Huffington Post
24 07 2015
È passato un anno. Le bombe non cadono più sulla striscia di Gaza. Rimettere insieme le macerie e ricostruire la città è un processo lento, lungo, faticoso così come ricostruire molte vite. Quell'ultimo conflitto, quelle sei settimane di ostilità, non hanno fatto altro che peggiorare una situazione umanitaria già disastrosa, portando via non solo centinaia di case e scuole ma anche privando i bambini, sopravvissuti ai bombardamenti, di luoghi protetti in cui passare il tempo. Omar, 9 anni, gioca tra le macerie della propria casa e quella dei suoi vicini. "Noi trascorrevamo le giornate lì dentro - racconta all'Unicef, come si legge nel progetto #51days51children - ma le bombe hanno buttato giù le nostre case e noi adesso non sappiamo dove andare. Io so che non è bello stare qui e vorrei che la mia vita fosse come quella degli altri bambini del mondo".
Ad oggi sono circa 100mila le case danneggiate (di cui 20mila quelle completamente rase al suolo) e trecento le scuole inagibili. Numeri da capogiro, specialmente se si pensa che gli sfollati, in un anno, sono diventati circa 100mila. Tra loro più di 20mila persone e famiglie hanno scelto di vivere nei rifugi collettivi, luoghi che dovrebbero essere provvisori ma che spesso diventano una vera e propria abitazione permanente. Le vite di molti, tanti, troppi, sono state stravolte.
Ancora una volta. A farne le spese sono sempre loro: i bambini. Basti pensare che chiunque a Gaza abbia un'età superiore ai sei anni ha assistito già a tre conflitti, mentre chi ha superato i 9 ha imparato sulla propria pelle cosa vuol dire vivere sotto assedio con il suono delle bombe nelle orecchie. Quanto deve ancora sopportare un bambino? Parliamo di livelli senza precedenti di perdita e di sofferenza umana durante quest'ultimo conflitto. Quante guerre dovranno ancora passare davanti ai loro occhi innocenti? In quei 51 giorni, lo scorso anno, sono stati uccisi 539 minori e 2.956 sono rimasti feriti, alcuni di questi in modo permanente.
Tra loro Ibrahim, 9 anni, ha perso una gamba per colpa di un attacco aereo e ci racconta la sua storia: "Giocavo sempre con i miei cinque migliori amici per strada. Ora ogni volta che cerco di farlo la mia gamba artificiale inizia a prudere e devo restare sulla sedia a rotelle fino a quando non passa. Solitamente è un tempo troppo lungo. Da grande voglio fare il medico, così potrò curare le persone come i dottori hanno curato me".
Bambini come Ibrahim, Omar, Bisan, Karima e tutti i 51 piccoli testimoni della campagna dell'Unicef #51days51children si portano dietro i segni indelebili della guerra, segni non sono solo fisici. Nella striscia di Gaza infatti 4mila bambini vivono in uno stato di stress psicologico proprio a causa del conflitto. Noi siamo lì, anche per questo. E sebbene le emergenze mondiali siano aumentate ormai è passato un anno, non facciamo in modo che diventi anche questa una guerra dimenticata.
Andrea Iacomini
Internazionale
17 07 2015
Un intrigo internazionale, un tentativo di insabbiamento o un faticoso cammino giudiziario verso la verità? È difficile definire con esattezza il caso dell’ex nunzio apostolico Józef Wesołowski, accusato di gravi reati legati alla pedofilia e per questo sottoposto a processo in Vaticano. Forse la vicenda è tutte e tre queste cose insieme e la battaglia intorno all’ex arcivescovo fa parte di quel processo di riforma portato avanti – non senza ostacoli – da papa Francesco.
Sta di fatto che la storia non sembra avere ancora contorni ben definiti e rimane avvolta in molte incertezze.
Józef Wesołowski è stato accusato di abusi sui minori e di possesso di un gigantesco archivio pedopornorafico negli anni che vanno dal 2008 al 2014. In particolare avrebbe commesso la maggior parte dei reati nella Repubblica Dominicana dove aveva svolto il suo ultimo incarico come ambasciatore del papa, quindi avrebbe proseguito l’attività criminosa in Vaticano.
