Huffington Post
30 04 2015
Studentessa musulmana cacciata da scuola francese: "La tua gonna è troppo lunga". La solidarietà su Twitter
È stata cacciata da scuola perché indossava una gonna troppo lunga. Questa la motivazione con cui un istituto francese ha deciso di allontanare una ragazza di 15 anni. Alla giovane, di religione musulmana, è stato vietato di frequentare le lezioni perché si tratta di un istituto laico e la gonna lunga è, secondo l'ordinanza del preside, un simbolo religioso.
In Francia vigono leggi molto severe che vietano agli studenti di indossare simboli religiosi apertamente in istituti di istruzione. La studentessa parlando al quotidiano locale L'Ardeannais, ha riferito che aveva già tolto il velo per poter frequentare la scuola. Ma anche la sua gonna lunga è stata considerata una "provocazione", un potenziale atto di protesta: "La mia gonna non è niente di speciale, è molto semplice, non c'è nulla di evidente. Non vi è alcun segno religioso di sorta", ha detto la giovane.
"La ragazza non è stata esclusa, le è stato solo chiesto di ripresentarsi con un altro tipo di abbigliamento" ha detto un funzionario locale della cittadina di Charleville-Mezieres, vicino al confine con il Belgio. La notizia ha scatenato una levata di scudi sui social media, con i commentatori che rimarcano l'ipocrisia e il bigottismo nel trattamento riservato alla ragazza. Su Twitter, l'hashtag #JePorteMaJuppeCommeJeVeux ("Indosso la gonna che voglio") è già un trend.
I critici delle rigide leggi francesi nelle scuole dicono che queste velatamente nascondono un pregiudizio diffuso contro i musulmani e gli immigrati nella società francese. Recenti ricerche hanno rivelato come i musulmani affrontino discriminazioni sistematiche sulla base della loro razza, credo e cultura.
Sette - Corriere della Sera
17 04 2015
Quando Mehmet Karaca, rettore dell'Itu, l'Università Tecnica di Istanbul, ha annunciato soddisfatto che, a grande richiesta degli studenti sarebbe stata costruita la prima moschea, non si sarebbe aspettato in risposta una petizione on line di oltre 25mila firme che sollecitava, in nome della libertà di culto delle minoranze, l'apertura anche di un tempio buddista.
"Non posso soddisfare le mie esigenze religiose", ha spiegato seriosamente nel sito uno dei firmatari per la par condicio, Utku Gurcag, "perchè il tempio buddista più vicino è a duemila chilometri da qui, e io non ce la faccio a raggiungerlo per andare a pregare durante la pausa pranzo".
Nel caso il sarcasmo non fosse stato abbastanza esplicito, gli studenti dell'Università Dokuz Eylul, a Smirne, hanno raccolto in un battibaleno, su change.org, quattromila firme, reclamando l'urgente costruzione di un tempio Jedi per i seguaci del fantasioso ordine monastico di Guerre Stellari. ...
La Stampa
17 04 2015
Un certo pessimismo che ama travestirsi da realismo porterebbe a dire: come si potranno integrare con la nostra cultura quei migranti che durante la traversata verso l’Europa hanno buttato a mare i compagni di sventura di religione cristiana? E a cosa serve espellerli, se tanto si rimetteranno subito in coda per tornare? L’unica alternativa possibile allo scoramento ci viene suggerita dal comportamento dei cristiani superstiti di quel barcone. Invece di accettare la rissa, si sono stretti l’un l’altro in una catena umana che li ha ancorati allo scafo, impedendo agli aggressori musulmani di buttarli di sotto con i loro fratelli.
Non esistono altre ricette, nemmeno per noi. Fermare la migrazione di masse disperate e motivatissime è praticamente impossibile, a meno di invadere i loro Paesi di provenienza e scatenare una guerra che produrrebbe ulteriori sconquassi. Sono in atto mutamenti epocali che ridisegneranno i confini degli Stati arabi al di là del Mediterraneo e portano già adesso la nostra civiltà a ritrovarsi assediata da pezzi consistenti di caos.
Fin qui la reazione dell’Europa è stata schizofrenica, in un alternarsi di rimozione e di collera, di menefreghismo per le ecatombi e di scoppi improvvisi di cordoglio in occasione di qualche tragedia che, come quest’ultima, si distinguesse dalle altre per un particolare inedito in grado di accendere l’immaginazione.
E’ mancata la presa d’atto che questo problema non si può risolvere ma solo assorbire, purché lo si affronti allo stesso modo da Copenaghen a Lampedusa. Contro l’ondata incontrollabile serve una catena umana ideale. Una forma di resistenza basata sulla solidarietà e sul buonsenso, che è cosa assai diversa dal senso comune.
Massimo Gramellini
Internazionale
10 04 2015
L’islam è la seconda religione in Italia per numero di fedeli, ma a causa della sua realtà frammentata non ha ancora raggiunto un’intesa con lo stato italiano. Le moschee spesso nascono come associazioni culturali e la mancanza di istituzioni ufficialmente riconosciute e rappresentative genera molte incertezze.
Napoli, da sempre crocevia di popoli e culture, la situazione non è diversa: nonostante i cinquantamila musulmani presenti nel capoluogo campano, non esiste né una grande moschea né un cimitero consacrato alla sepoltura secondo il rito islamico.
Eppure, nel corso dei secoli, differenti influenze si sono radicate nel tessuto sociale, rendendolo un luogo aperto alla contaminazione e incline all’ospitalità. Complice la presenza dell’università Orientale e la sua posizione geografica, Napoli è stata uno degli approdi favoriti per i tanti musulmani giunti dalle altre sponde del Mediterraneo.
Inoltre la forte presenza islamica ha favorito, negli ultimi decenni, un aumento considerevole delle conversioni e il fenomeno è diventato così rilevante che uno dei maggiori luoghi di culto cittadini è diretto da due italiani, Agostino Yasin Gentile e Massimo Abdallah Cozzolino. Si tratta della moschea di piazza Mercato, oggi luogo di diffusione della cultura islamica e presidio di prima accoglienza per i migranti.