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L'ipocrisia del quartiere a luci rosse

Prostituzione e ghettizzazioneLa "tratta" e la prostituzione intesa come lavoro da regolamentare sono, all'apparenza, due aspetti contrapposti: il primo rimanderebbe alla costrizione, l'altro alla libertà di scelta. Ma, a guardare bene, producono un effetto analogo: viste in chiave di emergenza, criminalità, ordine pubblico, e quindi bisognose di interventi operativi, soluzioni immediate - come sta succedendo nella decisione del Comune di Roma di creare quartieri a luci rosse - fanno passare in secondo piano le domande di fondo sulla cultura, sulla storia e sul rapporto di potere tra i sessi, sui legami ambigui che la prostituzione ha con la famiglia, luogo di provenienza dei clienti, e oggi con le forme occupazionali più diffuse.
Lea Melandri, Il Manifesto ...

Roma, una zona libera per le sex workers

Il Fatto Quotidiano
08 02 2015

di Eretica

A Roma si discute di zone a luci rosse. L’iniziativa parte dal IX Municipio e lo stesso sindaco della città la guarda con favore. L’idea, da quel che leggo, sarebbe di destinare una zona alle sex workers, le quali, in questo modo, potranno lavorare godendo di un maggiore controllo contro lo sfruttamento, l’una a fianco all’altra, a realizzare una rete solidale e con una unità di strada composta da mediatori culturali e operatori sanitari che sarà destinata per le necessità delle prostitute. Questa iniziativa, da svolgere nei limiti posti dalla Legge Merlin, si oppone alla filosofia delle ordinanze pro/decoro che i sindaci “sceriffi” destinano alla marginalizzazione e alla esclusione delle prostitute dai luoghi in cui i cittadini “perbene” non tollerano “degrado” e “indecenze”. La stessa filosofia moralista, d’altronde, sta dietro le varie iniziative, di vari gruppi del centro destra, che vorrebbero l’abrogazione della Legge Merlin e la riapertura delle Case Chiuse.

Le Case Chiuse resistono nella memoria della gente così come esiste lo stereotipo dei “bei tempi in cui si poteva dormire con la porta aperta”. Ebbene: al tempo del fascismo non si poteva dormire affatto con la porta aperta, secondo quel che mi raccontavano i nonni, e le Case Chiuse erano un luogo di sfruttamento per le sex workers. Il punto è che le varie iniziative, a parole in nome delle prostitute, non sono affatto pensate tenendo conto di quello che le prostitute vogliono. Non mi risulta che si siano rivolti, infatti, al Comitato in difesa dei diritti per le Prostitute, o che abbiano parlato con quelle che incontrano per le strade. Delle prostitute quel che interessa è che paghino le tasse senza disturbare la vista dei benpensanti e senza avere la possibilità di riorganizzarsi secondo le loro preferenze.

L’iniziativa romana, invece, pare sia stata concordata con le sex workers che sarebbero favorevoli alla cosa. D’altronde le sex workers chiedono da tempo una forma di regolarizzazione, legittimità e cancellazione dello stigma che pesa su di loro. Vorrebbero che della Legge Merlin fosse cancellato il reato di favoreggiamento che viene attribuito anche a chi affitta una casa alle sex workers, sicché devono restare in strada, in solitudine, private della solidarietà di chi invece le guarda come nemiche e private dei diritti fondamentali che vanno garantiti a qualunque persona che lavora.

All’iniziativa romana si oppongono, in ogni caso, preti, abolizioniste e politici del centro destra. Uniti tutti quanti da un sentimento solidale ad muzzum, un po’ come viene viene. Apprensivi i preti che immaginano gli uomini infettati di strane malattie. Apprensive le abolizioniste intente a veicolare la narrazione tossica sulla prostituta nigeriana. Apprensivi i politici di destra che vorrebbero, per l’appunto, rinchiudere le prostitute in luoghi lontani dalla vista dei dei bravi cittadini. Tutti sono evidentemente ispirati ad una forma di neofondamentalismo che associa, per esempio, l’abolizionismo della prostituzione all’antiabortismo. In entrambi i casi non si considerano le donne come soggetti in grado di scegliere per se’. Invece si considerano oggetti delle decisioni altrui: di paternalisti che dicono di sapere quel che è meglio per queste donne e di matriarche che dall’abolizionismo della vendita dell’alcool in poi sono ancora ligie nella sorveglianza dei pubblici costumi e della moralità sessuofoba dei cittadini.

