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La parola nomade sulla carta d'identità

  • Venerdì, 13 Marzo 2015 16:13 ,
  • Pubblicato in L'ESPRESSO

l'Espresso
13 03 2015

Forse non il solo a domandarsi, senza retorica, cosa spinga le persone ad accettare alcuni stili di vita e rifiutarne altri. Se è la profonda diversità dalle proprie abitudini, la mancanza di comprensione, il timore che qualcosa nelle proprie vite possa cambiare se solo si provasse a comprendere quel che di profondamente diverso vediamo attorno a noi.

In Italia la cultura cattolica, pur se ci diciamo atei cresciuti al di fuori della comunità religiosa, è architrave del nostro quotidiano, soprattutto nel senso di colpa, atavico e inestinguibile. Qualsiasi sacrificio non servirà a lavarlo, lo porteremo con noi in ogni momento della nostra vita, qualunque sia la nostra professione. E poi la consapevolezza che in terra non ci potrà mai essere beatitudine, felicità, salvezza. La felicità in terra è vista con sospetto anche da chi la prova. La ricchezza in terra è vissuta con senso di colpa anche da chi guadagna lavorando sodo, sacrificando molto, sacrificando tutto. Che paradosso: si sacrifica tutto per ottenere qualcosa che ci fa sentire in colpa come se avessimo commesso il peggiore dei torti.

Non lontano da noi, nel mondo della riforma protestante, c’è un altro modo di concepire il lavoro, il guadagno e la vita, non migliore ma diverso. Il lavoro non è un castigo di Dio inflitto all’uomo, ma l’unico modo attraverso cui trovare salvezza. Non c’è nulla di sconveniente nel guadagnare, è la mancanza di guadagno, anzi, a essere stigmatizzata.

Ora, è naturale che ogni posizione venga strumentalizzata pro domo propria, quindi se ci risultano odiose le parole di Jordan Belfort in “The Wolf of Wall Street” sull’essere poveri, se ci risulta fastidiosa la sua ostentazione di denaro e ricchezza, non possiamo però tollerare chi rimpiange l’epoca del posto fisso, quello in cui dopo un concorso pubblico con o senza raccomandazione, più spesso con, si veniva assunti e si restava lì fino alla pensione.

E ora veniamo alle terze vie. A quelle vie che non riusciamo ancora a contemplare. Le terze vie crescono all’interno delle società stesse, maturano dai suoi fallimenti e diventano visibili solo quando ormai adulte. Le terze vie sono fatte di allontanamenti, di spostamenti, di persone che vanno via a fare qualsiasi tipo di lavoro, da quelli che implicano alto grado di specializzazione, a quelli che presuppongono tanta buona volontà e capacità di adattamento. Ma le terze vie sono anche il contatto con nuove etnie che arrivano in quella che siamo soliti considerare “casa nostra” senza aver ricevuto alcun invito. Questi arrivi mettono seriamente in crisi tutto ciò che siamo, quello in cui crediamo, spesso la stessa etica del lavoro che cattolica o protestante, informa di sé ogni parte della nostra vita.

E poi ci sono i Rom. Quelli che Matteo Salvini (un po’ ovunque) e Gianluca Buonanno da Corrado Formigli, hanno recentemente definito «rompiballe ai semafori» e «feccia della società”. Alle Invasioni Barbariche e a Piazza Pulita il pubblico ha applaudito. Il pubblico ha applaudito. Lo riscriverei altre cento volte perché davvero non potevo credere che a tali parole, così banalmente aggressive - l’aggressività di Salvini è semplice, basica, da ultras brillo, e non ha creato nemmeno una nuova grammatica d’odio come per esempio Marine Le Pen in Francia - il pubblico potesse applaudire. Una terza via che non è scelta, anche se molti la credono tale, con le leggende metropolitane dei rapimenti di bambini, dei denti d’oro, dei matrimoni opulenti, dei milioni che i rom tirano su a 5 centesimi alla volta. Ilaria Urbani, un’amica giornalista, ha scritto un interessante articolo su cosa viene scritto sulle carte di identità delle persone che vivono nel campo nomadi a Scampia: «Napoli, viale della Resistenza 185 Isolato NOMADI». Isolato nomadi, ovvero ghetto, ovvero persone che vivono in un ghetto. E questo messo nero su bianco sul documento di riconoscimento, perché a nessuno sfugga quella diversità. Mi domando chi avrà dato ai funzionari del comune tali direttive.

E poi mi viene in mente un brano di un genio del pensiero nichilista contemporaneo, Gianfranco Marziano. Si intitola “I zincari”. Il protagonista, dopo aver subito una serie di furti attribuiti alla comunità locale di zingari, invece di radicalizzarsi e prendersela con loro, come farebbe un Salvini qualunque, va alla ricerca del campo rom e quando lo trova chiede: «Scusate, siete voi i zincari? Ma mica me ne posso venire con voi?».

