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Parlare di educazione di genere con la vela sullo sfondo

  • Giovedì, 20 Marzo 2014 17:41 ,
  • Pubblicato in Il Racconto

Loredana Lipperini
20 marzo 2014

Mi capita spesso di viaggiare nei luoghi di confine: fisicamente, oltre che metaforicamente. Le mie Marche lo sono, per esempio. Lo è anche la Borgata Finocchio, o Finocchio e basta, come si chiama a Roma, perché pare che nei tempi antichi, quelli dove i confini venivano tracciati,

Lipperatura
20 03 2014

Mi capita spesso di viaggiare nei luoghi di confine: fisicamente, oltre che metaforicamente. Le mie Marche lo sono, per esempio. Lo è anche la Borgata Finocchio, o Finocchio e basta, come si chiama a Roma, perché pare che nei tempi antichi, quelli dove i confini venivano tracciati, quando i romani attraversavano le campagne per portare guerra o le campagne venivano attraversate da chi portava guerra ai romani, fossero stati eretti edifici di culto nel luogo dove il finocchio cresceva rigoglioso.


Qui fino a qualche tempo fa c’era il palazzone fatto costruire da Enrico Nicoletti della banda della Magliana, poi confiscato, poi demolito su iniziativa di associazioni per la legalità. Qui, o per meglio dire un po’ prima di qui, a Tor Vergata, svetta lo scheletro della Vela di Calatrava, uno dei mostri della capitale corrotta-nazione infetta.

Qui sono stata ieri, nel primo degli incontri con insegnanti e genitori ideati da Zeroviolenzadonne e resi possibili dall’8xmille della Tavola Valdese (e mai come ieri sono stata orgogliosa di aver da sempre devoluto a loro il mio 8xmille, e il mio 5xmille ad Amnesty International, ogni anno da decenni). Perché sono incontri indispensabili, per chi li tiene e, mi auguro, utili per chi partecipa.

Si è parlato di media, di pubblicità, di regenderizzazione (messa in pratica per vendere, non per filosofia o per ideologia: i target diversificati creano consumatori fedeli, punto), di Internet. Ma non di cyberbullismo oddio che paura, bensì di bambine piccole che postano su YouTube tutorial su come truccarsi per il primo giorno di scuola alle medie, ed è certamente un gioco innocente, ma intanto ecco il copriocchiaie (a dieci anni) mostrato in favore di camera, la marca bene in vista, e quanto tempo passerà prima che YouTube inserisca qualche pubblicità o che l’ufficio marketing del copriocchiaie arrivi a quel video?

Si è parlato di libri di scuola, giocattoli, di adulti che usano i social senza rendersi conto che la parola scritta è parola pubblica. Si è parlato di associazioni che organizzano corsi di uso consapevole della rete e poi mollano insegnanti e alunni dopo la prima apparizione. Si è parlato di cosa avviene negli altri paesi: giusto in questi giorni, per inciso, The Independent ha deciso di non dare spazio a libri per ragazzi gender-specific, mirati solo a maschi o femmine (e che gli dei rendano loro merito: immaginate se lo facesse una testata italiana).

Si è parlato infine, del fatto che una legge sull’educazione sessuale e affettiva non c’è, e che finché non c’è non è possibile organizzare nulla che non sia “sperimentale”, e anche in questo caso lo si fa con grande diffidenza da parte dei genitori (spesso), e con gli anatemi dell’Avvenire e dei Costanza Miriano-fan nei confronti degli sciupafamiglie.
Non fosse chiaro, senza questa legge non si fa un solo passo per superare discriminazioni, disuguaglianze, frustrazioni da abbandono, violenza. Perché si parte da qui. Si deve partire da qui. Dalla scuola e nella scuola: e ogni volta mi chiedo come sia possibile non capirlo, o non volerlo capire.

Huffingtonpost
03 03 2014

Laura Eduati

Le polemiche sulla gravidanza di Marianna Madia, l'assalto sessista di Enrico Lucci delle Iene a Maria Elena Boschi.

