Il Mattino
11 06 2014
ROMA - Nell'attività svolta dal Garante per la privacy nel 2013 - come emerso nella relazione annuale - particolare importanza ha assunto il lavoro relativo al mondo della Rete.
L'Autorità ha, infatti, sanzionato per un milione di euro Google per il servizio Street View e ha intrapreso un'azione, in coordinamento con le altre Autorità europee, sempre nei confronti di Mountain View per le nuove regole privacy adottate. È intervenuto per garantire maggiore trasparenza agli utenti dei servizi di messaggistica, anche vocale. E ha dettato regole per proteggere la privacy su smartphone e tablet. Di recente ha definito un modello di consenso per l'uso dei cookie da parte degli utenti. È stato inoltre ulteriormente rafforzato il diritto delle persone interessate a vedere aggiornati gli archivi giornalistici on line.
Per garantire un corretto rapporto tra trasparenza della Pa e riservatezza delle persone sono stati presi provvedimenti di divieto nei confronti di decine di Comuni che avevano pubblicato sul web dati sanitari dei cittadini e, di recente, sono state adottate le Linee guida sulla trasparenza on line. L'Autorità ha fissato le regole sull'obbligo per le società di Tlc di comunicare agli utenti e al Garante le violazione subite dai data base in caso di attacchi informatici, eventi avversi o calamità (i c.d. «data breach»).
Rilevante anche l'impegno nel dettare regole per la tutela dei cittadini nei confronti dei call center delocalizzati nei Paesi extra Ue; per la tutela degli abbonati telefonici contro il telemarketing aggressivo (con prescrizioni e sanzioni adottate nei confronti di società che operano nel settore) e contro le cosiddette «telefonate mute»; per una corretta gestione dei dati presenti nelle centrali rischi; per la tutela della privacy nel condominio.
Sono state adottate le Linee guida in materia di attività promozionale e contrasto allo spam. Significativi anche gli interventi svolti per regolare l'uso della firma biometrica nelle banche e l'uso delle impronte digitali sul posto di lavoro. Da ricordare, infine, il rinnovo delle autorizzazioni generali sull'uso dei dati sensibili e giudiziari da parte di diverse categorie, dell'autorizzazione generale sull'uso dei genetici e di quella sulla ricerca medico scientifica.
Non meno rilevante l'attività del Garante a livello internazionale, a partire da quella svolta nel Gruppo delle Autorità per la privacy europee (Gruppo Articolo 29) riguardo ai numerosi pareri e documenti adottati (cookies, app per telefonia mobile, sistemi di misurazione «intelligenti» nel settore energetico, open data, droni, data breach, anonimizzazione dei dati, cloud computing, clausole contrattuali per le multinazionali, etc.) o alle iniziative assunte, come quella nei confronti di Google.
Nel 2013 sono stati adottati oltre 606 provvedimenti collegiali. L'Autorità ha fornito riscontro a 4.185 tra quesiti, reclami e segnalazioni. I pareri resi dal Collegio al Governo e Parlamento sono stati 22. Sono state effettuate 411 ispezioni (+4% rispetto al 2012), che hanno riguardato diversi settori. Le violazioni amministrative contestate sono state 850, in aumento rispetto all'anno precedente (578). Le sanzioni amministrative riscosse ammontano a oltre 4 milioni di euro.
La Stampa
13 05 2014
Google & Co hanno anche dei doveri. La Corte di Giustizia europea ha emesso stamane una sentenza per dire che «il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi».
Traducendo in un linguaggio comprensibile, cosa che dovrebbe fare l’ufficio stampa dell’istituzione e che non succede quasi mai, vuol dire che se un cittadino ritiene che alcune informazioni sulla sua vita ottenute “googlando” siano lesive della privacy, tocca al motore assicurare che i diritti siano rispettati e ripristinati. Chi gestisce la macchina, insomma, è responsabile della destinazione anche se non è lui a guidare.
A questa conclusione la più alta magistratura europea è arrivata dopo un reclamo spagnolo. A scatenare il meccanismo era stata una ricerca che aveva condotto a una notizia apparsa sul quotidiano la Vanguardia che conteneva informazioni che la persona in questione ha trovato lesive della sua vita privata. La Corte ha giudicato che la testata non fosse in primo luogo responsabile e, per far sopprimere il link, ha stabilito la facoltà di rivolgersi direttamente al gestore. Cioè a Google.
