La Stampa
03 04 2015
Gita scolastica a Roma. È notte. Quindici studenti si danno appuntamento in una delle stanze d’albergo all’insaputa dei professori. Ci sono maschi e femmine, hanno 15 e 16 anni. Giocano, discutono, ridono. Uno di loro viene preso di mira: battute, vestiti che volano e, quando è nudo, la rasatura dei peli. Spuntano le caramelle, i marshmallow, utilizzati come addobbo indecoroso sul ragazzo che è sdraiato sul letto. Lui è stanco, forse hanno bevuto, vuole essere lasciato in pace. Uno dei compagni utilizza il cellulare della vittima e inizia a filmare. La scena non dura molto ma, al ritorno a Cuneo, la ripresa inizia a circolare in tante classi del liceo, finisce tra le mani di un professore e dei genitori del ragazzo.
La preside convoca prima tutti, quindi singolarmente. Non ci sono denunce, ma la punizione è dura in un liceo dove da otto anni nessuno viene sospeso: quattro in condotta per tutti e sospensioni dai 5 ai 15 giorni. La notizia diventa pubblica, viene postata su Facebook dove inizia il dibattito.
La difesa delle mamme
Un gruppo di mamme ieri mattina si confronta e telefona a La Stampa. Non stigmatizzano l’episodio, ma difendono i ragazzi. «Macché bullismo. Macché violenze. È stato uno scherzo. Forse pesante, ma uno scherzo. Lo sbaglio è una punizione tanto severa».
La signora lascia generalità e telefono. «Parlo a nome di molte delle mamme, anche se non ho figli al liceo. State raccontando un caso che non esiste. Se c’è qualcosa di grave è che abbiano sospeso quattordici studenti e dato il quattro in condotta a tutti. Non li fanno neppure accedere ai programmi per prepararsi a casa. Significa condannarli ad essere bocciati, a perdere un anno di scuola. Una rovina per molti. Anche in termini economici, con quello che costa oggi frequentare un liceo».
È un fiume in piena quella telefonata alla redazione. «E poi vi siete chiesti perché i ragazzi erano soli? Un professore all’ultimo non li ha accompagnati. E come è sempre successo nelle gite hanno approfittato delle ore libere per divertirsi. Nulla di più, nulla di diverso, nulla di grave. Nessuno si è fatto male, nessuno voleva fare del male, ma solo scherzare. Quelle cose cameratesche che si fanno in caserma. Che si sono sempre fatte tra ragazzi. Ripeto: nessun caso di bullismo».
La preside: inaccettabile
La preside, Germana Muscolo: «Il nodo sta proprio lì. I ragazzi, e alcuni genitori, sono convinti che l’episodio sia riconducibile allo scherzo. Inaccettabile. Siamo dovuti intervenire con fermezza per far capire quali sono i limiti, il rispetto delle norme, il contesto in cui si fanno certe azioni. Si trattava di gita educativa. Dopo i provvedimenti alcuni, figli e genitori, hanno capito la gravità dell’episodio. Molti, ma non tutti».
Lorenzo Boratto e Gianni Martini
DinamoPress
02 04 2015
Ci risiamo, ciclicamente riparte l'attacco alla scolarizzazione dei bambini rom, messa sotto accusa, passata sotto la lente d'ingrandimento di chi sa leggere solo i numeri e poi li traduce in denaro, operazione tanto fredda quanto mistificatrice di una realtà che è sempre più complessa e composita delle semplificazioni dei sedicenti contabili di turno. Si conta, si somma, si moltiplica e si divide senza considerare che attraverso queste operazioni si attacca il diritto sacrosanto e inalienabile dell'istruzione per tutte e tutti, minori rom compresi. Fatevene una ragione!
I conti, soprattutto quando la spesa è quella pubblica, è giusto e doveroso farli; purtroppo spesso vengono fatti nella maniera più subdola, volgare e parziale, partendo dall'assunto che comunque qualcosa da smascherare ci sta, omettendo che un servizio di questo tipo costa 3 euro al giorno a bambino. Tralasciando l'aspetto organizzativo e qualitativo dell'intervento che consta, parallelamente al lavoro che si fa con i minori, di processi di inclusione socio lavorativa che coinvolgono decine di adulti rom. Lo si fa ignorando la complessità di un progetto che non è mero trasporto di un numero di bambini ma è anche e soprattutto progetto di contrasto alla dispersione scolastica e che, quindi, moltissimo del lavoro è proprio rivolto a quei minori che sono a rischio abbandono oppure sono già in tale condizione. Si lavora con loro e con le loro famiglie, attivando percorsi volti al recupero di queste situazioni. Ma soprattutto si ignora la condizione di partenza, la vita nei campi, la condizione di esclusione fisica e sociale a cui ogni abitante dei campi e ogni bambino è sottoposto ogni giorno.
Rispediamo al mittente le accuse di poca chiarezza nell'aggiudicazione dei progetti e di poco impegno per ottenere risultati tali da giustificare la spesa. Siamo operatrici e operatori del sociale, di un sociale che non è sporco e dedito al malaffare come oramai dopo le vicende di mafia capitale si vuol far credere, perché scoprire il marcio nella porta accanto fa gola a una parte di società ammalata di sensazionalismo e desiderosa di potersela prendere con qualcuno perché la vita non va come si vorrebbe, questo qualcuno coincide guarda caso con i più vulnerabili o con quelli che dovrebbero essere buoni per contratto.
Arci Solidarietà
Internazionale
27 03 2015
Come rispondere a mia figlia di tre anni che mi chiede perchè alcune persone hanno la pelle nera?
-Giorgio
Betty, la maestra d'asilo delle mie figlie gemelle in Svizzera, era una ragazza nera sempre vestita all'ultima moda. Mentre una delle bambine mi descriveva nei minimi dettagli abiti, scarpe e gioielli della sua maestra, l'altra mi ha chiesto: "Ma Betty è nera?". ...