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Il veto contro le donne alla Corte Costituzionale

Nella Corte costituzionale in 60 anni ci sono stati 104 giudici, di cui solo 3 donne e nessuna eletta mai dal Parlamento. L'accesso alla Corte sembra essere una prerogativa maschile. Sembra quasi che il Parlamento ignori che in Italia ci sono prestigiose giuriste, anche di fama internazionale, che hanno le caratteristiche per essere elette giudici del massimo organo di garanzia costituzionale.
Antonio Rotelli, Il Manifesto ...

Quote di genere. Così il pubblico si adegua. Male

  • Lunedì, 26 Maggio 2014 08:34 ,
  • Pubblicato in Flash news

CorrierEconomia
26 05 2014

A leggere il primo bilancio dell'applicazione della legge sulle quote di genere nelle società controllate dallo Stato in tutte le sue diverse articolazioni (dall'amministrazione centrale fino ai più piccoli Comuni) viene da dire che «fatta la legge, trovato l'inganno». Ovvero, come aggirarla. ...

Un altro genere di comunicazione
26 03 2014

Qualche mese fa scrivevamo, riferendoci ai vari quotidiani con il “ghetto rosa”, questo:
Oggi non esiste quotidiano online che non abbia il suo bel ghetto rosa. Nei ghetti rosa si parla di “cose da donne”, tipo la famiglia, i figli, i femminicidi. Sono le donne che curano la famiglia, sono le donne che fanno i figli, sono le donne che vengono ammazzate. Cose da donne, appunto, che trovano spazio in sezioni separate, quelle che gli uomini non leggono, quelle che non riguardano gli uomini, quelle in cui si parla di violenza contro le donne, cosa vuoi che c’entrino gli uomini? Nei ghetti rosa c’è una netta separazione tra maschile e femminile, non si mischia niente, i ruoli sono quelli dati e non si mettono in discussione, al massimo si cercano strategie per stare più comod* in questo status quo.

Ad esempio, il fatto che siano le donne a doversi occupare di casa e figli è un dato insindacabile, ma dal momento che siamo donne emancipate e progressiste lavoriamo pure fuori di casa, disoccupazione e precariato permettendo, e dobbiamo quindi trovare un modo per riuscire a fare splendidamente bene tutte e due le cose.

In particolare, andavamo a criticare un articolo de “La 27esimaora” dove si andava ad inneggiare il multitasking femminile. È passato qualche mese da quell’articolo e ci ritroviamo ora, nuovamente, in disaccordo con una serie di approfondimenti dal titolo “Come si muovono le donne in città”, sempre pubblicate sul medesimo giornale.

Il primo articolo di questa serie di approfondimenti si apre così:
Mozzate, provincia di Como, sabato 1 marzo: Lidia Nusdorfi, 35 anni, va all’appuntamento con il suo ex che la uccide nel sottopasso della stazione. Per non fare un sottopasso, invece, la sera dello scorso 20 ottobre, domenica, muore Magda Niazy Sehsah, 29 anni, al settimo mese di gravidanza, che prende per mano il suo bambino di quattro anni, Yassè, attraversa in superficie viale Famagosta — periferia sudovest di Milano — e viene travolta da un’auto che corre a più di cento all’ora.

Due casi molto diversi tra loro e decisamente poco attinenti al tema.
Partendo dal secondo possiamo dire che quello di essere travolti da un’auto che viaggia ad altissima velocità potrebbe capitare a chiunque, donne incinte o meno, uomini, bambini, anziani.

Il primo caso ancora meno ci sembra attinente, viene citato l’ennesimo femminicidio, accaduto meno di un mese fa, dove una donna veniva uccisa nel sottopasso della stazione di Mozzate dal suo ex compagno. Come si può, anche solo lontanamente, pensare che una delle cause scatenanti del tragico epilogo di questa donna possa, in qualche modo, trovarsi in un sottopasso buio?

In tutti questi anni, da quando i femminicidi e la violenza sulle donne sono balzati al centro di tanti dibattiti interessando sempre più i media e l’opinione pubblica, abbiamo notato che nessun posto è veramente sicuro e che l’unico posto che in qualche modo ci dovrebbe garantire un certo tipo di sicurezza, ovvero le mura domestiche, è più che mai il luogo dove si consumano più violenze.

Le strade, i parcheggi e i sottopassi poco illuminati possano esporre tutti, e non solo le donne, ad un pericolo maggiore di aggressione. È davvero fuori luogo – in un paese dove le donne vittime di violenza non vengono tutelate in alcun modo (citiamo, tra gli altri, l’inutilità del Ddl femminicidio e la legge sullo stalking, che andrebbe totalmente rivisita), i centri anti-violenza continuano a chiudere e la cultura non vuole saperne proprio di cambiare- addossare le responsabilità ad una strada buia. Ma procediamo col resto dell’articolo.

