"No ai rifugiati siriani. Sì a un nuovo muro"

Palestina-BarriereAnnunciata un'altra barriera, la quarta: dividerà lo Stato israeliano dalla Giordania. [...] "Non lasceremo che Israele sia sommerso da un'ondata di immigrati clandestini e attività terroristiche", ha aggiunto Netanyahu.
Michele Giorgio, Il Manifesto ...

Se ami qualcuno lo proteggi

  • Martedì, 01 Settembre 2015 14:13 ,
  • Pubblicato in DINAMO PRESS

Dinamo Press
01 09 2015

Parla la famiglia palestinese che ha respinto il soldato israeliano che voleva arrestare il loro ragazzo a Nabi Saleh, in Cisgiordania. Tratto da East middle eye,, traduzione a cura di dinamopress.

La famiglia Tamimi ha dichiarato che la presenza dei giornalisti è stata cruciale per respingere il soldato israeliano che voleva arrestare il loro Mohammed di 11 anni. Nariman Tamimi racconta che lei e suo figlio stavano guardando la manifestazione da lontano quando ha notato che qualcosa non andava. I soldati, che di solito cercano di bloccare la protesta prima che raggiunga il ripido pendio del suo villaggio, sembrava stessero incoraggiando i dimostranti a scendere il pendio. Quando ha capito il motivo, era troppo tardi. Racconta che una dozzina di soldati si erano nascosti dietro gli alberi e dei massi lungo il fianco di una collina, saltando fuori per catturare manifestanti impreparati.

“Abbiamo visto che i soldati avevano preso mio nipote e un'attivista straniero, stavano per arrestarli e tutti siamo corsi per aiutarli” dice Nariman. Quando gli altri manifestanti sono corsi in aiuto dei due manifestanti che erano stati arrestati, il figlio di Nariman, Mohammed Tamimi, 11 anni, è rimasto dietro e continuava a guardare a distanza. Questo è il momento in cui è stato catturato solo. Quello che è accadduto successivamente è stato ripreso da una macchina fotografica in una serie di foto, che ritraggono un giovane ragazzo buttato a terra da un soldato israeliano, mentre la madre del ragazzo, la zia e la sorella combattono per togliere l'uomo adulto via dal bambino.

Diffusione virale

Le foto e i video dell' incidente si sono diffusi rapidamente attraverso i social media, catturando l'attenzione delle agenzie di stampa internazionali. La famiglia Tamimi, noti attivisti palestinesi, sono rimasti impressionati per quanto velocemente si fossero diffuse le foto. Bilal Tamimi, uno degli zii del ragazzino fermato nel filmato, haripreso l'intera aggressione.

“(Uno dei miei video) ha raggiunto più di un milione di visualizzazioni solo oggi” Bilal ha dichiarato al Middle East Eye dalla casa della sua famiglia nel piccolo villaggio di Nabi Saleh appena fuori Ramallah. “Non ci posso credere, nessuno di noi può crederci”

La zia di Mohammed, Nawal Tamimi che è stata ripresa nel video mentre disperatamente tirava e colpiva la faccia e il corpo del soldato – cercando con tutte le sue forze di tirare via il soldato da suo nipote – dichiara che è riconoscente del fatto che le telecamere fossero lì. Questi tipi di incidenti non sono rari per Nabi Saleh e per la Palestina”, dice Nawal. “Siamo grati del fatto che le persone stanno guardando queste foto e vedono cosa accade sotto l'occupazione, ma cose peggiori di queste si verificano sempre. Se non ci fossero state così tante persone con le telecamere, quel giorno loro ci avrebbero tranquillamente sparato e avrebbero preso Mohammed, non sarebbe stato anormale”.

Il villaggio di Nabi Saleh organizza settimanalmente la manifestazione del venerdi– senza alcuna eccezione – dal 2009, come protesta contro l'occupazione israeliana del territorio palestinese, e contro la confisca delle terre di Nabi Saleh ad opera del vicino insediamento illegale di Halamish. Il villaggio è conosciuto per l'intensità degli scontri che ci sono durante le proteste e per l'organizzazione del suo comitato di resistenza popolare. La forza del movimento di resistenza di Nabi Saleh significa che le forze israeliane effettuano incursioni nelle case durante la notte e che gli scontri sono frequenti.