Quello che c’è da dire è che: le sex workers, tanto per cominciare, scelgono di chiamarsi così per precisare che la vendita di servizi sessuali è un lavoro; che loro hanno ben chiaro il fatto che se restano in clandestinità o, al contrario, se qualcuno vorrebbe schedarle in stile nazista, così le sex workers corrono il rischio di essere esposte al contagio di malattie sessualmente trasmissibili; che loro, e solo loro, possono raccontare quel che è giusto per garantire la loro sicurezza. Marginalizzarle e privarle del diritto ad un riconoscimento sociale significa metterle in pericolo e consegnarle in mano agli sfruttatori. Possiamo, tutti quanti, smettere di calare dall’alto, sulle loro vite, una visione morale che non corrisponde alle loro libere scelte? Possiamo separare i provvedimenti, necessari, che vanno assunti contro la tratta e la prostituzione minorile, e quelli che invece devono essere dedicati al riconoscimento e alla regolarizzazione per le sex workers che scelgono liberamente di fare quel mestiere?

Pensateci. Pensiamoci.

"Sono schiave, i ghetti non servono a liberarle"


"Ci ha detto che si chiama Gabriella, ha gli occhi sempre pieni di lacrime, ha vent'anni, però non ha forza di uscirne, è molto, molto controllata... Così a noi dice che la sua vita è questa. E ogni volta che la vedo, piango anch'io. Queste ragazzine, queste ragazze, le distruggono, letteralmente". Francesca (nome di fantasia, ndr) da sei anni e mezzo è operatrice sull'unità di strada dell'Associazione Papa Giovanni XXII che nella capitale prova a salvare le ragazze che si prostituiscono.
Pino Ciociola, Avvenire 

Redattore Sociale
06 02 2015

Ad aprile Roma avra' il suo primo quartiere a luci rosse. Entro tre mesi partira' la sperimentazione sulla prima area della citta' dove la prostituzione sara' tollerata. Si trattera' di una strada del IX municipio, ancora da individuare. L'obiettivo del progetto e' quello di liberare le strade dell'Eur dal fenomeno della prostituzione selvaggia e allo stesso tempo tenere sotto controllo il fenomeno, controllando anche eventuali casi di sfruttamento.

Del progetto ne hanno parlato, in un incontro riservato al dipartimento Politiche sociali, l'assessore capitolino Francesca Danese e il promotore del progetto, il presidente del IX Municipio, Andrea Santoro, che illustra la novita' in un colloquio esclusivo con la 'Dire'. "Abbiamo avuto su questa idea un incontro costruttivo - ha spiegato il minisindaco dell'Eur - l'approccio dell'assessore mi e' sembrato molto positivo, concreto e poco ideologico. Il progetto in questione e' prima di tutto un'operazione di recupero sociale".

L'operazione, chiarisce il IX Municipio, avra' come riferimento giuridico un'ordinanza. Fuori dalle zone tollerate saranno previste multe ai clienti, fino a 500 euro, che saranno trovati in compagnia delle prostitute. Il costo del progetto sara' di circa 5.000 euro al mese, che andranno in gran parte per le unita' di strada, gli operatori sociali che monitorano l'attivita' delle ragazze ed eventuali casi di sfruttamento. Una parte sara' stanziata dal Municipio e l'altra dal Campidoglio. "Cifre- sottolinea Santoro- assolutamente sostenibili per una citta' come Roma".

L'operazione, ha chiarito il presidente del IX Municipio, parte in stretto raccordo col Campidoglio. "E Danese si e' detta d'accordo nel costruire una proposta di questo tipo in tempi stretti", racconta ancora alla 'Dire' Santoro. "Possiamo partire ad aprile, cosi' contemporaneamente libereremo l'Eur da un fenomeno che investe il quartiere da almeno 30 anni e proveremo a contrastare la tratta".

