Huffington Post
31 07 2015
Un bambino palestinese di 18 mesi è morto in un villaggio vicino a Nablus, in Cisgiordania, a causa di un incendio appiccato da presunti nazionalisti ebrei. Lo ha reso noto la polizia israeliana, affermando che sul muro della casa data alle fiamme sono state dipinte le scritte 'vendetta' e che l'aggressione sembra essere un attacco 'price tag', espressione usata dagli estremisti per le loro aggressioni ai palestinesi e, in alcuni casi, anche a istituzioni israeliane.
La polizia ha inoltre affermato che l'attacco è avvenuto nelle prime ore della mattina, mentre il piccolo e la sua famiglia dormivano. Sia i genitori sia il fratellino della vittima, di quattro anni, sono rimasti gravemente feriti nell'incendio: sono stati ricoverati con ustioni su oltre il 70 per cento del corpo.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è detto scioccato. "Questo è un attacco terroristico. Israele agisce con durezza contro gli atti di terrorismo, non importa chi siano gli autori", ha detto il premier. Un portavoce del presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) Mahmoud Abbas ha dichiarato che la responsabilità dell'attacco è di Israele. "Un crimine di questo tipo non sarebbe avvenuto se il governo israeliano non insistesse nel costruire insediamenti e nel proteggere i coloni", ha detto il portavoce Nabil Abi Rdainah in un comunicato diffuso tramite l'agenzia di stampa palestinese Wafa. Saeb Erekat, il numero due dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), ha dichiarato che "non si può dissociare questo attacco barbaro" da un "governo che rappresenta una coalizione per la colonizzazione e l'apartheid".
Frontiere news
30 06 2015
Marianne, Rachel, Vittorio, Juliano. Queste le quattro barche componenti la terza flottiglia umanitaria partita dall’Europa verso il porto di Gaza. Il premier israeliano Netanyahu ha più volte etichettato la missione come “uno sfoggio di ipocrisia che giova solo ad Hamas” evitando accuratamente di menzionare il grande sostegno che parte della società israeliana ha mostrato in vari modi verso la spedizione.
“Noi, associazioni palestinesi, ebraiche e attivisti israeliani, siamo contro la politica israeliana che continua a violare i diritti umani, una politica che cerca di mantenere il controllo sull’assedio che sta strangolando la popolazione palestinese. L’assedio mina lo sviluppo e l’indipendenza economica e mantiene Gaza sotto occupazione, dipendente da Israele per la maggior parte dei bisogni umani basilari. Sosteniamo la lotta per porre fine all’occupazione dei territori palestinesi e della Striscia di Gaza assediata”, si legge in una lettera congiunta di associazioni palestinesi ed israeliane. È una presa di posizione molto coraggiosa in un paese dove la narrazione dominante tratta i non allineati come antisemiti o, se ebrei, come traditori della nazione.
“Siamo preoccupati per la condizione umanitaria nella Striscia di Gaza, sottoposta a rigido assedio dal 2007″, continua la lettera di supporto alla spedizione. “A Gaza, più del 70% della popolazione dipende da aiuti umanitari; alla vigilia di “Margine Protettivo” l’attacco militare a Gaza, il 57% della popolazione soffriva di insicurezza alimentare; il tasso di disoccupazione era del 42.8% nell’ultimo quarto del 2014 (rispetto al 18.7% nel 2000); 27 scuole statali a Gaza sono state gravemente danneggiate o distrutte durante il bombardamento della scorsa estate; prima dell’operazione militare la Striscia era già a corto di 200 scuole, tra cui 150 statali; le classi normalmente fanno i doppi turni; Israele non consente la costruzione di un porto a Gaza e pone restrizioni severe ai pescherecci. Più di 100.000 abitazioni sono state danneggiate durante le ultime ostilità, tra cui 17.000 con danni gravi o distrutte: circa 562 industrie e laboratori sono stati danneggiati o distrutti durante le ostilità”.
Anche l’ex membro del Knesset Uri Avnery, di Gush Shalom (il gruppo israeliano per la Pace), ha lanciato (invano) al Primo Ministro Netanyahu ed al Ministro della Difesa Ya’alon un appello ad una pacata riflessione dell’ultimo momento, per consentire a quella che è stata definita la flottiglia svedese di raggiungere il porto di Gaza. “Quattro piccole imbarcazioni cariche di attrezzature mediche e pannelli solari per la generazione di corrente elettrica non costituiscono la benché minima minaccia alla sicurezza di Israele. L’arrivo a Gaza delle barche con il loro carico umanitario sarebbe un piccolo gesto di buona volontà da parte dello Stato di Israele. Al contrario, l’invio di commando armati per impadronirsi delle imbarcazioni in mare rappresenterebbe solo un mero ulteriore atto di forza bruta che rafforzerebbe ancora di più l’immagine di Israele quale violento ed aggressivo Golia – un’immagine che è il principale motivo dell’incremento degli atti di boicottaggio contro Israele in tutto il mondo”.
