Tonia Mastrobuoni, La Stampa
14 aprile 2015
La scomparsa del Nobel, a 87 anni. Testimone controverso dei traumi della Germania, delle sue contraddizioni e rimozioni. [...] Oggi il suo protagonista, Oskar Matzerath, è come Faust e Mackie Messer, una delle figure immortali della letteratura tedesca. [...] Grass è stato la coscienza critica della Germania. ...
Il Fatto Quotidiano
13 04 2015
E' dal 2010 che aumenta il numero di connazionali emigrati nella capitale della Germania. Ma spesso il lavoro che trovano non è all'altezza delle aspettative. Ecco alcune storie, dal settore della ristorazione alle startup, tra salari insoddisfacenti e sensazione di sradicamento
di Andrea D'Addio
Berlino? Un mito, ma non per tutti. Il numero degli italiani nella capitale tedesca continua a crescere dal 2010 raggiungendo nel 2013 lo 0,7% del totale ed il 4,2% tra tutta la comunità straniera. Si tratta di 22mila persone, senza contare chi non è registrato all’ambasciata. Non sono però tutte storie di successo. E sono sempre più i casi di chi deve mettere da parte le illusioni e confrontarsi con una realtà meno accogliente di quel che si pensa.
“Lavoro a Kreuzberg in un bar tedesco: sfruttato e pagato in nero” – “Il 18 febbraio 2015 dopo aver pagato 600 euro di caparra mi ritrovo senza lavoro con la prima rata dell’affitto al 3 Marzo”, racconta Luca, 23 anni, di Livorno. Per “un mese e mezzo” gira “con curriculum nello zaino” senza trovare niente. “Ho sempre lavorato come barista e cameriere ed ho fatto un corso base di tedesco – spiega – Dopo una ventina di tentativi falliti entro in bar-ristorante di Kreuzberg. Ci sediamo subito ed il gestore mi offre di lavorare dal lunedì al sabato dalle 10 alle 20 per 900 euro al mese”. E non netti, perché “200 andrebbero per la mia assicurazione medica”.
“Solo parte dello stipendio è in regola, ma non posso che accettare. Lo sfruttamento? In maniera diversa, ma esiste anche qui”
La retribuzione oraria? “2.91 euro, ben al di sotto degli 8.50 lordi all’ora lordi garantiti dalla nuova legge in vigore da gennaio scorso“. Luca a quel punto vorrebbe andarsene, ma ha bisogno di soldi. Subito. Quindi accetta “con l’idea, nel frattempo, di cercare altro”. Ed ecco la giornata tipo: “Apro il locale la mattina alle 10, pulisco tutto, anche i bagni. Faccio il servizio a pranzo e il bar il pomeriggio fino alle 20 quando comunque comincia il lavoro per la cena”. Luca è spesso solo e, sottolinea, “la responsabilità è enorme”. Dopo una settimana di prova “decidono finalmente di assumermi. Per aggirare il salario orario minimo mi vorrebbero in parte in nero“. E mentre prende tempo, lo contatta un altro ristorante per una prova. “Anche con loro però – conclude – è la stessa cosa: parte dello stipendio è in regola, parte no. Non posso però che accettare. Lo sfruttamento? In maniera diversa, ma esiste anche qui”.
“Nella catena italiana di pizzerie otto ore senza pausa. E buste paga ‘false'” – Non va meglio ai dipendenti dei ristoratori italiani a Berlino. Una storica catena di tre pizzerie – a Kreuzberg, Friedrichshain e Prenzlauer Berg – è il bersaglio di un appello lanciato da un gruppo di ex dipendenti stanchi di vessazioni e condizioni di lavoro. Chiedono alla Banda Bassotti e ai 99 Posse di non esibirsi in concerto il 17 aprile, perché quell’evento è organizzato anche dai gestori dei locali. “Nella Berlino ‘dei sogni e delle speranze’ – scrivono – ogni immigrato italiano è passato per uno di questi tre ristoranti a chiedere lavoro”. E questo anche perché “si è attratti dalle bandiere rosse e dalle foto di Che Guevara appese alle pareti”. Ma “la realtà che si trova lì dentro è diversa”.