Nessun luogo è sicuro

Tutti i bambini di Nariman, anche il suo figlio più piccolo, prendono parte alle manifestazioni di Nabi Saleh. Spiega che durante le proteste non tiene a casa i suoi figli perchè nemmeno nelle loro case sono al sicuro. Nelle foto, il giovane ragazzo che è stato immobilizzato, indossa un gesso al braccio, una ferita, dice sua madre, che è stata causata quando le forze israeliane hanno attaccato la loro casa solo due giorni prima dell'incidente di Venerdì. “Si può vedere dalle foto che indossa un gesso” afferma Nariman “I soldati hanno lanciato lacrimogeni dentro casa e rotto le finestre, uno di questi contenitori di metallo che è caduto dentro, ha colpito il suo braccio e gli ha rotto il polso”.

“Quindi, a Nabi Saleh non esiste un luogo sicuro nè dentro nè fuori, ma i bambini sono meno traumatizzati restando fuori ed affrontando le loro paure piuttosto che stare qui a nascondersi, li fa sentire meglio, psicologicamente” insiste Nariman.

Se ami qualcuno lo proteggeresti

I fotografi sono stati i primi a raggiungere Mohammed, riprendendo i momenti iniziali dell'incidente di venerdì, mentre urlavano contro il soldato affinchè rilasciasse il ragazzo e avvertendolo che il braccio del ragazzo era rotto. La sorella di Mohammed, Ahed, 14 anni, è stata la prima che fisicamente è arrivata in suo aiuto. “All'inizio ho provato a parlare con il soldato per convincerlo a lasciare andar via Mohammed, ma lui non voleva così ho fatto qualsiasi cosa in mio potere per liberare mio fratello da lui. Chiunque avrebbe fatto lo stesso per il proprio fratello o per qualcuno che si ama, se ami qualcuno lo proteggi” ha spiegato Ahed.

Una delle foto più condivise tra la serie di immagini virali, mostrano Ahed mordere la mano del soldato durante lo scontro per liberare Mohammed. “Non so cosa stessi facendo, stavo solo facendo qualsiasi cosa per liberare mio fratello” afferma. Ahed e la madre di Mohammed possono essere viste mentre graffiano la faccia e la maschera del soldato condividendo lo stesso sentimento. Nariman è arrivata sulla scena subito dopo Ahed. Nel video, prima che raggiungesse lo scontro tra i suoi due figli e il soldato, la si sentiva urlare “Mio figlio, mio figlio” ripetutamente. “Non stavo pensando ad altro tranne che a togliere il soldato da sopra mio figlio, non importa come” afferma Nariman quando le viene chiesto se a un certo punto si fosse spaventata delle possibili conseguenze di un contatto fisico con un soldato israeliano. “Quella mitragliatrice stava penzolando lì vicino alla testa di mio figlio e la sua mano era attorno alla sua gola.”

Quando Nariman ha visto le foto per la prima volta, dice che è stata attraversata da un turbine di emozioni. “Ridevo e piangevo. In un primo momento, quando ho visto la faccia mia e di mia figlia mentre lei mordeva il soldato e io lo colpivo e lo sguardo sulla faccia del soldato, ridevo”. Esclama. “Ma quando ho visto e realizzato la paura nel volto di Mohammed mi sono messa a piangere. Nessuna madre vorrebbe vedere sulla faccia del proprio figlio una tale paura”.