Roberto Saviano

Nella periferia di Roma Est, con le pattuglie anti-rom

  • Lunedì, 14 Luglio 2014 14:22 ,
  • Pubblicato in Flash news

Linkiesta
14 07 2014

Viaggio nei campi nomadi capitolini tra roghi tossici e cittadini esasperati che scendono in strada
Marco Fattorini e Marco Sarti

Il viaggio de Linkiesta nell’emergenza nomadi della Capitale. Un reportage in tre puntate sul dramma sociale dei campi rom, le storie dei protagonisti e l’incredibile spreco di denaro pubblico. (La prima puntata)

Nella Capitale Antonio Di Maggio si occupa dei rom da almeno vent’anni. Un veterano dell’emergenza nomadi. Vicecomandante della Polizia locale di Roma, è il titolare del gruppo di Sicurezza Pubblica ed Emergenziale, un nucleo di 60 uomini impegnato, tra le altre cose, nel monitoraggio dei campi autorizzati e degli insediamenti abusivi. Modi burberi e disponibilità genuina, alle sue dipendenze c’è una squadra affiatata. Una task force di eccellenza che vigila sulla Capitale parallela: una città fatta di nomadi, invisibili, senzatetto, abusivismo edilizio e ambientale. Agenti in prima linea, ma solo tre pattuglie per turno che devono vegliare su tutto il territorio. Chi si aspetta un ufficio al Campidoglio, magari con vista sui Fori, rischia di rimanere deluso. La sede del gruppo è a Ponte di Nona, quartiere ultraperiferico a est di Roma. Palazzoni nuovi e strade larghe che venerano la classica cattedrale nel deserto, il centro commerciale. L’aria è quella del quartiere dormitorio, come ce ne sono tanti ai margini delle grandi metropoli. Persino anonimo, se non fosse per il campo nomadi di Salone.

Un tempo insediamento modello, oggi è unanimemente riconosciuto come uno degli accampamenti più difficili della Capitale. Nel 2006 era nato per ospitare 600 persone, ma già un anno fa l’ufficio nomadi del Comune ne aveva censite 900. Per qualcuno ora sono molte di più. L’Associazione 21 Luglio, da sempre vicina alle comunità rom e sinti, denuncia le difficoltà di vita dei nomadi residenti, strettamente connesse alla posizione isolata del campo. «Raggiungere i servizi essenziali dall’insediamento risulta estremamente complicato — si legge in un recente dossier — La farmacia più vicina dista 4,2 chilometri, l’ospedale 10,6 chilometri, l’ufficio postale 2,7 chilometri, il negozio di generi alimentari 3,2 chilometri». Intanto solo lo scorso anno il Campidoglio ha investito quasi tre milioni di euro per la gestione del campo. In circa otto anni, stima l’associazione, ognuna delle famiglie che vive qui è costata alle casse cittadine 144,558mila euro.

Per tutti, quello di Salone è il campo degli incendi. Se ne lamentano gli abitanti del quartiere, le autorità locali confermano con rassegnazione. Una terra dei fuochi lungo il grande raccordo anulare. Di giorno i palazzi vicini all’insediamento vengono avvolti da alte nuvole di fumo denso e nero. La notte i vigili del fuoco sono costretti a intervenire per spegnere le fiamme (quando non devono scappare perché accolti a sassate). Come spiega un rapporto della Polizia locale di Roma Capitale, nel campo di via di Salone è stata «accertata un’attività di gestione illecita di rifiuti». Le indagini della squadra di Di Maggio hanno evidenziato la presenza attorno all’insediamento di almeno «40-50 autocarri adibiti a raccolta e trasporto di rottami». Così assieme agli incendi incontrollati — e i conseguenti rischi per la salute di chi vive a Ponte di Nona — nella zona sono già state sequestrate un paio di discariche abusive e quasi 6mila chili di rifiuti. Una situazione resa ancora più rischiosa dal contesto ambientale. Nei decenni passati, la zona dove sorge il campo nomadi ospitava vecchie discariche e cave di pozzolana riempite di rifiuti. Come se non bastasse, a pochi metri dall’insediamento oggi sorge un deposito Gpl dell’Eni e un’ex area industriale nel cui sottosuolo Italgas nel 2010 appurava una «contaminazione storica» di sostanze come arsenico, berillio, piombo, rame, selenio e idrocarburi vari.