Le differenze negli spostamenti tra uomini e donne nascono dalla diversità dei ruoli. I dati dell’eurobarometro considerati nel rapporto di Trt, relativi all’Unione Europea, indicano che le donne usano l’auto meno degli uomini (il 45,8% contro il 57,5%) e prendono di più imezzi pubblici (23% contro 18%): «Quando in famiglia c’è una sola macchina — spiega Patrizia Malgieri — in genere resta a disposizione dell’uomo». Anche spostamenti e tempi sono diversi: le donne vanno e tornano dal lavoro, ma hanno anche la spesa, i figli da accompagnare, le commissioni, i nonni. Cosa serve? «Conoscenza, accessibilità e sicurezza», riassume Silvia Maffii. In pratica, si legge nella carta della mobilità, bisogna studiare come si muovono le donne e tenerne conto nei piani dei trasporti. Chi se ne deve occupare? Le amministrazioni, ma anche le aziende di trasporto pubblico.
Ci risiamo con la diversità dei ruoli: è compito solo ed esclusivamente delle donne fare la spesa, sbrigare commissioni e accompagnare e accudire i figli, ovvio.

Quindi, invece di discutere sulla disparità dei compiti tra uomo e donna spostiamo l’attenzione sui trasporti e sulle modalità che agevolerebbero il multitasking e quindi tutti i compiti che deve svolgere una donna nell’arco della giornata.

La 27esimaora si premura poi di farci sapere che per fortuna c’è già chi ha cominciato ad adottare queste splendide misure volte a favorire le donne. Perché, ci tengono a precisarlo, “migliorare i trasporti per le donne significa alzare la qualità del servizio per tutti”.

Vuoi mettere avere una moglie che torna a casa prima dal lavoro-scuola dei figli-supermercato-dopo scuola dei figli-commissioni-cura dei nonni per poter cucinare? È un vantaggio anche per i mariti, per tutti noi! E allora, ecco che a Parma e a Reggio ci sono stati i primi studi sulla mobilità delle donne.

Risultato: tragitti più irregolari, grande uso di bici e mezzi pubblici e necessità di far quadrare le ore tra casa e lavoro (oggi a maggior ragione, visto che per l’Europa il 2014 è l’anno della conciliazione tra la vita lavorativa e quella familiare). Ricorda da Reggio Emilia Natalia Maramotti, avvocato e assessore alla Cura della comunità: «Abbiamo introdotto il servizio di bicibus e pedibus». Una mamma che a turno accompagna i bambini a scuola per tutti. Poi il taxi rosa.

Che bel quadretto. Le mamme che fanno i turni per accompagnare i bambini di tutti a scuola. E lo fanno pure con i mezzi pubblici e le biciclette, perché sono eco-friendly. E i padri dove sono? Al lavoro con i SUV? A casa che aspettano qualcuno che torni per cucinare?

A Cesena, Cagliari e Rimini il bollino rosa, un tagliando che consente il parcheggio gratuito alle donne incinte e alle neomamme.
Ma i neopapà esistono o sono una figura mitologica? E se esistono, che fanno? Pagano le righe blu a differenza delle neomamme?

A Bolzano ci sono invece i parcheggi rosa e taxi rosa. I parcheggi rosa sono parcheggi illuminati, sicuri, di facile accesso e vicini alle uscite.

I taxi rosa sono normali taxi che durante le ore serali e notturne applicano tariffe agevolate a chiunque sia di sesso femminile.
Attente donne: noi per proteggervi vi diamo i parcheggi rosa con tanta luce e sicurezza, le zone franche degli stupri e delle aggressioni, ma poi se vi avventurate al di fuori di questi parcheggi, non venite a lamentarvi se qualcuno vi importuna. Ve la siete cercata.

La stessa cosa dicasi per i taxi rosa. Dovete viaggiare in taxi di notte. Pagate meno degli uomini, che volete di più? Se andate a piedi, oppure usate i mezzi pubblici/la bicicletta/la moto, poi non diteci che non vi avevamo avvisato. Ve la siete cercata.
Il secondo articolo dell’inchiesta riporta la “Carta della mobilità delle donne”, un decalogo riguardante esclusivamente le donne e promosso da Federmobilità in collaborazione con “Trt Trasporti e Territorio”, una società di consulenza che nel 2012 ha curato uno studio per il Parlamento europeo dal titolo “Il ruolo delle donne nella green economy: la questione dei trasporti.”

Ecco i dieci punti:

Agevolare l’accesso ma anche la messa in sicurezza delle fermate dei mezzi pubblici

Adeguare gli allestimenti interni dei veicoli del trasporto collettivo alle esigenze delle donne

Introdurre, nei treni a lunga percorrenza e notturni, carrozze e scompartimenti riservati alle donne

Prevedere parcheggi «rosa» illuminati, sicuri, di facile accesso (vicini alle uscite) e anche parcheggi riservati alle donne in gravidanza

Promuovere taxi «rosa» con tariffe preferenziali per le donne nelle ore serali e notturne
Incentivare tariffe «rosa» per i servizi alla mobilità (car sharing scontato di sera e di notte, biglietti multicorsa)

Estrapolare statistiche e dati disaggregati per genere sulla domanda di mobilità così da capire come meglio rispondere alle esigenze femminili