Mentre Mohammed guarda terrorizzato le foto, subito scarta l'idea che l'incidente sarebbe potuto essere il momento piu spaventoso dei suoi 11 anni di vita. “Il momento più pauroso della mia vita non è stato venerdì” spiega Mohammed, raccogliendo la stoffa sfilacciata sul braccio gessato. “è stato quando avevo nove anni. I soldati arrivarono al villaggio nel mezzo della notte e allora non c'era nessun giornalista a guardare e ci siamo messi a correre via da loro, ma i bambini più grandi erano più veloci”

Come venerdì, Mohammed è stato separato dal gruppo, il resto dei suoi cugini più grandi, si erano messi su una collina, ma lui e un altro cugino erano ancora in basso, con i soldati vicino, racconta. I soldati stavano per arrestarci, ma i nostri cugini iniziarono a buttare i sassi e noi siamo riusciti a scappare, ma quando ho raggiunto il resto dei ragazzi hanno sparato a mio cugino giusto di fronte a me. Questo è stato il momento più pauroso, non ieri.

Nariman non è estranea a situazioni intense, ma spiega che ogni madre potrebbe fare quello che lei ha fatto di istinto, senza curarsi del rischio. “Sei sei una madre proteggeresti i tuoi figli senza pensarci. Anche un gatto, se vede qualcosa che sta ferendo il suo piccolo, lei lo attaccherebbe, e questo è quello che ho fatto io.” Nariman insiste con fervore. “Loro non stavano solo provando ad arrestarlo, il modo in cui la mano del soldato era attorno al collo di mio figlio lo avrebbe potuto uccidere.”

*Tratto da eastmiddleeye.net, traduzione a cura di dinamopress.

Palestina. La Resistenza nei gesti quotidiani

  • Lunedì, 31 Agosto 2015 14:21 ,
  • Pubblicato in Flash news

Contropiano
31 08 2015

Se ti siedi sulle colline che circondano At' Twani puoi ascoltare le molte storie di una comunità resistente.

Una comunità che prova a strappare ogni ambito della propria quotidianità subita all'orrore infinito dell'occupazione, alle umiliazioni, alla prepotenza, ai soprusi, all'oppressione.

Se la storia è il corso degli eventi, delle tragedie, degli accadimenti, di vittorie e sconfitte da ricordare, le storie, come scriveva Portelli qualche anno fa, sono ciò che lega inscindibilmente l'uomo alla storia.

Ce ne sono tante di storie da ascoltare in Palestina.
Stupefacenti, tristi, divertenti, tragiche, grottesche, comiche, animate da donne e uomini che spesso con una caparbietà disarmante ambiscono a vivere una vita degna e praticano sia negli spazi politici concessi, che in quelli non concessi, la ricerca dei propri desideri.

La Palestina è anche la storia di un sedicenne che trascorre tre anni di vita nelle carceri Israeliane senza aver commesso nessun crimine.

Sono gli anni della prima Intifada, dei comitati popolari, della disobbedienza civile, della capacità di un'intera comunità di connettersi con il mondo evitando di auto ghettizzarsi in una spirale imposta fatta di azione e reazione.

Sono gli anni dei coprifuoco, della repressione brutale, dello sciopero fiscale di Beit Sahour, la cui popolazione rifiutò di pagare le tasse agli occupanti.

Sono gli anni in cui nacquero quei soggetti, al tempo informali ed auto organizzati, che costituiscono oggi l'ossatura del mondo associativo Palestinese.

In un villaggio del distretto di Betlemme qualcuno lancia sassi contro un veicolo militare Israeliano cosa abbastanza frequente.

Gli Israeliani non avevano nel villaggio, tra la popolazione Palestinese, una rete di informatori tale da indicare i nomi dei responsabili.

L'esercito deve dare un segnale, dimostrare che un lancio di pietre fatto da adolescenti non resta impunito, e così di notte entra in alcune abitazioni ed arresta alcuni sedicenni sulla base delle testimonianze dei soli militari del veicolo fatto oggetto del lancio di pietre.

Tre anni di reclusione per non avere fatto nulla, tre anni di vita rubati, il percorso scolastico interrotto, il primo distacco, forzato, dalla famiglia.

Il ragazzino esce dal carcere dove nel frattempo è diventato uomo, ha imparato un po' di ebraico, torna a casa, si sposa, inizia a lavorare e costruisce assieme alla moglie una splendida famiglia.

