Internazionale
14 09 2015
Sono scoppiati violenti scontri tra palestinesi e polizia israeliana sulla Spianata delle moschee, nella città vecchia di Gerusalemme. La tensione è stata scatenata dal divieto, imposto da Israele l’8 settembre, alla vigilia del capodanno ebraico che comincia stasera, di entrare nell’area ai membri del gruppo musulmano dei Murabitun (sentinelle), affiliato ai Fratelli musulmani.
Secondo quanto riferito dalla polizia israeliana, nella notte un gruppo di palestinesi ha eretto barricate davanti alla moschea Al Aqsa. “I manifestanti, dotati di maschere, hanno lanciato pietre e molotov contro la polizia”, hanno detto gli agenti.
Per disperdere i manifestanti palestinesi le forza di polizia israeliane hanno usato gas lacrimogeni e granate stordenti e hanno fatto irruzione all’interno della moschea, la più grande di Gerusalemme.
Il presidente palestinese Abu Mazen ha definito l’episodio “un attacco” e ha ribadito che per l’Autorità Nazionale Palestinese la moschea di Al Aqsa e i luoghi sacri dell’islam sono “una linea rossa” da non superare.
Sono 110 i palestinesi feriti o intossicati negli incidenti, secondo l’agenzia palestinese Maan. Secondo il presidente della Mezzaluna rossa la maggior parte degli infortuni è dovuta ai lacrimogeni, mentre venti feriti sono stati trasferiti all’ospedale per patologie più gravi.
La Spianata delle moschee, che gli ebrei chiamano Monte del tempio, è stata chiusa ai visitatori per circa tre ore, ma poi è stata riaperta al pubblico.
Dinamo Press
01 09 2015
Parla la famiglia palestinese che ha respinto il soldato israeliano che voleva arrestare il loro ragazzo a Nabi Saleh, in Cisgiordania. Tratto da East middle eye,, traduzione a cura di dinamopress.
La famiglia Tamimi ha dichiarato che la presenza dei giornalisti è stata cruciale per respingere il soldato israeliano che voleva arrestare il loro Mohammed di 11 anni. Nariman Tamimi racconta che lei e suo figlio stavano guardando la manifestazione da lontano quando ha notato che qualcosa non andava. I soldati, che di solito cercano di bloccare la protesta prima che raggiunga il ripido pendio del suo villaggio, sembrava stessero incoraggiando i dimostranti a scendere il pendio. Quando ha capito il motivo, era troppo tardi. Racconta che una dozzina di soldati si erano nascosti dietro gli alberi e dei massi lungo il fianco di una collina, saltando fuori per catturare manifestanti impreparati.
“Abbiamo visto che i soldati avevano preso mio nipote e un'attivista straniero, stavano per arrestarli e tutti siamo corsi per aiutarli” dice Nariman. Quando gli altri manifestanti sono corsi in aiuto dei due manifestanti che erano stati arrestati, il figlio di Nariman, Mohammed Tamimi, 11 anni, è rimasto dietro e continuava a guardare a distanza. Questo è il momento in cui è stato catturato solo. Quello che è accadduto successivamente è stato ripreso da una macchina fotografica in una serie di foto, che ritraggono un giovane ragazzo buttato a terra da un soldato israeliano, mentre la madre del ragazzo, la zia e la sorella combattono per togliere l'uomo adulto via dal bambino.
Diffusione virale
Le foto e i video dell' incidente si sono diffusi rapidamente attraverso i social media, catturando l'attenzione delle agenzie di stampa internazionali. La famiglia Tamimi, noti attivisti palestinesi, sono rimasti impressionati per quanto velocemente si fossero diffuse le foto. Bilal Tamimi, uno degli zii del ragazzino fermato nel filmato, haripreso l'intera aggressione.
“(Uno dei miei video) ha raggiunto più di un milione di visualizzazioni solo oggi” Bilal ha dichiarato al Middle East Eye dalla casa della sua famiglia nel piccolo villaggio di Nabi Saleh appena fuori Ramallah. “Non ci posso credere, nessuno di noi può crederci”
La zia di Mohammed, Nawal Tamimi che è stata ripresa nel video mentre disperatamente tirava e colpiva la faccia e il corpo del soldato – cercando con tutte le sue forze di tirare via il soldato da suo nipote – dichiara che è riconoscente del fatto che le telecamere fossero lì. Questi tipi di incidenti non sono rari per Nabi Saleh e per la Palestina”, dice Nawal. “Siamo grati del fatto che le persone stanno guardando queste foto e vedono cosa accade sotto l'occupazione, ma cose peggiori di queste si verificano sempre. Se non ci fossero state così tante persone con le telecamere, quel giorno loro ci avrebbero tranquillamente sparato e avrebbero preso Mohammed, non sarebbe stato anormale”.
