Communianet
23 06 2015
Martedì 23 giugno dalle ore 12 andrà a sentenza il processo a carico di 26 attivisti, romani e non solo, per la manifestazione del 14 dicembre 2010, giornata in cui all'interno del parlamento andava in scena la compravendita dei voti per l'ennesima fiducia al governo berlusconi.
Un processo politico da parte di chi vuole comprimere la complessità di quei mesi, le centinaia di migliaia di persone in strada ogni giorno a responsabilità penali individuali. Pene richieste dai 6 mesi ai 4 anni, 96 mila euro di danni materiali e 500 mila euro di danni all'immagine di Roma, per coloro che hanno provato a difendere quello straccio di democrazia rimasto in questo paese, MA DALLA COMPRAVENDITA DEI VOTI in Parlamento A MAFIA CAPITALE CHI DANNEGGIA ROMA E L'INTERO PAESE?
Un governo illegittimo che nessuno ha mai votato e un sindaco di una città commissariata di fatto non possono decidere sulla nostra vita! #14DinPiazzaEravamoTutti #LaPiazzaèDelPopolo #NessunoRestiSol@
Da mezzogiorno aggiornamenti dal processo stay tuned
Il Manifesto
19 05 2015
Quello di lesa maestà è stato, fin dalla notte dei tempi, un delitto assai grave. Lo si pagava generalmente con la vita. Ma parliamo di epoche in cui il corpo del sovrano rientrava nella sfera del sacro.
Sorprende, dunque, la sua riedizione, certo assai meno cruenta e non inscritta in alcun codice, in una società laicizzata e democratica come la nostra. Fatto sta che ad ogni pubblica manifestazione di un esponente del governo chiunque osi contestarlo facendo troppo rumore, si espone a reazioni spropositatamente violente da parte delle forze dell’ordine e a pesantissimi provvedimenti giudiziari: fogli di via e arresti domiciliari.
È accaduto due volte a Bologna: l’arresto di sei persone in riferimento alla contestazione della ministra Madia nel dicembre dello scorso anno e le teste spaccate (a soli due giorni dalla solenne proclamazione di una «nuova etica» di polizia) il 3 maggio scorso per difendere da una minaccia inesistente Matteo Renzi intervenuto per concludere la festa dell’Unità.
Stiamo parlando di slogan, di striscioni e di qualche spintone. Ben di peggio si è visto, con una certa frequenza, nelle aule parlamentari.
Forse gli uomini e le donne dell’esecutivo, nonché buona parte del ceto politico, non arrivano a considerarsi proprio emanazioni del sacro, ma certamente pretendono di «incarnare la nazione» nella quale i governati devono stare al loro posto, dopo aver votato (i pochi che lo fanno ancora) e talvolta dopo aver ricevuto in gentile concessione un ascolto inutile e formale.
Può darsi anche che si tratti più semplicemente del volto aggressivo di un narcisismo decisionista e permaloso. L’arroganza e le coreografie nordcoreane in formato strapaesano stanno diventando tratti consueti dello stile di governo. Chi si permette di guastare queste «feste della nazione» paga salato.
Gli ortaggi e i fischi che piovono dal loggione non hanno mai significato la fine del teatro, semmai testimoniato della sua natura aperta e democratica. Ogni attore che si rispetti, abituato a calcare la scena, è ben consapevole di esporsi a queste reazioni. Fa parte del suo mestiere.
Diversamente, i mattatori della politica, nonostante anni di chiacchiere sulla politica-spettacolo sembrano ritenere che le contestazioni rumorose minaccino, nella loro persona, la democrazia stessa (che perfino Salvini & Casa Pound pretendono di incarnare).
Così, pur avendo beatificato l’austero notaio milanese che, a presidio del tricolore esposto alla sua finestra, si lasciava stoicamente bersagliare dalle uova lanciate dai manifestanti, i nostri politici si guardano bene dal seguirne l’esempio.
Se vi fosse una magistratura con un senso non superficiale della democrazia si affretterebbe a revocare dei provvedimenti fuori misura e fuori luogo, e a ricondurre l’azione giudiziaria al livello di una civiltà giuridica che dovrebbe essersi lasciata alle spalle il delitto di lesa maestà.
Tanto più che questi provvedimenti costituiscono un pericoloso precedente, suscettibile di criminalizzare ogni interferenza conflittuale con la recita di chi ci governa.