La Stampa
09 07 2015
Il Cile ha fama di essere un Paese conservatore, fino alla settimana scorsa le sale bingo erano considerate attività illegali e dal 2014 è proibito fumare sigarette sotto i portici o mentre si guida. Tuttavia, martedì la Camera ha approvato una legge che permette la coltivazione e il consumo di marijuana per scopi medicinali, ricreativi e addirittura «spirituali». La legge sta facendo molto discutere, ma segna anche una tendenza comune in tutto il Sudamerica: concedere nuove libertà personali e togliere mercato ai narcotrafficanti.
Con 68 voti a favore, 39 contrari e 5 astenuti, la norma consente di coltivare fino a sei piante di cannabis, di portarne 10 grammi in tasca e di averne mezzo chilo in casa. Non sarà possibile accendersi uno spinello in pubblico, ma è permesso il consumo ai minorenni, previa ricetta medica e consenso dei genitori. Dopo l’accorato intervento in aula della deputata comunista ed ex leader degli studenti Camila Vallejo, che ha accusato i critici di «ignorare la realtà della strada, dove il consumo alimenta lo spaccio», il fascicolo passerà ora al Senato e la vittoria del «sì» è data per favorita.
Uruguay e Bolivia
Il Cile si mette così in scia all’Uruguay, protagonista a fine 2013 della legalizzazione in toto di produzione, vendita e consumo di cannabis, anche se gli intoppi burocratici non hanno ancora visto l’attivazione del sistema. Sulla stessa lunghezza d’onda, c’è anche la Bolivia, dove il presidente ed ex sindacalista della coca, Evo Morales, ha sfidato la comunità internazionale e ha legalizzato il mercato della pianta da cui si ricava la polvere bianca da sniffare detta «cloridrato», ma che qui viene masticata in foglie secche, con gli effetti di una qualsiasi tazza di caffè.
La Colombia
Ancor più rilevante, è il caso della Colombia: seconda solo al Perù nella classifica globale dei produttori di coca, la nazione che ha reso celebre la parola «narcos» nel mondo è stata lo storico banco di prova della «Guerra alla Droga», tuttora patrocinata dagli Stati Uniti. Senza risultati soddisfacenti e dopo anni di operazioni militari, il presidente Santos si è detto favorevole all’adozione di politiche più libertarie, che vedono un progetto di legge per legalizzare la cannabis, l’ipotesi di farlo anche con la cocaina e un negoziato con i guerriglieri delle Farc perché distruggano le piantagioni.
La tragedia del Messico
Se è ancora presto per tirare le somme sull’efficacia delle liberalizzazioni, non si può ignorare la tragedia del Messico, dove è ancora in vigore la strategia di attacco frontale ai banditi della droga: a Sud del Rio Bravo, il traffico d’erba, coca e anfetamine ha portato a uno scenario da guerra civile, in cui sono morte quasi 200 mila persone in 10 anni, cioè più che in Afghanistan.
Filippo Fiorini
l'Espresso
12 03 2015
Perquisizioni e arresti per qualche pianta di marijuana coltivata sul terrazzo di casa potrebbero diventare solo un ricordo lontano. Tanto chi fa uso dell’”erba” per problemi di salute che chi la fuma per piacere, come accade già in altri Paesi, in Italia potrebbe a breve non rischiare più di finire indagato e poi processato solo per qualche vaso di canapa indiana. Come non è reato consumare droga, ma solo spacciarla, potrebbe infatti non esserlo più coltivarla per uso esclusivamente personale. A mostrare un’apertura verso la depenalizzazione di chi coltiva canapa sono stati, il 10 marzo scorso, i giudici della Corte d’Appello di Brescia, che hanno sospeso il processo a un coltivatore appunto e inviato gli atti alla Corte Costituzionale.
Davanti ai magistrati lombardi è finito il caso di un commerciante bresciano, trovato con otto piante di canapa indiana in garage e 25 grammi di marijuana nel comodino. Nel processo di primo grado non è emersa alcuna prova su un’eventuale attività di spaccio da parte del coltivatore. “Quello che mi è stato sequestrato era solo per me, mai pensato di darla ad altri”, ha assicurato. Ma come accaduto a tanti altri, da Nord a Sud della penisola, visto che l’attuale legge considera un reato la semplice coltivazione di canapa, il commerciante è stato condannato lo scorso anno dal Tribunale di Brescia a otto mesi di reclusione e mille euro di multa.
A quel punto l’imputato ha impugnato la sentenza e i suoi difensori, gli avvocati Claudio Miglio e Lorenzo Simonetti, hanno riletto tutta la giurisprudenza degli ultimi venti anni in materia. Con il referendum del 1993 fare uso di droga non è più reato. Quanti vengono trovati in possesso di sostanze stupefacenti, per uso personale, vengono così soltanto segnalati alla Prefettura. Una semplice violazione amministrativa. Chi coltiva canapa indiana finisce invece sempre e comunque davanti a un giudice, con tanto di avallo, nel 2008, della Cassazione a sezioni unite.
Per la difesa dell’imputato tale situazione limita un diritto fondamentale della persona, il principio di uguaglianza. E dello stesso avviso è stata la Corte d’Appello di Brescia, che con un’ordinanza ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale, ritenendo che sia ora di rivedere la norma. I giudici lombardi hanno specificato che i coltivatori per uso personale non vanno a intaccare il cuore della legge antidroga, che consiste nel “combattere il mercato della droga, che pone in pericolo la salute pubblica la sicurezza e l’ordine pubblico, nonché il normale sviluppo delle giovani generazioni”.
Se la Consulta appoggerà la tesi della Corte d’Appello di Brescia, coltivare canapa indiana non sarà dunque più reato. E l’ordinanza emessa il 10 marzo è stata intanto trasmessa alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ai presidenti delle Camere. Dopo l’abolizione della Fini-Giovanardi, che ha ripristinato la distinzione tra droghe leggere e pesanti, un altro possibile colpo al sistema messo in piedi in Italia per gestire il tema degli stupefacenti.
Clemente Pistilli