Ma come sara' concepita l'area dove saranno spostate le lucciole romane e soprattutto quali strade saranno coinvolte? L'idea e' portare le prostitute in una strada, o un piccolo gruppo di strade, lontane dagli edifici abitati e dal centro del IX municipio. Per ora la localizzazione delle strade non c'e' ancora e secondo Santoro "sara' oggetto di un confronto in Prefettura, a breve". Le strade saranno controllate anche dalle unita' di strada, veri e propri gruppi di operatori sociali con il compito di monitorare lo stato delle ragazze, eventuali sfruttamenti o stati di disagio fisico e psichico. Il Municipio pensa quindi ad una sorta di tutela sanitaria e sociale delle prostitute.

"Ci aggiorneremo la prossima settimana per cercare di concordare le misure da mettere in campo, a partire dal potenziamento delle unita' di strada, che ora escono un paio di volte al mese ma dovranno arrivare ad un ritmo di due a settimana- aggiunge il presidente del IX Municipio-. Sempre la settimana prossima avremo anche un incontro con la Polizia locale e con il commissariato dell'Eur. Anche loro si sono detti disponibili ad un lavoro insieme. Avremo, quindi, un'intensificazione del controllo delle forze dell'ordine e piu' volanti sulle strade. Inoltre sara' potenziata l'illuminazione al led".

Allo stesso tempo per l'Eur potrebbe arrivare il tempo della rinascita notturna. "Oggi- prosegue Santoro- ogni mattina, in ogni angolo del quartiere, ritroviamo le strade piene di preservativi usati gettati in terra. Mentre di notte le prostitute sostano sotto le abitazioni. Il quartiere verra' liberato da questo fenomeno insopportabile per i cittadini".

La "prostituta di altri tempi" e l'invidia delle altre donne

  • Venerdì, 02 Gennaio 2015 13:44 ,
  • Pubblicato in Flash news

Abbatto i muri
02 01 2014

“Si vede che temono la concorrenza” mi dice la “prostituta d’altri tempi” che ho conosciuto in ospedale. Siamo ancora nella stanza delle diurne, anche in questa giornata prefestiva, e le mostro il commento di una abolizionista della prostituzione che più o meno insulta una compagna che ha decostruito la “narrazione tossica” sulla “prostituta nigeriana” che viene tirata fuori ogni qual volta si tenta di ragionare di regolarizzazione del mestiere, non già per le vittime di tratta, per le quali la legge già prevedere pene precise, ma per quelle che si prostituiscono per libera scelta.

A primo acchitto non capisco il suo commento poi afferro la sua sottile ironia. Mi spiega: “ai miei tempi, quando arrivava la prostituta straniera, noi temevamo la concorrenza. Rubavano i nostri clienti. Affascinavano gli uomini con i loro accenti esotici. A noi non restava che esporre le nostre grazie e contare sulla familiarità che suscitavamo”.

Rido, senza sottovalutare le vicende che ha vissuto, e mi piace il suo piglio ironico che è caratteristica propria di ogni persona che ne ha viste un po’ di tutti i colori. Perché a vivere quel che ha vissuto lei sicuramente avrà avuto bisogno di impiegare una buona dose di ironia. Le chiedo come passerà il capodanno e dice che lo trascorrerà da una sorella, l’unica che non l’ha ripudiata e che non ha nulla da ridire se lei fa le coccole ai nipoti. Allora mi spiega che la sorella in qualche modo le è stata nemica perché quando la madre ha deciso di vendere la mia interlocutrice al miglior offerente ha deciso di risparmiare l’altra figlia per tenerla a fare le faccende. Capitava che questa figlia affaccendata invidiava l’altra che, nonostante tutto, sembrava un po’ più libera. Fino a che fu sposata, prima del divorzio, era convinta di aver fatto un pessimo affare. Si era data via ad un solo uomo in cambio di molto poco e doveva curarlo, curare i figli, essere pronta a soddisfarlo, e le era passata la spensieratezza che invece trovava nell’espressione del volto della sorella prostituta.