Il villaggio di Nabi Saleh organizza settimanalmente la manifestazione del venerdi– senza alcuna eccezione – dal 2009, come protesta contro l'occupazione israeliana del territorio palestinese, e contro la confisca delle terre di Nabi Saleh ad opera del vicino insediamento illegale di Halamish. Il villaggio è conosciuto per l'intensità degli scontri che ci sono durante le proteste e per l'organizzazione del suo comitato di resistenza popolare. La forza del movimento di resistenza di Nabi Saleh significa che le forze israeliane effettuano incursioni nelle case durante la notte e che gli scontri sono frequenti.
Nessun luogo è sicuro
Tutti i bambini di Nariman, anche il suo figlio più piccolo, prendono parte alle manifestazioni di Nabi Saleh. Spiega che durante le proteste non tiene a casa i suoi figli perchè nemmeno nelle loro case sono al sicuro. Nelle foto, il giovane ragazzo che è stato immobilizzato, indossa un gesso al braccio, una ferita, dice sua madre, che è stata causata quando le forze israeliane hanno attaccato la loro casa solo due giorni prima dell'incidente di Venerdì. “Si può vedere dalle foto che indossa un gesso” afferma Nariman “I soldati hanno lanciato lacrimogeni dentro casa e rotto le finestre, uno di questi contenitori di metallo che è caduto dentro, ha colpito il suo braccio e gli ha rotto il polso”.
“Quindi, a Nabi Saleh non esiste un luogo sicuro nè dentro nè fuori, ma i bambini sono meno traumatizzati restando fuori ed affrontando le loro paure piuttosto che stare qui a nascondersi, li fa sentire meglio, psicologicamente” insiste Nariman.
Se ami qualcuno lo proteggeresti
I fotografi sono stati i primi a raggiungere Mohammed, riprendendo i momenti iniziali dell'incidente di venerdì, mentre urlavano contro il soldato affinchè rilasciasse il ragazzo e avvertendolo che il braccio del ragazzo era rotto. La sorella di Mohammed, Ahed, 14 anni, è stata la prima che fisicamente è arrivata in suo aiuto. “All'inizio ho provato a parlare con il soldato per convincerlo a lasciare andar via Mohammed, ma lui non voleva così ho fatto qualsiasi cosa in mio potere per liberare mio fratello da lui. Chiunque avrebbe fatto lo stesso per il proprio fratello o per qualcuno che si ama, se ami qualcuno lo proteggi” ha spiegato Ahed.
Una delle foto più condivise tra la serie di immagini virali, mostrano Ahed mordere la mano del soldato durante lo scontro per liberare Mohammed. “Non so cosa stessi facendo, stavo solo facendo qualsiasi cosa per liberare mio fratello” afferma. Ahed e la madre di Mohammed possono essere viste mentre graffiano la faccia e la maschera del soldato condividendo lo stesso sentimento. Nariman è arrivata sulla scena subito dopo Ahed. Nel video, prima che raggiungesse lo scontro tra i suoi due figli e il soldato, la si sentiva urlare “Mio figlio, mio figlio” ripetutamente. “Non stavo pensando ad altro tranne che a togliere il soldato da sopra mio figlio, non importa come” afferma Nariman quando le viene chiesto se a un certo punto si fosse spaventata delle possibili conseguenze di un contatto fisico con un soldato israeliano. “Quella mitragliatrice stava penzolando lì vicino alla testa di mio figlio e la sua mano era attorno alla sua gola.”
Quando Nariman ha visto le foto per la prima volta, dice che è stata attraversata da un turbine di emozioni. “Ridevo e piangevo. In un primo momento, quando ho visto la faccia mia e di mia figlia mentre lei mordeva il soldato e io lo colpivo e lo sguardo sulla faccia del soldato, ridevo”. Esclama. “Ma quando ho visto e realizzato la paura nel volto di Mohammed mi sono messa a piangere. Nessuna madre vorrebbe vedere sulla faccia del proprio figlio una tale paura”.