«Si tratta di una decisione deludente per i motori di ricerca e per gli editori online in generale», ha commentato un portavoce di Google. «Siamo molto sorpresi che differisca così drasticamente dall’opinione espressa dall’Advocate General della Corte di Giustizia Europea e da tutti gli avvertimenti e le conseguenze che lui aveva evidenziato. Adesso abbiamo bisogno di tempo per analizzarne le implicazioni.”
Nel caso in cui il gestore non dia seguito alla domanda, spiegano i giudici, la persona può comunque adire le autorità competenti per ottenere, in presenza di determinate condizioni, la soppressione di tale link dall’elenco di risultati. Tuttavia, poiché la soppressione di link dall’elenco di risultati potrebbe, a seconda dell’informazione, avere ripercussioni sul legittimo interesse degli utenti di Internet, la Corte constata che occorre ricercare un giusto equilibrio tra questo interesse e il diritto al rispetto della vita privata e il diritto alla protezione dei dati personali. Un passo avanti, certo. Ma con ancora qualche margine perché il cittadino resti a bocca asciutta.
Pagina99
23 04 2014
Big data, news, privacy. La rete dà, la rete prende. Ma chi regola?
Il problema è serio: in quel vortice che tutto risucchia – da cui l’onomatopeico Google – finiscono tutti gli aspetti che la rete oggi non regolamenta: contenuti pubblici e privati, notizie personali, dati sensibili, immagini riservate, proprietà intellettuali, progetti vincolati, creazioni artistiche e tanto, tanto diritto d’autore.
Nel punto di incontro tra assi di criticità quali libertà digitali e mediacidio – il quotidiano stillicidio di imprese editoriali che ha portato nell’ultimo anno alla scomparsa di un milione di addetti al settore dell’informazione in Europa – si impone di affrontare una big issue come il potere di Google rispetto allo scardinamento della rete. Su questo argomento devono valere alcuni principi cardine: l'accessibilità condivisa e aperta delle informazioni ma anche il diritto al giusto compenso per l’impegno professionale, la salvaguardia del diritto d'autore per le opere di ingegno, di estro, di creatività e il riconoscimento della proprietà privata rispetto alle immagini, alla musica, ai testi, alla produzione di lavoro giornalistico.
Jeff Jarvis, guru dei new media accreditato come media leader dai forum di Davos e autore del best seller What Would Google Do, sintetizza in inglese: one more leader, one more law. C’è un nuovo leader, nel nuovo mondo, occorrono nuove regole. Google non è solo una azienda, è un nuovo modo di pensare. E’ la chiave d’accesso ad un mondo che è già cambiato. Il post-Google è molto diverso dall'ante-Google. Un mondo in cui il controllo delle informazioni, l’orientamento dell’opinione pubblica, la gestione dei dati sono il nuovo oro, il nuovo petrolio, fonti indispensabili per la risorsa-potere. Le aziende, il marketing, i policy-maker amano i dati forse più di quanto li ami Google stessa, e sanno che è sotto la sua luce che li troveranno. E mentre nuove concentrazioni economiche nascono intorno alla conquista dei dati e surfano sulle onde del gigante di Mountain View, la vision dell’editoria italiana ed europea sta in campo corto: una tassa qua e una sanzione là, provando a modulare sull’inedito del web 3.0 l’archetipo format delle vecchie dogane.
Il mondo editoriale europeo tarda a fare i conti con la criticità del nuovo secolo. I sindacati dei giornalisti italiani – sia detto con rispetto: presieduti nella maggior parte dei casi da habitué della macchina da scrivere, più che da geek del pc – si confrontano tardi e male con i tornanti della rete. In Francia la levata di scudi richiesta dagli editori al governo si è tradotta in una legge impugnata dal gigante dei motori di ricerca, e di difficile applicazione se isolata dal contesto europeo. Già: perché in Europa c’è una legge sullo standard dei bidet, sulla qualità del grano e sulla quantità del latte. Ma non c’è una sola regola europea su Google. E’ quanto chiede a gran voce la Germania, rappresentata da Mathias Doepfner, ceo del colosso editoriale Axel Springer. In una lettera aperta agli editori e al pubblico mondiale ha gridato con rabbia: “Google ha troppo potere, c’è da aver paura, tutti noi dei media liberi, sia online sia cartacei”. Al Guardian dice: "Google sta costruendo un superstato".
Forse la paura, quella vera, si deve avere del vuoto. E’ l’assenza assoluta di qualsiasi regola a creare squilibri e scompensi, e questa non è attribuibile ad altri se non alla mancanza di iniziativa europea. E’ urgente che nasca dall’Europa dei popoli una iniziativa europea sui media, se quella dei governi si dimostrerà inadeguata com’è stato finora.