Pensare a una «valutazione di genere» degli strumenti di pianificazione dei trasporti urbani. Vale a dire: attenzione alle donne nei piani urbani del traffico, della mobilità e nei programmi triennali dei servizi dei trasporli pubblici locali

Favorire la ricerca e la conoscenza sui temi della mobilità al femminile, sugli impatti delle tecnologie sul mercato del lavoro e sulle abitudini delle donne

Affermare la presenza delle donne nella governance delle aziende di trasporto e nelle strutture della Pubblica amministrazione

Questo decalogo ha decisamente superato il limite di imbarazzo che ci aveva provocato l’iniziativa di ottobre 2010 fatta da “Trenitalia” che offriva viaggi gratuiti a tutte coloro che avessero deciso di viaggiare accompagnate in determinati treni su tratte a lunga e media percorrenza.

I mezzi di trasporto andrebbero adeguati con degli allestimenti interni adatti alle donne: magari dividendo anche qui la zona donne da quella degli uomini? Tinteggiamo le pareti di rosa, inseriamo corrimano e più posti a sedere ché si sa, essendo il sesso debole, le donne hanno poca stabilità fisica e tendono facilmente a cascare per terra.
Poi facciamo delle carrozze rosa, ma non sarebbe meglio fare degli interi treni rosa? Ancora meglio sarebbe creare due stazioni separate, in modo che le donne scendano nella stazione dove incontreranno solo donne e non correranno alcun rischio.
Poi agevoliamo l’accesso alle fermate, è noto che le donne abbiano poco senso dell’orientamento, tendono spesso a perdersi per strada e quindi a non trovare o ricordare dove siano esattamente le fermate, per non parlare degli odiosi marciapiedi che spesso si trovano in prossimità delle fermate e che puntualmente fanno capitombolare decine di donne ogni giorno. Visto che ci siamo inseriamo anche delle tettoie più forti e ampie: gli uomini potrebbero cascare dal cielo da un momento all’altro mentre noi aspettiamo il nostro autobus.

Ironia a parte, si tratta, in sostanza, di 10 punti volti a separare e segregare il sesso femminile, quello debole, bisognoso di protezioni.
Non escludiamo che l’intento di chi ha formulato il decalogo possa essere stato nobile. Ma parte da presupposti sbagliati e porta a conseguenze inaccettabili.
Le donne non sono soggetti deboli da proteggere. Non abbiamo bisogno di essere “messe in sicurezza”. Le aggressioni, gli stupri non sono causati da strade buie, dai sottopassaggi, da taxi economicamente inaccessibili. La causa di uno stupro è solo lo stupratore.
Gli stupri non avvengono solo di notte, ma avvengono anche sotto il sole di mezzogiorno, quando i taxi non hanno le tariffe agevolate per le donne, quando i parcheggi rosa non sono illuminati dal neon. Gli stupri avvengono anche e soprattutto all’interno delle mura domestiche.

Vengono i brividi a leggere il decalogo della mobilità rosa. Nei treni carrozze separate per sole donne, parcheggi per sole donne, taxi per donne. Metà della popolazione avrà il suo spazio e i suoi tempi (quello del multitasking). Siete davvero convinti che la segregazione, l’apartheid, impedirà gli stupri e le aggressioni? Un aggressore si fermerà dinanzi ad un parcheggio illuminato meglio o ad una carrozza del treno di colore rosa? La cronaca ci dice di no, un no secco, senza sbavature. E poi, cosa accadrebbe se una donna decidesse di non prendere il taxi di sera o di sedersi in un vagone ferroviario per maschi? Sarebbe una donna imprudente, sciocca, una donna che se l’è cercata.
Sembra che l’ultima frontiera del paternalismo sia la segregazione benevola e sciorinare decaloghi e vademecum su come ci dovremmo comportare. Ricordate il famoso decalogo anti-stupro di Alemanno e la sua giunta?

Ti chiudo in una gabbia, ti privo della tua libertà, ma lo faccio per il tuo bene.
Noi le gabbie non le vogliamo, neppure se sono rosa. Vogliamo invece la libertà. Libertà di camminare per le strade, di viaggiare in treno, in auto, in metropolitana, in moto, in bicicletta, in skateboard. E vogliamo andare ovunque, non solo a prendere i figli a scuola o a fare la spesa. Vogliamo strade più sicure, parcheggi più illuminati, treni decenti, per tutti. Per i nostri compagni, compagne, figl*, per tutta la società.

Ele e Faby

Quale strada prendere allora? Quella di quote legislativamente sempre obbligatorie a pena di esclusione delle liste che non le hanno rispettate o quella di quote politicamente sempre da promuovere, a pena di un discredito presso l'elettorato, e del rischio di perdere rilevanti consensi? Questo è il dilemma, tra diritto e politica. ...
E tuttavia, su un punto tutte le partecipanti e i partecipanti dei lavori della Commissione sono stati d'accordo: se molto è stato fatto in termini di equality gender nel mondo, tanto ancora resta da fare. ...

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