Mentre Mohammed guarda terrorizzato le foto, subito scarta l'idea che l'incidente sarebbe potuto essere il momento piu spaventoso dei suoi 11 anni di vita. “Il momento più pauroso della mia vita non è stato venerdì” spiega Mohammed, raccogliendo la stoffa sfilacciata sul braccio gessato. “è stato quando avevo nove anni. I soldati arrivarono al villaggio nel mezzo della notte e allora non c'era nessun giornalista a guardare e ci siamo messi a correre via da loro, ma i bambini più grandi erano più veloci”
Come venerdì, Mohammed è stato separato dal gruppo, il resto dei suoi cugini più grandi, si erano messi su una collina, ma lui e un altro cugino erano ancora in basso, con i soldati vicino, racconta. I soldati stavano per arrestarci, ma i nostri cugini iniziarono a buttare i sassi e noi siamo riusciti a scappare, ma quando ho raggiunto il resto dei ragazzi hanno sparato a mio cugino giusto di fronte a me. Questo è stato il momento più pauroso, non ieri.
Nariman non è estranea a situazioni intense, ma spiega che ogni madre potrebbe fare quello che lei ha fatto di istinto, senza curarsi del rischio. “Sei sei una madre proteggeresti i tuoi figli senza pensarci. Anche un gatto, se vede qualcosa che sta ferendo il suo piccolo, lei lo attaccherebbe, e questo è quello che ho fatto io.” Nariman insiste con fervore. “Loro non stavano solo provando ad arrestarlo, il modo in cui la mano del soldato era attorno al collo di mio figlio lo avrebbe potuto uccidere.”
*Tratto da eastmiddleeye.net, traduzione a cura di dinamopress.
Huffington Post
07 08 2015
I palestinesi proteggono una poliziotta israeliana dal lancio di pietre dei coloni: la foto simbolo di una pace possibile
A volte la solidarietà delle persone va decisamente al di là dei conflitti tra le nazioni di appartenenza: lo dimostra la vicenda riportata dall'Independent.
Una poliziotta delle forze israeliane in servizio nelle zone abitate dai coloni è stata coinvolta in una protesta dei coloni stessi, rischiando di essere ferita dalle pietre che lanciavano: a difenderla, invece dei suoi connazionali, due uomini palestinesi.
La scena è stata immortalata dallo scatto del fotografo del giornale israeliano Yedioth Ahronoth Shaul Golan, subito fuori dalla West Bank, parte del territorio occupato. Gli scontri tra attivisti contrari all'occupazione e estremisti israeliani sono avvenuti nella zona vicina all'insediamento di Aish Kedesh e al villaggio palestinese di Kusra.
L'agente, che stava subendo una pioggia di sassi lanciati proprio dai coloni, è stata protetta da due uomini palestinesi, uno dei quali è Zakaria Sadah, un collaboratore del gruppo Rabbis for Human Rights (RHR), un'associazione umanitaria israeliana.
"Pur essendo normale che le forze dell'ordine si identifichino più con i propri connazionali, le procedure che riguardano l'applicazione della legge in situazioni che coinvolgono israeliani violenti devono essere definite con chiarezza e implementate con coerenza", ha commentato RHR.
Dinamo Press
05 08 2015
Il j'accuse contro la società israeliana di uno dei pochi intellettuali critici che vi abitano, arrivato dopo la morte di un bambino di un anno e mezzo arso vivo da un commando di coloni che ha dato fuoco alla sua casa.
Gli israeliani accoltellano gay e bruciano bambini. Non vi è un briciolo di calunnia, il minimo grado di esagerazione, in questa secca descrizione.
Vero, queste sono le azioni di pochi. Vero, anche, che il loro numero sta crescendo. E' vero che tutti loro - tutti gli assassini, tutti coloro che danno fuoco, che accoltellano, che sdradicano alberi - fanno parte dello stesso gruppo politico. Ma chi è all'opposizione condivide la responsabilità.
Tutti coloro che hanno pensato che sarebbe stato possibile sostenere isole di democraticità nel mare del fascismo israeliano sono stati messi in imbarazzo questo fine settimana, una volta e per tutte. Semplicemente non è possibile sostenere la brigata commando che spara ad un adolescente, e poi restare scioccati dai coloni che mettono a fuoco una famiglia; sostenere i diritti dei gay e tenere una conferenza in Ariel (insediamento coloniale); essere senza pregiudizi e poi assecondare la destra e cercarvi dei partner. Il male non conosce confini; inizia in un posto e velocemente si diffonde ovunque.