Da qui la decisione della Santa sede di procedere alla riduzione allo stato laicale dell’arcivescovo in base a un procedimento canonico; contro questa sentenza Wesołowski ha presentato ricorso in appello. Quest’ultimo è ancora pendente, quasi a dire che anche sul piano ecclesiale la questione è ancora aperta.
Tuttavia Bergoglio, come ha precisato nel settembre 2014 il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, ha dato il via libera all’arresto dell’ex nunzio quando ha deciso di dare impulso all’indagine del promotore di giustizia vaticano (una sorta di pubblico ministero), Gian Pietro Milano, che si è conclusa nel giugno scorso con il rinvio a giudizio dell’imputato.
L’11 luglio doveva dunque cominciare nella cittadella vaticana un processo per pedofilia clamoroso, senza precedenti, contro un ex arcivescovo e nunzio apostolico.
Ma “in apertura di dibattimento il promotore di giustizia ha comunicato che l’imputato non era presente in aula in quanto ricoverato in ospedale. Il tribunale ha preso atto dell’impedimento a comparire dell’imputato, a seguito dell’insorgere di un improvviso malore, che ha reso necessario il suo trasferimento presso una struttura ospedaliera pubblica, ove risulta attualmente ricoverato nel reparto di terapia intensiva”.
Così recitava il comunicato ufficiale diffuso dal Vaticano la mattina stessa dell’inizio del processo. Il Vaticano parla di “ricovero in una clinica” ancora in corso il 16 luglio.
La prima udienza, annunciata come particolarmente densa di spiegazioni circa il merito delle accuse e delle contestazioni, è durata in tutto sei minuti, il procedimento è stato poi rinviato a data da destinarsi.
La decisione non è piaciuta alla procuratrice generale della Repubblica Dominicana, Yeni Berenice Reynoso, che ha sottolineato come, sollevando la questione delle precarie condizioni di salute, l’ex diplomatico vaticano di 67 anni, intenda semplicemente sottrarsi alla giustizia.
A Wesołowski del resto sono contestati in particolare cinque casi di abuso sessuale su minori avvenuti nel paese caraibico; gli episodi sarebbero molti di più, ma su questi cinque sono state raccolte testimonianze e prove importanti attraverso indagini complesse. Ancora, va sottolineata la scelta di rendere pubblica la prima udienza da parte vaticana. A questo scopo era stato predisposto pure un pool di giornalisti autorizzati ad assistere all’inizio del procedimento; inoltre, dal punto di vista strettamente giuridico, la vicenda aveva un suo complicato ma perfetto incastro.
Un passo indietro
Nel luglio del 2013 papa Francesco, eletto da pochi mesi come successore di Benedetto XVI, aveva introdotto con un motu proprio, cioè un provvedimento legislativo di diretta emanazione del pontefice, un aggiornamento della legge penale nella quale si prevedeva tra l’altro un inasprimento delle pene per diversi reati compresi quelli relativi agli abusi sessuali tra cui anche il possesso di materiale pedopornografico, la violenza sessuale, la prostituzione e altro.
Si noti che il caso Wesołowski comincia a emergere tra Vaticano e Caraibi proprio nell’estate del 2013, quando cioè la vicenda dell’ex nunzio diventa un caso giudiziario nella Repubblica Dominicana. È in quel periodo che il cardinale e arcivescovo di Santo Domingo, Nicolás de Jesús López Rodríguez, informa Bergoglio di quanto sta per accadere. A quel punto il nunzio viene richiamato a Roma e destituito da ogni incarico.
Successivamente prendono il via il processo canonico e poi quello penale. Tuttavia con la contestazione a Wesołowski di aver conservato materiale vietato nei suoi computer fino al 2014, la giustizia vaticana risolveva il problema dell’impossibilità di applicare retroattivamente la nuova legge penale del 2013. Insomma la Santa sede aveva costruito intorno all’ex nunzio un meccanismo complesso ma difficile da smontare.