“Dalla busta paga ti tolgono 90 euro per il cibo e le bevande consumati nel mese precedente”
Ecco, nello specifico, cosa intendono: “I ritmi di lavoro sono di otto ore ‘alla catena’ senza pausa“. In più “le paghe sono da miseria, ma soprattutto i soldi ti vengono dati spesso in nero”. E a fine mese spesso viene consegnata ai lavoratori una “busta paga falsa che ti invitano a firmare”, in cui l’importo scritto non corrisponde a quello erogato al lavoratore. In più “ti tolgono 90 euro per il cibo e le bevande consumati nel mese precedente”. Ferie e malattie? “Bisogna combattere per farsele pagare”. E “quando uno chiede spiegazioni rimangono vaghi, ma se si insiste possono arrivare al sequestro di alcuni documenti presi al momento dell’assunzione. Rossi? A parole. La cosa più triste è che loro da quelle idee di sinistra ne traggono immagine e profitto”.
“Laureati? Sei mesi di corsi intensivi non sono sufficienti per il mercato del lavoro” - Sono parole di chi lavora nella ristorazione, ma non si tratta di casi isolati. Gli ostacoli per gli italiani a Berlino sono tanti e creano la condizioni per lo sfruttamento. Il primo – e più importante – è la lingua. “Ci si trasferisce senza parlarla e sei mesi di corso, anche intensivi, non sono abbastanza per proporsi veramente nel mercato del lavoro dei laureati”, ci racconta Lucia Cocci, docente di tedesco freelance e reclutatrice per tre anni di personale per un’importante azienda berlinese. “Ingegneria, economia, pubbliche relazioni, architettura: a volte è possibile riuscire a lavorare con l’inglese, ma la concorrenza è alta. A Berlino non arrivano solo italiani, ma giovani e meno giovani da tutto il mondo. Quindi una buona conoscenza del tedesco è un punto in più che fa la differenza”.
“Ingegneria, economia, pubbliche relazioni, architettura: a volte è possibile riuscire a lavorare con l’inglese, ma la concorrenza è alta”
Servizio clienti, paga giusta. Ma nessuna possibilità di carriera – Ecco quindi che molti si riciclano nella gastronomia, tra camerieri, aiuti cuoco e baristi fino ad arrivare, se si hanno un po’ di soldi da parte e una famiglia in grado di aiutare, a un café o un ristorante di proprietà. Per tutti gli altri l’alternativa che va per la maggiore è il servizio clienti: l’Arvato, Zalando (e tutto il gruppo Rocket), Booking ed eBay sono solo alcune delle grandi società internazionali che da Berlino gestiscono le relazioni con la clientela di mezzo mondo, compresa l’Italia. E allora sì che la nostra lingua serve, anche se deve sempre essere associata almeno all’inglese. Paga oraria giusta e vita dignitosa? Sì, ma meglio non farsi illusioni, di carriera da fare ce n’è poca.
Startup, tra rischio e paga a progetto – La capitale tedesca negli ultimi anni è diventata anche uno dei principali incubatori europei di startup. Che spesso, però, aprono (e chiudono) dopo aver provato a lanciare l’ennesimo prodotto digitale. La paga? Minima, del resto chi può investire davvero quando è all’inizio? Racconta Enrico Sinatra: “Dopo vari lavori in ostello a 6 euro l’ora, finalmente trovo lavoro in un startup berlinese parzialmente finanziata dal governo tedesco. Il salario è a progetto. Prima mi offrono 8 euro l’ora per 20 ore settimanali, poi 450 per 40 ore settimanali. Rifiuto, ma in giro non c’è molto di meglio”.
“Amo il mio lavoro a prescindere dalla paga. Sempre che riesca a mangiarci”
Patrizio A., fotografo, 32 anni, veneto, ha invece commesso l’errore di fidarsi delle parole dei suoi datori di lavoro, a capo di un’agenzia berlinese che realizza foto per esercizi commerciali: “Con la scusa che il progetto era all’inizio, ho gradualmente accettato paghe sempre più basse rispetto a quelle contrattate all’inizio. Lavoravo con la mia attrezzatura e inizialmente gli ho portato anche la mia clientela. Nonostante tutto avrei potuto resistere, amo il mio lavoro a prescindere dalla paga, sempre che riesca a mangiarci”. La svolta arriva con una lettera da parte dell’assicurazione medica. “Scopro che i miei capi non solo non mi avevano pagato la copertura sanitaria, ma nel contratto c’era una clausola che non avevo letto bene e che li esonerava dal farlo. A parole, però, mi avevano garantito il contrario”.