Per Loredana Lipperini, scrittrice e conduttrice della trasmissione Fahrenheit su Radio3, 'solo il fatto di soffermarsi e discutere di questi incidenti fa capire come in Italia non esista una reale parità tra uomini e donne'. 'Mi piacerebbe poter giudicare Madia, Boschi e le donne nel governo per quello che fanno, non in quanto donne', riflette in questa intervista che vuole ricordare l'avvicinarsi dell'8 marzo e la campagna #donneèbello lanciata da Lidia Ravera sull'Huffington Post.

Per la prima volta un governo a metà femminile. Cosa ne pensa?
Bisogna prenderne positivamente atto. Ma l'azione del governo non finisce qui. Purtroppo è stato abolito il ministero per le Pari opportunità, e le deleghe devono ancora essere assegnate: ecco perché sorge qualche legittimo dubbio sul reale interesse di Matteo Renzi per questo tema. Rimangono infatti senza risposta migliaia di argomenti quali l'educazione sentimentale a scuola per combattere la violenza di genere, l'altissima obiezione di coscienza che rischia di vanificare la legge sull'aborto, l'opposizione dei cattolici affinché agli studenti venga insegnato il rispetto per le persone omosessuali...

Nel frattempo sta facendo molto discutere la nomina di Marianna Madia al ministero per la Semplificazione. Secondo alcuni opinionisti, siccome dovrà partorire tra un mese non sarà in grado di fare bene il suo lavoro. Sono commenti maschilisti o alle donne occorre dare il giusto tempo per la maternità?
Prima di tutto occorre dire che la composizione per metà femminile del governo Renzi sta mettendo in rilievo lo sguardo profondamente maschile e sessista dell'Italia, e questo in parte è positivo perché finalmente possiamo individuare il problema e discutere. Dall'altra parte, però, è rischioso in quanto impone la difesa di Marianna Madia e Maria Elena Boschi perché donne, quando invece vorrei dare un giudizio politico su quello che realmente riusciranno a fare. Insomma, la difesa delle donne in quanto donne ci fa tornare indietro, ma risulta necessario per controbattere all'atteggiamento maschilista secondo il quale è opportuno parlare dei vestiti delle ministre.

Madia dovrà tornare subito al lavoro per dimostrare che una donna può svolgere qualsiasi lavoro?

La neoministra non può essere presa a modello della maternità perché di mamma ce n'è più di una. Voglio dire che le donne dovrebbero poter scegliere come vivere la propria maternità e dovrebbero essere garantite nella scelta che compiono. Nella società italiana spesso questo non è possibile, molte lavoratrici precarie sono costrette a scegliere tra lavoro e mettere al mondo un bambino, mentre altre vivono con il ricatto delle dimissioni in bianco. Parliamo di questo, non di Madia. E parliamo anche di una figura fantasma, il padre del bambino. Anche gli uomini devono essere inclusi nel lavoro di cura, come accade negli altri Paesi europei.

Giornaliste e intellettuali hanno scritto parole di fuoco contro Enrico Lucci e i suoi commenti sessisti nei confronti di Maria Elena Boschi. Qualcuno ha ricordato che le femministe non hanno mai difeso Mara Carfagna dagli stessi commenti.
Non è vero. Posso parlare per me stessa, io ho difeso Carfagna quando veniva pesantemente insultata, e quando avrei voluto giudicare il suo operato politico senza pensare al pregresso. Mi piacerebbe vivere in un Paese dove un programma come le Iene potesse fare vera satira, così come la intende Daniele Luttazzi. L'insulto sessista non c'entra nulla con la satira.

L'8 marzo è una celebrazione necessaria o stantìa?
Sarebbe bello arrivare al punto nel quale l'8 marzo non è più necessario. Solo il fatto di fermarsi a discutere di questi incidenti come quelli accaduti a Boschi e Madia fa comprendere come in Italia non esista una reale parità tra uomini e donne, men che meno una parità tra i generi incluse le persone lgbt. La storia purtroppo ci insegna che nei periodi di crisi i diritti recedono, mentre io sono d'accordo con Stefano Rodotà: economia e diritti devono marciare insieme.