D’altro canto la vicenda si portava dietro una serie di ricadute internazionali. In primo luogo Wesołowski oltre a quella vaticana aveva anche la nazionalità polacca, da cui l’interessamento delle autorità di Varsavia verso l’ex nunzio. È stata anche ventilata l’ipotesi di una richiesta di estradizione da parte della Polonia. L’ex diplomatico, inoltre, non era l’unico a essere stato accusato di abusi sui minori nella Repubblica Dominicana, con lui figuravano infatti altri sacerdoti, pure di origine polacca, successivamente sottoposti a giudizio in patria.
C’era un legame tra queste diverse storie?
È questa un’altra domanda che finora non ha ricevuto risposta. Inoltre la vicenda Wesołowski ha avuto, poco più di un anno fa, anche un’ulteriore eco internazionale.
Quando nel maggio del 2014 il Vaticano è stato ascoltato dal comitato della convenzione Onu di Ginevra contro la tortura (procedura cui sono sottoposti gli stati aderenti alla convenzione), la vicenda Wesołowski è tornata a galla: infatti era stata inserita tra le varie richieste di chiarimento avanzate dai rappresentanti delle Nazioni Unite alla delegazione vaticana.
Una bomba a orologeria?
Nel corso di questi due (o poco più) funambolici anni di pontificato, papa Francesco ha dovuto affrontare alcune emergenze che gravavano sulla chiesa in modo drammatico.
La prima era quella degli scandali finanziari che ha fatto da detonatore alla battaglia per riorganizzare i dicasteri economici mentre il Vaticano si adeguava agli standard internazionali in materia di antiriciclaggio.
La seconda riguardava lo scandalo degli abusi sessuali sui minori. Considerato che alcune conferenze episcopali facevano resistenza passiva sull’argomento (tra queste quella italiana), il papa, come in altri settori, ha manovrato dall’alto facendosi aiutare da un gruppo di collaboratori.
Così è nata la Pontificia commissione per la tutela dei minori, guidata dal cardinale Sean Patrick O’Malley, frate cappuccino arcivescovo di Boston, che si avvale del supporto di ex vittime di abusi, di studiosi e psicologi tra cui diverse donne, novità non scontata Oltretevere.
Con il passare dei mesi alcuni vescovi anche di alto rango sono stati allontanati, mentre la vicenda Wesołowski doveva assumere un valore simbolico in questa strategia dimostrando che la chiesa sapeva andare fino in fondo.
Tuttavia non si può dimenticare che l’ex nunzio non è un qualsiasi prete di una parrocchia cittadina – come in tanti casi italiani recenti – coinvolto in reati che urtano la sensibilità e la moralità comuni oltre a essere particolarmente odiosi e gravi.
Wesołowski vanta una carriera di alto livello nella diplomazia vaticana, fa parte degli uomini legati a Karol Wojtyla che lo ordinò prima sacerdote poi arcivescovo, ha lavorato in diverse nunziature, dalla Costa Rica al Giappone, dall’India alla Svizzera, quindi ha ricoperto l’incarico di nunzio in Bolivia all’inizio degli anni duemila, è stato poi l’ambasciatore del papa in alcuni paesi caucasici quindi, nel 2008, lo ritroviamo come nunzio nella Repubblica Dominicana.
Ci resta fino all’agosto del 2013, l’estate dello scandalo. Le storie raccontate dai ragazzi coinvolti negli abusi sono pesanti, drammatiche, Wesołowski ha l’identikit di una persona malata che approfitta dei più deboli. E allora, inevitabilmente, sorgono dubbi circa il fatto che altri episodi possano essersi verificati in precedenza, sulle eventuali coperture di cui ha goduto a Roma e altrove per tanti anni, sulle possibili complicità diffuse in ambiente ecclesiale e non.
Sono tutte domande che dovranno trovare una risposta durante il processo
Francesco Peloso