È il Gruppo Sicurezza Pubblica ed Emergenziale ad avere il polso della situazione sui vari campi nomadi capitolini. Nonostante la qualifica di dirigente, Antonio Di Maggio partecipa personalmente ai controlli: dagli sgomberi ai sopralluoghi. Nel campo di Salone ormai lo conoscono tutti, per entrare basta una sola pattuglia della Municipale. Nessun insulto, solo saluti e sorrisi. Tra i moduli abitativi messi a disposizione dal Campidoglio i più piccoli lo accolgono mostrando il palmo della mano. «Ciao Maggio». Gli anziani del campo lo rispettano. I resti degli ultimi roghi sono ancora visibili. All'ingresso del campo fa bella mostra una mercedes Classe A carbonizzata, data alle fiamme nella notte. E poi diversi cumuli di rifiuti ammassati a bordo strada, nonostante i cassonetti presenti nel campo. Telecamere spente, portineria della vigilanza vuota e un container con la scritta “Polizia Municipale” sbarrato da tempo. «Mancano le risorse», conferma un agente. Tra bambini in bicicletta e sporcizia, lungo la stradina che attraversa l’insediamento si alternano pozzanghere e topi. «Con i nomadi - racconta Di Maggio durante il sopralluogo - c’è un confronto quotidiano». Il fattore umano conta più di qualsiasi protocollo. «Loro si rivolgono a noi per chiederci aiuto su violenze subite e problematiche sociali».

Eppure il rapporto tra i nomadi e il quartiere è diventato difficile. Forse anche troppo. E così a Ponte di Nona un gruppo di cittadini ha iniziato a pattugliare le strade per arginare illegalità e delinquenza. Due automobili, una decina di volontari, alternandosi riescono a operare per tutta la notte. Sono il Caop, Coordinamento Azioni Operative Ponte di Nona. Il presidente è Franco Pirina, libero professionista e residente in zona. «Quando vediamo qualcosa che non va — ci tiene a specificare — non interveniamo. Chiamiamo immediatamente le forze dell’ordine». Le pattuglie improvvisate girano per le strade del quartiere fino alle prime luci dell’alba. La gente si sente più sicura, racconta orgoglioso il presidente, tanto che presto il servizio sarà esteso anche alla vicina zona di Settecamini.
Pirina non gira troppo attorno alle parole. A Ponte di Nona la situazione ormai è insostenibile. «E per quello che vedo io — racconta — l’ottanta per cento dell’illegalità è legata al campo nomadi». Nel quartiere c’è chi denuncia furti, atti di vandalismo. Al centro delle polemiche restano gli immancabili roghi. Di fronte alle colonne di fumo che continuano ad alzarsi, i cittadini si difendono come possono. Dopo alcune segnalazioni in Campidoglio, lo scorso autunno Pirina ha denunciato Ignazio Marino e l’amministrazione comunale per omissione di atti d’ufficio. «La sa una cosa? — racconta il presidente del Caop — Il gabinetto del sindaco mi ha già contattato per chiedere di rinunciare alla querela. Ma io li voglio portare in tribunale. Al processo ci costituiremo parte civile e il risarcimento che otterremo sarà interamente devoluto alle forze dell’ordine». Nonostante le buone intenzioni, il rischio che la tensione possa degenerare è concreto. «Da un momento all’altro può succedere qualcosa — racconta ancora Pirina — spiace dirlo, ma abbiamo già scritto al prefetto per avvertirlo che qualcuno potrebbe compiere azioni violente ed eclatanti nei confronti del campo nomadi. La gente ormai è esasperata».
nomadi

Intanto i campi nomadi della Capitale sono rimasti senza controllo. Lo scorso primo luglio, il Campidoglio ha deciso di sospendere il servizio di monitoraggio e portierato dei villaggi autorizzati svolto da 80 operatori della società Risorse per Roma, partecipata del Comune. Una scelta politica, lamenta qualcuno. Il progetto era stato voluto da Gianni Alemanno: un servizio di controllo degli ingressi, ispezioni nei campi e segnalazioni alle autorità competenti. Ora la giunta di centrosinistra ha deciso di voltare pagina. «Eravamo entrati due anni e mezzo fa con un bando pubblico — racconta uno degli operatori rimasti senza stipendio — e adesso siamo finiti in mezzo a una strada». In questi giorni è in corso un braccio di ferro con l’amministrazione capitolina per salvare i posti di lavoro. Anche per questo gli ex lavoratori di Risorse per Roma chiedono di parlare sotto anonimato. Dai loro racconti emerge una realtà inquietante. Violenze, minacce e aggressioni subite durante i turni di servizio.

