri familiari, ragioneranno su questo o quel provvedimento, scriveranno nuove sentenze… mentre avvocati e consulenti diranno questo o quello di persone di cui, spesso, sanno poco o nulla.
Io sono solo una ragazzina ma una cosa la so. Se le maglie di questo sistema fossero state più strette oggi mia madre sarebbe ancora qui, accanto a me. E la vita, anche la mia, non mi sembrerebbe finita.
Giusi Fasano