Il principale terreno fertile di coloro che hanno dato fuoco alla famiglia Dawabsheh sono le Forza di Difesa Israeliane, anche se i criminali non vi hanno prestato servizio. Quando l'uccisione di 500 bambini nella Striscia di Gaza è legittima, e non obbliga nemmeno un dibattito, un giudizio morale, cosa c'è di cosi terribile nel dare fuoco ad una casa, insieme ad i suoi abitanti? Dopo tutto, qual è la differenza tra lanciare una bomba di fuoco e sganciare una bomba? In termini di intenzione, o di intento, non c'è differenza.
Quando sparare ai palestinesi diventa quasi un evento quotidiano - altri due sono già stati uccisi da quando la famiglia è stata data a fuoco: uno in Cisgiordania, l'altro al confine della Striscia di Gaza - chi siamo noi per lamentarci dei lanciatori di fuoco di Duma?
Quando le vite dei palestinesi sono ufficialmente nelle mani dell'esercito, il loro sangue di poco valore agli occhi della società israeliana, allora anche le milizie di coloni sono autorizzate a ucciderli. Quando l'etica delle Forze di Difesa Israeliane nella Striscia di Gaza è che qualsiasi cosa è permessa pur di salvare un soldato, chi siamo noi per lamentarci dei conservatori come Baruch Marzel, che questo fine settimana mi ha detto che era permesso uccidere migliaia di palestinesi per proteggere un singolo capello della testa di un ebreo. Questa l'atmosfera, questo il risultato. Per questo motivo la responsabilità primaria va alle Forza di Difesa Israeliane.
Non meno da condannare sono, certamente, i governi ed i politici che gareggiano a chi lecca di più i piedi ai coloni. Chi dà loro 300 nuove abitazioni in cambio della loro violenza all'insediamento vanto di Beit El sta dicendo loro che non solo la violenza è permessa ma anche che paga. E' già difficile tracciare la linea tra il lanciare buste di urina agli ufficiali di polizia e bombe di fuoco dentro le abitazioni delle persone.
Sono da rimproverare, certamente, le autorità adibite a far rispettare la legge, iniziando dal Distretto di Polizia della Giudea e Samaria - il più ridicolo e scandaloso fra tutti i distretti, e non per caso. Nove case palestinesi sono state date alle fiamme negli scorsi tre anni, secondo B'Tselem. Quante persone sono state processate? Nessuna. Quindi cosa è accaduto a Duma venerdi? Il fuoco era semplicemente migliore, agli occhi degli incendiari e dei loro complici.
Fra i loro complici, chi rimane in silenzio, chi perdona e tutti coloro che pensano che il male rimanga per sempre dentro i confini della Cisgiordania. Fra i loro complici anche gli israeliani convinti che il Popolo di Israele sia il Popolo Eletto, e di conseguenza sia permesso farequalsiasi cosa - incluso dare a fuoco abitazioni di non ebrei, con i loro abitanti dentro.
Così, troppi, molti di coloro che sono rimasti scioccati dall'atto, incluso personalità che hanno visitato le vittime nel Centro Medico di Sheba, fuori Tel Aviv - il presidente, il primo ministro, il leader dell'opposizione e i loro assistenti – si sono imbevuti del razzista, irritante “Hai scelto noi fra tutti i popoli” con il loro latte materno.
Alla fine di una terribile giornata, è questo che ha portato al dare alle fiamme una famiglia che Dio non aveva scelto. Nessun principio nella società israeliana è così distruttivo, o maggiormente pericoloso, di questo principio. Né, sfortunatamente, più comune. Se doveste esaminare attentamente cosa si cela sotto la pelle della maggior parte degli israeliani, trovereste: il popolo eletto. Quando questo diventa un principio fondamentale, la prossima bomba di fuoco sarà solo una questione di tempo.
I loro complici sono ovunque, e la maggior parte di essi sta ora disapprovando ed esprimendo sgomento per quanto accaduto. Ma quanto accaduto sarebbe potuto non accadere; quanto accaduto è stato dettato dalle esigenze della realtà, la realtà di Israele e del suo sistema di valori. Quanto accaduto accadrà di nuovo e nessuno sarà risparmiato. Tutti noi abbiamo dato alle fiamme la famiglia Dawabsheh.
di Gideon Levy*
*L'articolo è apparso in inglese sul quotidiano israeliano Haaretz, la traduzione è stata pubblicata da Rosa Schiano sulla sua pagina Facebook