Fino a pochi giorni fa i dipendenti hanno controllato gli accessi degli insediamenti 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. Il risultato? Oltre 8mila segnalazioni alle autorità competenti relative ad attività illecite, richieste di soccorso, manutenzione. Non solo. I dipendenti rappresentavano un punto di riferimento per le fasce più deboli della comunità nomade. «Donne, bambini. Famiglie spesso costrette a pagare il pizzo per poter avere in subaffitto i moduli abitativi messi a disposizione del campo». Adesso tutto è cambiato. «La nuova amministrazione cittadina ha mostrato totale disinteresse. Le nostre segnalazioni sono finite sistematicamente nel nulla». Fino alla definitiva sospensione del servizio. «E i risultati già si vedono — racconta uno dei dipendenti licenziati — al campo della Barbuta sono stati vandalizzati i moduli abitativi destinati a Risorse per Roma e alla Croce Rossa. Solo il nostro presidio era costato circa 40mila euro. Senza considerare la distruzione degli impianti di video-sorveglianza».

Al centro delle polemiche finisce l’assessore alle Politiche sociali del Campidoglio, Rita Cutini. Docente universitaria vicina alla comunità di Sant’Egidio. Nella gestione della vicenda nomadi, sono in molti a lamentare l’assenza di una strategia precisa da parte della giunta Marino. «L’assessorato? È un muro di gomma — sussurra una fonte vicina al Campidoglio — da parte di questa amministrazione non c’è alcun tipo di progettualità per la questione rom. Almeno Alemanno, con tutti gli errori che ha fatto, dialogava e incontrava personalmente le comunità, anche scavalcando le cooperative e le associazioni che da sempre operavano nell’ambito». Solo cattiverie? Tra critiche e dubbi sulla gestione emergenziale, neanche Linkiesta riesce a raggiungere l’assessore Cutini. A una richiesta di intervista, la portavoce rifiuta cordialmente. «Al momento non è possibile, dobbiamo risentirci più in là perché prima vogliamo risolvere la questione del bilancio al sociale». Evidentemente non c’è tempo per rispondere alle domande.

Campi Nomadi s.p.a.

  • Giovedì, 12 Giugno 2014 07:20 ,
  • Pubblicato in ZeroViolenza
Giovedì 12 giugno, ore 13.00
Campidoglio - Roma

L'Italia è conosciuta in Europa come il Paese dei campi e Roma, da quando, nel 1994, fu costruito il primo "campo nomadi", è la città che più delle altre ha investito risorse umane ed economiche nella realizzazione del "sistema campi".

Petardi e fumogeni contro i rom. E il Comune li sposta all'Eur

  • Mercoledì, 05 Febbraio 2014 13:16 ,
  • Pubblicato in Flash news
Pese Sera
5 febbraio 2014

Ieri, riferisce Popica onlus, "un gruppo di persone incappucciate si materializza davanti all’Hotel Flaminius con uno striscione: 'Marino sindaco dei rom'". Interviene la protezione civile che sposta i circa 100 rom alla Fiera di Roma

Dalla Casilina, all'hotel Flaminius a Prima Porta e infine alla Fiera di Roma all'Eur. I circa 100 rom, allontanati dall'insediamento di via Lombardi Romolo mercoledì 29 gennaio, in una settimana sono stati spostati da una parte all'altra di Roma. L'ultimo trasferimento c'è stato ieri, dopo la rivolta dei cittadini sfollati dalle case "costretti" a dividere l'albergo a Roma nord con "gli zingari". A quanto riferisce l'associazione Popica onlus "un gruppo di persone incappucciate si materializza davanti all’Hotel Flaminius con uno striscione: 'Marino sindaco dei rom'. Lanciano fumogeni e petardi e si dileguano".

E a quel punto Comune e Protezione Civile intervengono. E i rom la sera stessa vengono spostati urgentemente in un altro luogo, l'ex Fiera di Roma appunto. "Una storia che - dichiara Popica - solo per il momento, si chiude qui. Una storia in cui la Solidarietà è la grande assente, in cui l’Umanità cede il passo all’egoismo, alla voglia di segregazione e agli interessi di pochi. Una storia come ce ne sono state tante altre, alle quali siamo ormai quasi assuefatti, una storia che non lascia sperar nulla di buono".

Razzismo e intolleranza. Verso i rom tutto si può

  • Martedì, 04 Febbraio 2014 15:50 ,
  • Pubblicato in ZeroViolenza
Lara Facondi, Paese Sera
4 febbraio 2014

Il maltempo non c'entra niente. I circa 100 rom, tra cui 40 bambini, sgomberati mercoledì 29 gennaio da un insediamento al Casilino sono stati "sistemati" nell'hotel Flaminius giovedì, dopo una notte trascorsa nell’aula consigliare del municipio V.

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