La grande paura

  • Lunedì, 03 Marzo 2014 10:22 ,
  • Pubblicato in Flash news

Lipperatura
03 03 2014

Sabato è uscito su Repubblica questo articolo di Christian Raimo. Pone un problema non da poco, dunque lo ripropongo qui. Con la consapevolezza che in un paese dove persino libri che affrontano i fondamentali dell’appartenenza di genere vengono contestati come fossero opera del diavolo, discutere di sesso e sessualità a scuola e con i più giovani sembra (ed è) quasi un’utopia.

Quando con i miei amici anche i più colti e disinibiti, femministe, intellettuali, persone di vedute amplissime — parlo di pornografia, c’è sempre qualcuno o qualcuna che senza falsi pudori confessa di non avare mai visto un video porno in vita sua. A trenta, quaranta, cinquant’anni. Se pongo la stessa questione in classe — insegno in un trienno di un liceo — la reazione è rovesciata: una risatina d’imbarazzo e una sbruffoneria, però non c’è mai nessuno che si ritragga scusandosi perché non si sa di che cosa si tratta.

Ma non è che io abbia amici particolari né studenti speciali, il mio osservatorio non è per nulla privilegiato, faccio parte dello standard — me ne ha dato conferma Ilaria Bonato, che l’anno scorso ha realizzato una ricerca nelle scuole della provincia di Bologna, intervistando sul tema della pornografia 600 ragazzi di terze medie e prime superiori (età media: 14/15 anni) e il principale dato che ne ha ricavato è già molto significativo: solo tre persone del campione non guardavano porno online. Lo 0,5%. Per il resto: molti hanno dichiarato di mandarsi foto intime col cellulare ( sexting), anche se la maggior parte degli intervistati non ha saputo cosa rispondere sul problema dell’adescamento da parte degli adulti (il grooming). Il 70% non sapeva cosa pensare nei casi di cyberbullismo (un compagno manda in giro delle nostre foto intime), mentre non pochissimi hanno risposto di essere stati coinvolti nella compravendita di immagini porno.

La riflessione su questi e altri interessanti, per molti versi inquietanti, dati Bonato l’ha affidata all’ultimo numero di Hamelin, una rivista bolognese, una delle riviste più belle d’Italia, che si occupa in genere di letteratura per ragazzi, che a ogni uscita riesce attraverso questa lente a entrare nel vivo delle più cruciali questioni sociali che attraversano l’Italia, e che ha appena realizzato un numero intero dedicato all’argomento: la sessualità dei ragazzi e come se ne parla, tra amici, su internet, in tv, nei romanzi, nei fumetti…

Leggersi questo numero di Hamelin, il 34esimo, è come navigare in mare aperto. Perché se è vero che l’interrogativo è ineludibile — e lo sa qualunque genitore che abbia dei figli dai dieci (otto? sei?) anni in su — , è vero anche che la sessualità infantile e adolescenziale è ancora — dopo più di un secolo di psicanalisi — un territorio inesplorato, minaccioso, non solo per adulti inesperti, ma anche per i media: «Dei bambini e persino dei pre-adolescenti si conserva perlopiù un’immagine candida e celestiale che, tempo il passaggio a una compiuta adolescenza, è irrimediabilmente trasformata nel suo esatto contrario». A poco valgono le ricerche militanti di una Loredana Lipperini ( Ancora dalla parte delle bambine) di un Joel Bakan ( Assalto all’infanzia) o da ultimo di Stefano Laffi ( La congiura contro i giovani), capaci di svelarci un universo fatto di minori perversamente adultizzati — nei consumi, e quindi nelle relazioni, e quindi nella sessualità. Dalla parte degli educatori si avanza a tentoni: non solo la famiglia, ma la scuola o l’editoria, come si devono comportare?