“I tedeschi? Grande senso civico. E spesso famiglie disgregate” - A fronte di chi decide comunque di rimanere, c’è anche chi fa la scelta opposta: quella di tornare in Italia. Come Luigi Cornaglia, che ha vissuto a Berlino dal 2006 al 2010. Poi è rientrato nella sua Genova per provare la carriera – e ci è riuscito – di esperto di comunicazione aziendale e curare un nuovo business di commercio dell’olio verso la Germania. “Berlino mi manca per tanti aspetti, ma in Italia ho trovato una buona opportunità di lavoro. A posteriori posso dire di aver fatto bene”. I tedeschi? “Hanno grande senso civico, ma pochissima disponibilità agli affetti. Sono una comunità rispettosa ed equilibrata, ma le famiglie sono spesso disgregate e rancorose”. In pratica era “un modello che sentivo lontano da ciò che volevo, e voglio tuttora, per me stesso”.
“Berlino mi manca per molti aspetti. Ma a posteriori sono contento di essere tornata in Italia”
E l’aspetto emotivo per molti italiani non è secondario. Lo sa bene Giulia Borriello, psicologa, fondatrice dell’associazione per la salute mentale italiana in Germania, Salutare e.V. Il suo contatto con gli italiani a Berlino è quotidiano: “Le delusioni sono continue. L’adattamento per molti di loro è lento. Disoccupazione, costo della vita sempre più alto, difficoltà a realizzare rapporti d’amicizia stabili anche perché Berlino è un porto di mare, tanti passano e ripartono. Pesano anche le poche ore di sole invernale nonché, e soprattutto per chi è qui da più tempo, la malinconia di chi comincia a sentire fortemente lo sradicamento dalle proprie origini. Elementi che portano anche a riconsiderare la propria permanenza in Germania”. Perché a Berlino, ormai, il biglietto non è più di sola andata.
Il Manifesto
25.03.2015
«Colpevole» solo di avere partecipato con migliaia di coetanei alla protesta contro la Bce del 18 marzo. Anche Noam Chomsky chiede la liberazione dello studente della School of Oriental and African Studies di Londra
una cosa che da sempre lo Stato tedesco non ama sia messa in discussione: lo Strassenordnung ovvero «l’ordine nelle strade». E non ha mai mancato di vendicarsi, accanendosi verso chi avesse osato turbarlo. Anche a costo di cercare un capro espiatorio.
Pare che ciò stia accadendo a un cittadino italiano, detenuto ormai da una settimana a Francoforte nel carcere di Preungesheim. Si chiama Federico Annibale ed è studente di Master in studi dello sviluppo presso la prestigiosa School of Oriental and African Studies (SOAS) dell’Università di Londra.
La sua colpa? Aver partecipato, insieme ad alcune migliaia di coetanei, alla mobilitazione di Blockupy contro l’inaugurazione della nuova sede della Banca Centrale Europea lo scorso 18 marzo.
Annibale è stato brutalmente tratto in arresto — come denunciano gli amici che si trovavano con lui — da un’unità speciale della polizia tedesca mentre, a ore di distanza dagli scontri del primo mattino, si trovava seduto su una pachina lungo lo Zeil, la strada commerciale nel centro di Francoforte, a mangiare un panino. È stato trascinato via in manette e a tutt’oggi neppure i suoi legali hanno potuto sapere quali siano gli specifici addebiti che gli vengono contestati.
