Il Manifesto
01 07 2014
L’effimero e ipocrita «mai più» dopo l’ecatombe di Lampedusa del 3 ottobre 2013 si è scolorato ormai fino a cancellarsi. Al punto che nel giorno dell’ennesima strage — 30 morti asfissiati — nel Canale di Sicilia, con involontario senso dell’umorismo nero il «nostro» Renzi c’invita all’euforia: anche noi dovremmo provare un brivido di piacere per essere chiamati (noi?) a realizzare il sogno degli Stati Uniti d’Europa.
Non commuove più, neanche per un giorno, la teoria quasi quotidiana dei cadaveri restituiti dal Mediterraneo o persi nei suoi abissi. Oppure, come quest’ultima volta, intrappolati in imbarcazioni troppo anguste per contenere tutta l’ansia di salvezza di esseri umani travolti dal disordine mondiale, spesso provocato o favorito dalle grandi potenze. Quel disordine ha costretto ben 51 milioni di persone (un dato della fine del 2013) a fuggire da conflitti armati o altre gravi crisi, come ha ricordato l’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite.
Questa cifra, la più alta dalla fine della Seconda guerra mondiale, è costituita per la metà da bambini.
Ma neppure il loro numero crescente, fra salvati e sommersi, muove a compassione collettiva, tale da farsi indignazione pubblica e protesta organizzata, di dimensione e forza continentali, contro la fortezza europea. Neppure le iniziative di movimento, coraggiose ma ancora sporadiche - come la recente Freedom March di rifugiati e migranti, che, con il No Borders Train, ha violato le frontiere per giungere a Bruxelles - ce la fanno a competere col mare d’indifferenza che riduce questa tragedia a vile computo di salme o la volge a proprio vantaggio politico. Che sia l’ondata nera di partiti che in tutt’Europa s’ingrassano di risentimento e xenofobia o la retorica dei Renzi e degli Alfano contro l’Unione europea cinica e bara, «che ci lascia soli e lascia morire le madri con i bambini».
Intanto Alfano lascia morire di disperazione una madre strappata ai cinque figli, quattro dei quali minorenni, per essere ristretta in un Cie e poi «rimpatriata» - lei apolide, in Italia da vent’anni - in una «patria», la Macedonia, di cui non è cittadina.
Anche noi, ridotti all’impotenza, ricorriamo alle cifre per tentare di scuotere qualche coscienza mostrando la dimensione mostruosa dell’ecatombe.
Malgrado Mare Nostrum, in questi primi cinque mesi del 2014, quasi quattrocento sono probabilmente i morti di frontiera nell’area del Mediterraneo.
Ed essi vanno ad aggiungersi ai ventimila cadaveri conteggiati approssimativamente dal 1988 a oggi.Ridotti ogni volta a computare i morti, quando dovrebbe bastare un solo cadavere di bambino a suscitare commozione, indignazione e rivolta, neanche noi siamo innocenti, noi che almeno ci ostiniamo a denunciare la strage.
Ma la nostra denuncia è impotente a scuotere perfino la sinistra politica italiana detta radicale, che sembra aver derubricato a faccenda minore, da delegare a qualche specialista o a qualche fissato/a, una questione che invece è il senso (o uno dei sensi cruciali) dell’Unione europea oggi.
La quale coltiva l’illusione che il proprio sovranazionalismo, esemplarmente rappresentato dalla fortezza in cui pretende di barricarsi e da Frontex, che ne è il braccio armato, possa contrastare i nazionalismi, anche aggressivi, nominati con l’etichetta eufemistica di euroscetticismo, che vanno rafforzandosi per reazione agli effetti sociali disastrosi della crisi economica e delle politiche di austerità.
È da molti anni che le associazioni per la difesa dei migranti e dei rifugiati propongono un programma – razionale, articolato, perfino realistico, nonché aggiornato di volta in volta - per cambiare il segno delle politiche italiane ed europee su immigrazione e asilo.
Per parlare solo dei rifugiati, si dovrebbe almeno riformare radicalmente Dublino III, che impedisce ai richiedenti asilo i movimenti interni al territorio dell’Ue; soprattutto, come raccomanda lo stesso Commissariato Onu per i rifugiati-Unhcr, creare corridoi umanitari e garantire l’effettivo esercizio del diritto d’asilo in tutti i paesi di transito, «con adeguate garanzie di assistenza e protezione per chi è in fuga da guerre e persecuzioni».
Non sono i programmi a mancare, dunque, bensì la volontà politica di uscire da quel paradigma nefasto che concede ai capitali il massimo di libertà di circolazione - e di dominio sulle nostre vite - negandola alle vite, ancor più irrilevanti, dei dannati della terra.
Atlas web
18 02 2014
(da Barcellona) Circa 150 immigrati subsahariani sono riusciti ieri ad entrare nella città spagnola di Melilla durante un assalto di massa alla recinzione di frontiera che separa l’enclave dal Marocco, riferisce la delegazione del governo spagnolo.spagnaceuta
Più di 250 migranti hanno preso parte alla maggiore irruzione degli ultimi nove mesi.
Melilla e Ceuta, enclavi spagnole nel Nord Africa, vivono da mesi un’intensa pressione migratoria.
All’inizio del mese almeno sette migranti sono morti annegati mentre cercavano di raggiungere a nuoto la costa di Ceuta, mentre altri 150 sono stati recuperati in acqua e subito dopo arrestati.
La Spagna sostiene che nella prima metà del 2013 ha accolto circa 3 mila immigrati irregolari, il doppio rispetto al primo semestre del 2012. La maggior parte di essi arriva in Spagna da Ceuta e Melilla.
Il governo spagnolo ha risposto al fenomeno con l’installazione, lungo la frontiera di Melilla, di una recinzione di 12 chilometri di filo spinato, una misura fortemente criticata dalle organizzazioni per i diritti umani e dall’Onu.