La Palestina è anche la storia di una ragazza Palestinese dai lineamenti occidentali che, per non rinunciare ad una borsa di studio in una scuola privata straniera a Tel Aviv, per un anno si finge Israeliana.

Sale sugli autobus che dalle colonie del distretto di Betlemme vanno a Tel Aviv, parla solo in inglese, trova un alloggio in nero e torna a casa (a meno di sessanta chilometri) un fine settimana al mese.

Quella ragazza si diploma, la famiglia, per quanto non facoltosa ha compreso che l'istruzione è uno strumento di emancipazione straordinario ed ha fatto sacrifici enormi per consentire alle proprie figlie di completare il proprio percorso di studi.

Il giorno della consegna del diploma, a Tel Aviv, in Israele, solo una parte della famiglia riceve il permesso di ingresso per 14 ore.

Il padre, a cui il permesso viene negato, decide di entrare clandestinamente, di notte, a rischio dell'arresto per poi rientrare, sempre clandestinamente, la notte successiva.

Due passaggi notturni, a piedi, per percorsi impervi e a rischio di venire arrestati o feriti dalle guardie di frontiera per assistere al diploma della figlia.

Non so se ha senso chiedersi quanti padri lo avrebbero fatto in condizioni analoghe, credo che sia un gesto d'amore straordinario per chi ha incoraggiato le figlie ad istruirsi ed emanciparsi.

In Palestina, sulle colline a sud di Hebron, nel villaggio di At'Twani puoi incontrare anche l'Italia migliore, quella di giovani realisti capaci di sognare l'impossibile.

Puoi incontrare persone che con rispetto e coraggio si mettono a servizio di una lotta e di una comunità, che si mettono in discussione, compartecipano ad un sacrificio.

Dal 1996 ad oggi in Palestina sono arrivati, tramite i molti canali della Cooperazione Internazionale, fiumi di denaro, che hanno creato danni pari a quelli dell'occupazione.

Hanno contribuito a rompere i legami solidali in seno alla società Palestinese incrementando la divisione in classi della società.

Centinaia di cooperanti ed espatriati si sono trasferiti in massa tra Ramallah ed il distretto di Betlemme, in molti casi portandosi dietro il proprio mondo in maniera invasiva in un contesto dagli equilibri sociali sempre più fragili e precari.

In buona misura hanno semplicemente redistribuito denaro, in misura minore generato clientele, in rari casi dato vita a progettualità virtuose e riconosciute come tali dalla comunità locale.

Ad At' Twani c'è senza dubbio l'Italia migliore, quella di cui non si parla sui media nazionali, quella che mette a disposizione degli altri la propria umanità, per una comunità per cui la semplice esistenza coincide con la forma più potente e persuasiva di resistenza, mettendo a nudo l'orrore dell'occupazione, non fornendo alibi all'occupante e creando relazioni solidali ed auto mutuo aiuto.

È' bello, sotto un vecchio pino marittimo, sedersi ed ascoltare, rubando tempo alla vita e provando a connettersi con la semplicità è la radicalitá di una lotta che crea vincoli e legami solidali.

Sulle colline a sud di Hebron succede anche questo accanto alle violenze dei coloni, alle aggressioni dell'esercito, alle demolizioni, alle restrizioni della mobilità ed all'istituzionalizzazione, qui nei Territori Occupati, di un apparato discriminatorio che permea ogni aspetto della vita.

In Palestina c'è il mondo, ci sono anche le nostre storie, le nostre paure e le speranze di quante e quanti, nel mondo, provano a costruire quotidianamente l'altro mondo possibile.

Israele, attivista italiano arrestato per un video

Vittorio Fera (31 anni), attivista italiano del Movimento di solidarietà internazionale (Ism) pro palestinese è stato arrestato venerdì scorso dall'esercito israeliano nel corso di scontri a Nabi Saleh non distante da Ramallah in Cisgiordania.
R. Es., Il Messaggero ...

I ragazzi dell'Intifada

Sono passati 13 anni da quei mesi del 2002, i 40 giorni di assedio israeliano di Betlemme, la reconquista della Cisgiordania.
Chiara Cruciati, Il Manifesto ...

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