Sta di fatto che tutte le persone fermate (nella foto lapresse-reuters) durante le iniziative di Blockupy sono state rilasciate dopo poche ore, chi per evidente mancanza di prove a carico, chi su cauzione, mentre lo studente romano resta l’unico dei manifestanti ancora nelle mani dello Stato tedesco. L’impressione è che, dopo l’allarme preventivo lanciato dalla Polizia dell’Assia e la successiva campagna mediatica, Annibale stia pagando la nazionalità italiana scritta sul suo passaporto, e quindi il tentativo di attribuire ai «pericolosi Kaoten arrivati dal Sud» la responsabilità degli attacchi alle forze dell’ordine. Per la liberazione di Federico, capro espiatorio designato per il successo della protesta anti-austerity, si stanno intanto mobilitando in molti. I suoi compagni denunciano il fatto che «a Francoforte questa settimana si sia vista una sospensione delle libertà civili, con la detenzione usata come misura punitiva, invece che come misura investigativa», aggiungendo che «questa violazione dei diritti umani è un’ulteriore testimonianza della complicità degli apparati di sicurezza dello Stato con il sistema economico neoliberista».
«Solidale con lui» si è espresso Noam Chomsky, che ha chiesto a tutti «una forte e coordinata protesta». Appello raccolto subito dal coordinamento tedesco della coalizione Blockupy, dalla redazione del magazine on line «Daily Storm» con cui Annibale collabora e dalla SOAS Students’ Union, il sindacato studentesco dell’università londinese che denuncia «un arresto politicamente motivato e utilizzato come strumento di intimidazione», notando come ad ora «non sia stata neppure fissata la data di un’udienza».
Il caso di Federico Annibale approda infine anche nelle aule parlamentari. Il deputato di SEL Erasmo Palazzotto ha presentato un’interrogazione urgente al ministro degli Esteri Gentiloni, chiedendo alla diplomazia italiana di «attivarsi per la sua immediata scarcerazione». Intanto, al Parlamento Europeo, è Eleonora Forenza (Altra Europa con Tsipras — Gue/Ngl) a sollevare di fronte alla Commissione Ue una questione cruciale: se, di fronte alla giornata di lotta di Blockupy, gli apparati di sicurezza della cancelliera Merkel abbiano o meno «rispettato i principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione». Giusto per sapere se, a chi chiede un’Europa dei diritti sociali, si contrapponga invece la costruzione di un’Europa delle polizie.
The Post Internazionale
24.03.2015
Due ragazzi tedeschi hanno creato un sito per accogliere in casa i rifugiati e aiutarli a sostenere i costi della vita
di Marta Vigneri
Mareike Geiling e Jonas Kakoschke sono due ragazzi tedeschi di 28 e 31 anni.
Vivono a Berlino e condividono le spese della loro casa nel Mitte con un coinquilino molto speciale: un profugo maliano.
L'immigrazione in Italia è un tema controverso e dibattuto, tanto per chi ne fa un uso propagandistico a favore o al contrario. Le iniziative di solidarietà nei confronti degli immigrati sono molteplici.
Eppure, talvolta, queste manifestazioni volte ad accogliere l'immigrazione tout court sono fine a se stesse, perché le azioni che ne conseguono rimangono solo un nobile pensiero.
In Germania, dove i richiedenti asilo non hanno il permesso di lavorare, stime ufficiali riportano che nel 2013 sono pervenute più 100mila domande di asilo politico.
Per andare contro al trend del tutti ne parlano ma in pochi fanno realmente qualcosa, Mareike e Jonas hanno deciso di aiutare un profugo accogliendolo in casa.
Il neo-coinquilino 39enne, che preferisce rimanere anonimo, contribuisce alle spese con 400 euro al mese. Ma come fa a pagare se non lavora?
Mareike e Jonas hanno pensato anche a questo, creando il sito Refugees Welcome, dove è possibile fare donazioni e aiutare il rifugiato a sostenere i costi di abitazione.
Come loro, altre 400 persone tra Germania e Austria hanno aderito all’iniziativa registrando la propria casa sul sito. Refugees Welcome le ha messe in contatto con le associazioni che aiutano i profughi nelle rispettive città, e ha così trovato loro un coinquilino.
I due ragazzi di Berlino sperano di riuscire a coinvolgere anche i cittadini di altri Paesi europei, dove l’immigrazione è vista come minaccia alla propria casa più che una possibilità di aprirne le porte.