L’impasse è duplice. Se laboratori sull’educazione di genere sono stati sempre sporadici, affidati alle energie dei singoli, se anche la questione dell’educazione sessuale tout-court a scuola non è mai stata affrontata in modo sistematico; per quanto riguarda i libri c’è ancora più confusione. I tentativi raccontati da Hamelin sono, prevedibilmente, quasi tutti problematici. Quei testi che hanno uno scopo didattico, roba come C’è un bambino nella pancia della mamma? o E ora parliamo di sesso, vengono analizzati per farne uscir fuori un case-study di una ventina di titoli recenti: con cosa abbiamo a che fare? In genere troviamo pagine molto caste, spesso piene di eufemismi e metafore viete: «Molto di rado è illustrata una penetrazione, o due corpi complici o innamorati che fanno l’amore, o un’eiaculazione». La paura paradossale sembra quella di risultare pornografici con dei ragazzi che però sanno benissimo la differenza tra un bukkake e un threesome.

Dall’altra parte, c’è la letteratura. In Inghilterra nel 2013 è nato un dibattito sui giornali: Malorie Blackman e Philip Pullman, due scrittori, sul Daily Telegraph e in un programma radiofonico, Today — si sono dichiarati a favore di una maggiore presenza del sesso nella narrativa per ragazzi — meglio conoscere il sesso nelle pagine di un romanzo che in video porno, no? Meglio Lady Chatterley che redtube? C’è da dire che qualche romanziere c’ha provato in questi ultimi anni. Non soltanto il caso editoriale The Vincent Boys di Abbi Glines o simili, esperimenti che vogliono ricalcare in minore il successo delle Cinquanta sfumature, una grande quantità di proposte cosiddette steamy: romanzi ammiccanti, soft- core, per adolescenti smaliziati; ma anche libri che hanno azzardato a essere seminali, traducendo in storie credibili grandi astrazioni teoriche sulla pedagogia sessuale; l’esempio più citato è quello di Melvin Burgess, che nel 2005 ha pubblicato Il chiodo fisso.

Anche qui tuttavia essere espliciti non è una soluzione e nemmeno una strada in sé: se si elimina il pudore, il rischio può essere quello di venire censurati dagli stessi educatori (lo racconta Nicoletta Gramatteri quando propone a un gruppo di insegnanti di lavorare con i bambini sul testo di Ulf Stark, Il paradiso dei matti, in cui si trovano frasi del tipo «Ero distesa con la testa appoggiata al suo petto, e gli guardavo le dita del piede allargate. Tra un piede e l’altro vedevo il suo pisello che si era rizzato») o anche di risultare paternalistici, didascalici, insomma di scrivere romanzi edificanti. E che ce ne facciamo di una letteratura edificante? Di fronte a questa serie di fallimenti, la domanda iniziale viene riformulata: sconfortati dalla nostra incapacità di adulti di rivaleggiare con il porno online in tema di racconto del sesso, forse dovremmo semplicemente arrenderci con realismo al fatto che la generazione dei nativi digitali imparerà, sta imparando, a amare e fare sesso, barcamenandosi tra modelli di milioni disponibili di video di rapporti sessuali?

Ci sono però due esempi di critica letteraria — un saggio su Tom Sawyer e un’intervista a Manuele Fior — che riescono a darci un ultimo spunto prima di gettare la spugna: il discorso sul sesso e sulla pornografia, capiamo con gli Hamelin, è fuorviante se non lo si esprime in modo diverso. La nostra difficoltà è più ampia: è quella di raccontare i corpi. E, precisamente, la debolezza dei corpi. Il porno questo non lo mostra, il tabù non sono le scene hard ma la fragilità dei nostri corpi: in una società drogata da ansia di prestazione, avere a cuore questa debolezza può farci solo che bene.


"Basta scrivere di amori malati, raptus, gelosia, depressione, scatti d'ira. Dobbiamo imparare a parlare di femminicidio, che è un fenomeno incancrenito all'interno della nostra cultura, non certo nuovo, oggi è solo più visibile", dice Lipperini, che in fondo al libro ha steso anche un decalogo di termini da bandire, per una corretta comunicazione di questa tragedia. ...

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