Avnery ricorda che lo Stato d’Israele permise l’approdo di navi con aiuti umanitari a Gaza in almeno quattro passate occasioni. Questo avveniva prima della decisione di adottare la politica della forza bruta, una linea che causò lo spargimento di sangue della disastrosa vicenda “Mavi Marmara”. Ad esempio, nel Novembre 2008 il Governo israeliano consentì a due imbarcazioni che trasportavano 44 attivisti di 17 paesi di attraccare nel porto di Gaza. All’epoca, il Ministero degli Affari Esteri israeliano rilasciò una dichiarazione che recitava: “Permetteremo a questi cacciatori di visibilità di entrare a Gaza, negando così il successo alle loro provocatorie pubbliche relazioni”. Alla marina militare israeliana fu quindi ordinato di sorvegliare le barche senza però interferire con la loro navigazione ed approdo a Gaza – e così fu. “Si può ritrovare il testo del comunicato del 2008 nei computer del Ministero degli Affari Esteri, per rilasciarlo nuovamente oggi parola per parola” ha suggerito Avnery.
“Al di là della questione specifica di questa flottiglia, è ormai tempo di aprire il porto di Gaza e liberare l’economia della Striscia di Gaza da uno strangolamento che conduce i suoi residenti alla disoccupazione e ad una terribile povertà, terreni di coltura per l’odio e l’estremismo. È risaputo che soggetti internazionali hanno la volontà di trattare un accordo per la supervisione internazionale sul Porto di Gaza, e che la leadership di Hamas desidera raggiungere tale accordo” aggiunge Avnery.
Dopo il generale israeliano in pensione e il parlamentare della Knesset a bordo della “Marianne”, anche l’associazione pacifista israeliana Gush Shalom, cui se ne sono aggiunte in giornata altre sei, ha chiesto (invano, perché le operazioni militari israeliane sono già iniziate) al proprio governo di non attaccare militarmente le imbarcazioni che compongono la Freedom Flotilla III, di permetterne il libero passaggio, come è loro diritto, per raggiungere Gaza, il porto della Palestina.
La delegazione di 47 persone, di diverse culture e religioni, comprende attivisti per i diritti umani, parlamentari da Israele, Giordania, Spagna e Grecia, una suora, un’europarlamentare, un sassofonista israelo/svedese, il primo presidente della primavera tunisina Marzouki, un agricoltore italiano. Tutte queste persone hanno scelto di comportarsi secondo i principi della non-violenza; diversamente, non sarebbero potute salire a bordo. Dall’altra parte dello specchio acqueo, quasi fosse un ribaltamento del senso delle parole, i profughi della Striscia distrutta, ad attendere da terra, trepidanti, persone in arrivo dal mare che vogliono abbracciarli e dire loro che non si sono dimenticati delle loro esistenze. Le statistiche della Banca Mondiale parlano del più alto tasso di disoccupazione del mondo, da parte dell’ONU la richiesta di togliere il blocco come necessità umanitaria, i pescatori colpiti dal fuoco della marina israeliana solo perché provano a gettare le reti per sopravvivere.
L’equipaggio a bordo delle quattro barche (qui l’elenco completo) comprende molti attivisti ebrei ed israeliani. Tra questi citiamo Dror Feiler, musicista svedese che ha rinunciato alla cittadinanza dello Stato di Israele (dove è nato), in opposizione alle sue politiche coloniali; Bassel Ghattas, arabo-israeliano parlamentare del Knesset; Ohad Hemo, giornalista israeliano di Channel 2; Zohar Chamberlain Regev, attivista israeliana.
Internazionale
29 06 2015
L’esercito israeliano ha intercettato una nave di attivisti filopalestinesi che cercava di portare aiuti alla Striscia di Gaza via mare, rompendo il blocco navale. La nave è stata scortata verso un porto israeliano, ha confermato l’esercito. “In accordo al diritto internazionale, la marina israeliana ha ripetutamente chiesto alla nave di cambiare rotta”, si legge in un comunicato.
“Dopo il suo rifiuto, la marina ha intercettato la nave in acque internazionali per evitare che violasse il blocco navale imposto alla Striscia di Gaza”.
Un portavoce militare ha confermato che la nave svedese Gothenburg Marianne fa parte della Freedom Flotilla III, un convoglio di quattro navi che trasportano aiuti per Gaza. Tra gli attivisti coinvolti anche il deputato arabo-israeliano Bassel Ghattas e l’ex presidente tunisino Moncef Marzouki.