Mi parla ancora della sua vita passata e dice che le peggiori nemiche delle sue giornate erano sempre le donne. Le mogli dei clienti erano le peggiori, ma anche quelle non sposate, formavano gruppi che aizzavano altre donne e uomini per liberarsi di “noi” (le prostitute) perché temevano che le puttane avrebbero deviato il comportamento dei figli della gente perbene. Giudicanti e perfide, alcune donne, come quella che ogni volta che vedeva una prostituta sotto il suo balcone le tirava un secchio di acqua sporca, o come quell’altra che ad ogni cliente che si fermava per raccattare la puttana prendeva il numero di targa perché aveva il marito militare al quale avrebbe detto quello che accadeva, come l’infermiera che le diceva che non era bene, per lei, fare dei figli.

Cattive quelle che stavano ben attente a fare una distinzione tra loro, protette in casa, accudite o accuditrici di famiglie numerose, che pensavano di salvare la propria anima perché la davano ad uno solo e a basso costo. Si sentivano migliori e il loro pensiero pieno d’amore per il prossimo era rivolto alle figlie che venivano mutilate della possibilità di vestire come volevano. Perfette interpreti della cultura patriarcale, queste madri diventavano sorveglianti della verginità delle figlie, le inibivano se mostravano di voler provare esperienze sessuali e avevano in bocca una frase emblematica: non vorrai mica fare la fine di quelle battone, vero?

Donne che immaginavano che il percorso delle “battone” fosse il più brutto possibile, e preferivano dare le figlie in matrimonio a uomini vecchi, brutti, a volte violenti, piuttosto che saperle libere di stare con chiunque e senza vincoli di alcun genere. Brutta storia il rapporto tra le prostitute di quei tempi e le altre donne, da sempre incafonite nei confronti delle altre e così la mia nuova amica non è per nulla sorpresa che lo siano anche ora pur se riconoscibili alla voce “abolizioniste della prostituzione”. E’ sempre stato il loro principale problema, quello di moralizzare la vita di noialtre, mi dice, e continua ad elencarmi una serie di altri deliziosi aneddoti che vedevano in scena sempre e comunque donne contro donne, in una continua incapacità di realizzare effettive sorellanze tra persone che vivevano esperienze diverse. O sei come me o sei contro di me. Nessun rispetto, nessuna comprensione. Solo quell’insopportabile sguardo pietoso, quando c’era, che ipocritamente nascondeva gli stessi sentimenti perfidi che mostravano più esplicitamente le altre.

“Eh si, forse temono la concorrenza”, ripete a proposito delle abolizioniste. Ride. Così trascorre il tempo in cui goccia dopo goccia vediamo le nostre vene a bere la flebo/terapia. “Tu hai mai fatto la puttana”? Mi chiede. Le rispondo con sincerità, perché a prostituirmi per uno stipendio, come hanno fatto tante altre, mi ripenso anch’io. Si, l’ho fatto. Erano posti più caldi e apparentemente più perbene ma la sostanza è la stessa. “Brava”, dice, e mi accarezza la mano. La felicità comincia quando si smette di vivere da dissociate. “Quando io ho smesso di dire bugie sul mestiere che facevo e sono stata onesta con tutti ho cominciato ad essere più felice”. E ha ragione, eccome se ha ragione. Bisogna dire chiaramente quel che si pensa e si è, nessuno lo sa meglio di lei. Nessuno lo sa meglio di me. “L’unica cosa che non ho mai prostituito è il cervello”, le dico. “Non ce la faccio proprio a dire quello che non penso”. “Neppure io”, risponde. E così guardiamo il mattino che scorre sulle vite di tante persone e anche sulle nostre. Tra un po’ abbiamo finito e possiamo andare. Buon anno a tutt* voi.

Ps: questa è una storia vera. Ogni riferimento a cose, fatti e persone è puramente casuale.

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